giovedì 26 maggio 2011

Quanto ci sono costate le leggi ad personam?



Quanto costa avere un premier come Berlusconi? Le leggi ad personam che riguardano la giustizia per il Presidente del Consiglio  sono costate al Paese, dal 2001 al 2011, una somma pari a 2.259.355.509 euro, intendendo il prezzo dell’impegno del Parlamento per l’esame di questi provvedimenti. Oggi, presso la Sala Stampa di Montecitorio, l’Italia dei Valori  ha presentato il  dossier: "Ecco quanto gli italiani hanno pagato per garantire   l’impunità al premier. Numeri e cifre da capogiro che parlano chiaro".   Sono intervenuti Antonio Di Pietro, presidente di Italia dei Valori,   Felice Belisario, capogruppo Idv al Senato, Antonio Borghesi, vicepresidente gruppo Idv Camera, Silvana Mura, tesoriera Idv.

«Il governo Berlusconi è alla fine dei suoi giorni e noi tiriamo le somme di una storia politica che ha più preso che dato, umiliato le istituzioni, impoverito le famiglie - ha spiegato Di Pietro -. La morale di tutto questo è che la prima cosa che dovrà fare il prossimo governo è risolvere il conflitto di interessi. Anche il decreto Omnibus che oggi la Camera approva è solo un carro cui aggiungere altre leggi personali, in questo caso per gli interessi della cricca». Con questa iniziativa, «e con altri studi di settore che presenteremo», Di Pietro ha chiarito che Italia dei valori intende «chiudere la parentesi di opposizione al governo Berlusconi e aprire la parentesi dell'alternativa liberale e riformista. Prepariamoci a governare il Paese -ha concluso il leader Idv -. Mi auguro il più presto possibile dopo la chiusura dei ballottaggi delle amministrative e delle urne dei referendum».

Lo studio si limita a quantificare quanto le leggi ad personam sono costate ai cittadini - calcolando le ore impiegate da Aula e commissioni di Camera e Senato (oltre 700 per la Camera, poco meno a Palazzo Madama) - senza analizzare le conseguenze politico-sociali, che potrebbero essere anche peggiori. Si va dal legittimo sospetto al lodo Schifani, dalla ex Cirielli al lodo Alfano, dal legittimo  impedimento al processo breve.

Le fasi propedeutiche al calcolo dei costi sopra citati sono state:

[*]Somma di giorni e ore dedicati alle leggi ad      personam in Commissione e Aula rispettivamente alla Camera dei Deputati e      al Senato della Repubblica, sulla base dei dati delle due camere,      reperibili on-line nella banca dati dei siti ufficiali, da Ottobre  2001 a fine aprile 2011.[/*]
[*]Per il calcolo complessivo delle ore di lavoro      delle Camere e del loro costo, sono stati presi a riferimento i dati      relativi agli anni 2009- 2010, per avere un dato attualizzato al costo      della vita.[/*]
[*]Somma su base annua delle ore di funzionamento      dell’aula e delle singole commissioni (dividendo le ore totali dei lavori      delle Commissioni permanenti per il loro numero ovvero 14 ). Le      Commissioni permanenti non lavorano, quando c’è Aula, ed le commissioni      permanenti spesso lavorano in contemporanea. Le Commissioni interessate      alle Leggi ad personam, sono state prevalentemente, la commissione      giustizia, la commissione Affari Costituzionale e la commissione      Bilancio.  Per tale operazione ci      siamo avvalsi di una media che abbraccia il biennio 2009 - 2010 (anche se      le leggi ad personam iniziano dal 2001 fino ad oggi) sui dati delle      statistiche reperibili on-line nella banca dati dei siti di Camera e      Senato.[/*]
[*]Calcolo della media del bilancio consuntivo 2009 e      del bilancio preventivo 2010 per Camera e Senato al netto dei rimborsi dei      partiti. Abbiamo deciso di non contabilizzare i trasferimenti ai partiti      perché è una semplice partita di giro, non rilevante ai fini del calcolo      dei costi delle leggi ad personam.[/*]
[*]Calcolo del costo medio per ora di lavoro di Camera      e Senato dividendo il costo annuale delle Camere per la somma su base      annua delle ore di funzionamento dell’Aula e delle ore medie di lavoro      delle Commissioni permanenti; [/*]
[*]Calcolo del costo del lavoro di Camera e Senato per      le leggi ad personam. Il risultato è frutto di una moltiplicazione tra il      costo medio per un’ora di lavoro rispettivamente di Camera e Senato e il      numero complessivo di ore di Aula e Commissione sempre di Camera e Senato.[/*]

Di seguito il dossier completo in Pdf.

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mercoledì 25 maggio 2011

Ripartiamo dal Savonarola di Firenze

Editoriale di Vincenzo Donvito
16 marzo 2011 7:21
 

La sede nazionale dell'Aduc e' a Firenze, in via Cavour, a trenta metri da piazza S.Marco dove, oltre alla segreteria dell'Universita', all'Accademia alle Belle Arti che e' proprio all'angolo con via Ricasoli accanto al museo del David di Donatello, c'e' anche l'omonima chiesa di San Marco e, soprattutto, con ingresso proprio in via Cavour, quasi di fronte alla Corte d'Appello, il convento di San Marco.
Ho fatto questa minuziosa descrizione del luogo perche', passandoci davanti piu' volte al giorno, mi e' famigliare, e tutte le volte non posso fare a meno di pensare alle bellezze artistiche e culturali che questi luoghi rappresentano e, soprattutto, ricordano. Il convento di San Marco e' quello che mi ha sempre attratto di piu', non tanto perche' gli “opposti si attraggono” (io sono un naturalista e non un religioso, tantomeno cattolico romano). Il mio pensiero corre al frate domenicano Girolamo Savonarola che in quel convento, nella seconda meta' del 1400, all'epoca di Lorenzo de' Medici, viveva li' ed ebbe incarico di predicare nelle chiese fiorentine. Una divulgazione del pensiero che lo porto' nel 1497 alla scomunica da parte di papa Alessandro VI e, l'anno dopo, ad essere impiccato e bruciato sul rogo come “eretico, scismatico e per aver predicato cose nuove”. Le sue opere furono poi inserite, nel 1559 nell'Indice dei libri proibiti. La causa della sua beatificazione e' stata introdotta solo il 30 maggio 1997.
E Savonarola mi e' tornato in mente per due motivi:
- Io non taccio. Le prediche di Girolamo Savonarola. Opera teatrale che comincia il suo tour martedi' 15 a Milano, dove don Andrea Gallo recita brani del frate domenicano;
- la visita di Marine Le Pen a Lampedusa.
Il primo avvenimento sembra perfetto: il “giusto” prete (animatore della comunita' genovese di San Benedetto al Porto, dove gli ultimi trovano sempre qualcuno per assisterli) nella giusta recitazione. Il secondo avvenimento e' l'esempio contrario: la candidata xenofoba e razzista alle prossime elezioni presidenziali francesi, facendosi accompagnare dall'eurodeputato leghista Mario Borghezio, sfrutta la disperazione dell'emigrazione e le difficolta' di un'isola che e' l'avamposto di questo dramma, per farsi propaganda a spese delle autorita' pubbliche italiane (che giustamente devono mobilitarsi massicciamente per difendere la sua incolumita'... e' il prezzo della democrazia, che e' giusto pagare); le cose che ha detto sono il lessico quotidiano del linguaggio xenofobo e razzista.
Tutti e due gli avvenimenti mi hanno fatto pensare alla dedizione verso l'altro, due diversi approcci: chi vive, si afferma e predica per il bene dell'altro, e chi in questo altro vede tutti i limiti all'espressione di se medesimo e del presunto bene che vorrebbe fare alla societa'.
E per l'occasione dicoripartiamo da Firenze! Non sto parlando di presunte masse che si mobilitano dopo il mio invito, incontrandosi in questo o quell'altro luogo con l'intento di cambiare l'Italia e il mondo. Non solo non ho la capacita' di smuovere queste masse, ma penso che farlo sarebbe negativo, quindi non mi interessa. Quando dico “ripartiamo da Firenze”, intendo da quello che questa citta' e' stata in grado di esprimere sulla fine del 1400, con l'esplosione delle prediche di Girolamo Savonarola, che' queste prediche smuovano il nostro io per ri-portarlo a quella che io considero l'essenza del nostro comportamento civile, sociale, politico, umano ed economico.
Leggiamo -o rileggiamo- le parole del Savonarola.

Girolamo Savonarola
«Io non taccio»
Sul bene comune (di cui non v’importa nulla)
Voi non siete un’umanità ma una somma di uomini.
Pensate a voi, badate a voi,
v’accorgete che esistono «altri» solo qualche volta, per caso,
quando c’è da invidiarli o da disprezzarli.
Altrimenti chi se ne frega degli altri: tutto è solo «io».
I miei fatti. I miei affetti. I miei soldi.
Siete gente arida. Senza calore.
E se vi infiammate per una questione all’apparenza «di principio»
non lo fate perché ci credete, no,
ma solo per difendere quello stramaledetto orto che è il vostro
interesse.
(….)
Il bene comune? Ma che ve ne parlo a fare?
Non è una lingua vostra, questa.
Per farmi capire dovrei parlare forse di guadagni, di interessi.
Dovrei parlare di tornaconto. Dell’acqua al vostro mulino.
Allora saltereste tutti sugli attenti, direste «fammi sentire!».
Come si dice? Musica per le vostre orecchie.
Invece, guarda caso, mi intestardisco, non mi stanco:
parlo di bene comune,
parlo di cercare qualcosa che valga per tutti, nessuno escluso,
parlo di fare cose utili, di non dividere ma unire, anche se ci perderai
qualcosa.
Vi interessa? Ho capito: sto abbaiando.
Ma sono fiero, non mi vergogno, d’essere un cane.
Il tiranno
Orsù, state a udire, voi uomini,
per riconoscere i tiranni e guardarvi da loro.
E state a udire pur voi, donne, per ricordarlo a’ vostri mariti.
E voi, fanciulli, per imparare che cos’è un tiranno e fuggirlo dalla
vostra città.
Sappiate adunque, prima,
che ‘l tiranno è superbo per natura
e appetisce d’essere il solo e il primo in tutto.
Il primo, il primo, il primo…
Ha da esser primo sempre e in ogni cosa.
Se corrono i cavalli al palio,
farà sempre qualche inganno per far che i suoi siano i primi.
Se egli ha scienza o lettere,
vuol sempre che la sua opinione stia al di sopra;
Se sa far versi,
vuol che vadano innanzi a tutti gli altri e che siano cantati;
Non ha amore se non a sé proprio.
E poiché il tiranno per sua natura appetisce d’essere il primo,
ogni volta che vede uno che possa impedire lo stato suo,
cerca sempre di spegnerlo,
perché non gli dia noia.
Così trovagli qualche cagione
- minima: ch’egli arà sputato in chiesa –
per levarselo innanzi.
Ah, Firenze! Guardati dai tiranni!
Vuol esser corteggiato, il tiranno.
Vuol che tu ti appresenti ogni dì,
e se tu nol fai, sei notato.
Tutti li uomini di cervello li tiene bassi,
ed esalta gli sciocchi dicendo
«Costoro mi saranno fedeli
perché io li mantenga dove non son degni di stare».
Ed esalta i ribaldi, gli assassini:
«Costoro senza me sarieno impiccati,
e io peggio di loro: perciò loro manterranno me e io loro».


Basta con le itagliette... ma come?

Un grido di dolore e di speranza, per ricordarci di essere vivi e non essere solo condannati a sopravvivere a noi stessi e a chi prende costantemente in giro la nostra intelligenza. Facciamo solo alcuni esempi di come nel nostro Paese si sia passati dalla certezze dei diritti e delle pene all'arroganza del potere, al pressapochismo, alla sostituzione delle realta' con la mediaticita' di un qualunque fatto od opinione.
C'e' da arraffare un po' di voti (scappati) per le prossime elezioni comunali a Milano, ecco che si ritira fuori la storia del trasferimento dei ministeri da Roma a Milano e, su questa scia, l'itaglietta si mobilita' e gli epigoni del trasloco spuntano a Firenze, a Parma e, per far capire che dicono sul serio e che non ce l'hanno con il sud, ecco che i “nordisti” sostengono che un ministero starebbe bene anche a Napoli. Altrettanta itaglietta parla pro o contro. La stessa itaglietta che ha consigliato al candidato Sindaco di Milano, Letizia Moratti, durante un confronto tv con il suo avversario, Giuliano Pisapia, di inventarsi che il contendente era stato amnistiato relativamente ad un'accusa di furto d'automobile piuttosto che, per esempio, rendergli conto di come avrebbe fatto a raggiungere l'obiettivo comunitario di Lisbona per la soddisfazione percentuale di presenze di asili nido sul territorio.
Non c'e' da stupirsi piu' di tanto, perche' e' l'itaglietta che, al massimo delle sue espressioni istituzionali (i parlamentari) non fa accedere quelli che poi devono rappresentare gli elettori tutti, ma solo quelli di stretta osservanza e scelta da parte di tre o quattro capi di partito. L'itaglietta che poi nelle aule parlamentari da' sfoggio di ignoranza, volgarita', impreparazione... cos'altro, altrimenti, visto che il requisito per esserci non e' la competenza e la popolarita' ma la fedelta'?
L'itaglietta di quel Comune del pisano che fa attendere cinque anni per rispondere alla richiesta di permesso ad un negozio Ikea (il secondo in Toscana dopo quello di Firenze), permesso che poi non concede ma che implora la notizia del rifiuto sia diffusa dopo le elezioni che coinvolgevano anche quel paese.
L'itaglietta di quella procura della Corte d'Appello di Milano che voleva condannare per truffa una mamma extracomunitaria che, grazie ad un lettera che le aveva inviato il premier Berlusconi, era andata alle Poste a ritirare il bonus bebe' che invece era riservato solo ai cittadini italiani... ma che la Cassazione ha fermato, e questo ci da' ancora speranza.
L'itaglietta del Comune di Prato che ha fatto fiamme e fuoco contro l'imposizione, da parte della Regione Toscana, dell'asilo temporaneo per 13 (tredici) nordafricani in fuga dai loro Paesi martoriati.
L'itaglietta di Enel Energia spa che ti manda a casa i propri agenti che si presentano genericamente come Enel e ti convincono che stanno solo facendo indagini sul tuo servizio, e dopo ti ritrovi con il gestore elettrico e quello del gas cambiati, magari anche con firma falsa sul contratto e costi esorbitanti. L'itaglietta di Enel che, per essere parte nel mercato libero di luce e gas, non ha trovato di meglio che chiamarsi come quell'Enel di cui quasi tutti siamo clienti nel mercato cosiddetto a maggior tutela.
L'itaglietta di chi da' anche legittimita' istituzionale ad un'imposta che si chiama canone o abbonamento.
L'itaglietta e' quella che tutti i giorni ci prende in giro, “vendendoci fischi per fiaschi” e dando valore al solo apparire piuttosto che l'essere.
L'itaglietta, quella dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni o del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa o delle Ruby nipote di Mubarak.
L'itaglietta degli autovelox illegali e dei Sindaci .consapevoli.
Basta con le itagliette... ma come?
Cominciamo a partire da noi stessi, non accettando l'impossibile e l'irrazionale e le truffe solo perche' non abbiamo tempo e voglia di far capire che non siamo scemi. Le questioni di principio sono quelle che fanno la storia e che forgiano gli individui per essere e restare tali invece che sudditi

Fora da i bal! Mister President

Questo è il governo delle balle e Berlusconi è il capo di un governo delle balle. Le balle che ha raccontato agli Italiani sono tali e tante che è difficile ricordarle tutte.
Governo delle balle. Quella della riduzione delle tasse. Era lo slogan elettorale del 2001 e prima ancora del “contratto con gli Italiani: “meno tasse per tutti”. Il Presidente delle balle non perde occasione per dire che “le tasse non sono aumentate” e che “non abbiamo messo le mani nelle tasche dei cittadini”. Ma com’è che oggi la pressione fiscale è attorno al 43% , ma secondo alcuni studi quella reale è al 52% .
Eppure Lei, Presidente delle balle, ancora nel 2008 dichiarava: ridurremo la pressione fiscale sotto il 40%”. Ed ancora quest’anno: “Entro la legislatura (cioè entro il 2013) meno tasse per le famiglie, il lavoro e la ricerca”. Nel 1994, prima delle elezioni politiche, proponeva addirittura un’aliquota unica per tutti i contribuenti e l’esenzione per “i poveri”. E nel 2002: “Con la riduzione delle tasse per i meno abbienti si potrà contribuire alla crescita dei consumi e alla creazione di nuovi posti di lavoro”, dice il 28 settembre. E ancora, il primo marzo 2004, dopo tre anni di governo: “Servono meno tasse e meno vincoli per rilanciare consumi e investimenti”. Invece, non si è vista nessuna riforma dell’IRPEF (promessa anche nel “contratto con gli italiani” del 2001). Non è stata abolita l’IRAP (pur definita la tassa più odiosa). La pressione fiscale (nel “contratto” ne fu promessa la riduzione sotto il 38%) è attualmente al livello più alto d’Europa; non c’è stata l’abolizione delle tasse automobilistiche, pure promessa. Secondo uno studio della Banca Mondiale ("Paying Taxes 2011"), i tributi e i contributi sociali pesano sulle imprese italiane per il 68,6%, contro una media europea di 44,2% e mondiale di 47,8%. Su 183 Paesi esaminati dallo studio, l'Italia è al 17esimo posto nella graduatoria dei Paesi con la tassazione sulle imprese più elevata ed è la più alta in Europa. E poi aumentare le tasse sulla benzina non significa forse mettere le mani nelle tasche degli Italiani? E quando non le ha messe le ha fatte mettere direttamente dagli Enti locali toglierndo loro 15 miliardi di trasferimenti all’anno.
Governo delle balle. Presidente del consiglio delle balle. Come quella raccontata nel 2001 del dimezzamento del tasso di disoccupazione , dell’aumento delle pensioni e della creazione di 1 milione e mezzo di posti di lavoro. Balla ripetuta il 12 maggio 2011 afferma: “Sono convinto che con il decreto sviluppo nel giro di un anno diminuirà la disoccupazione. Ma la realtà è che il tasso di disoccupazione era del 9% nel 2001 e tale rimane nel 2011. Ci sono oggi in Italia due milioni di persone in cerca di lavoro. Con una differenza che il tasso di disoccupazione giovanile oggi è drammatico: dieci anni fa un giovane ogni cinque non trovava alcun lavoro, oggi è uno su tre in Italia, contro uno su venti in Germania. Ed il livello salariale netto in Italia ci vede in coda alla classifica dell’Ocse: solo la Grecia fa peggio di noi!
Governo delle balle. Presidente del consiglio delle balle. Che vengono raccontate anche a coloro che si trovano in piena sofferenza e quindi sono più deboli e indifesi, come i terremotati dell’Aquila. Le sue mirabolanti promesse dopo il disastro si rilevate ancora una volta solo delle grandi balle. “Le case per tutti entro l’autunno”, “i tempi della ricostruzione”…. Il 12 dicembre 2008 a Chieti ha dichiarato "...noi garantiamo anche che nel rilancio delle infrastrutture, a cui daremo vita a partire dal giorno 18 prossimo, in cui approveremo, al CIPE, 16 miliardi e 600 milioni di euro destinati alla realizzazione di infrastrutture, e fra queste infrastrutture ci saranno le infrastrutture di cui avete bisogno, le opere manutentive di cui avete bisogno, ci sarà la velocizzazione della Pescara - Roma con il raddoppio di alcune situazioni di questa linea.". Il C.I.P.E., si riunì effettivamente il 18 dicembre 2008, quindi sei giorni dopo le sue dichiarazioni, invece di 16 miliardi di opere ne approvò meno della metà, ma fra queste “zero interventi” per l’Abruzzo. O come l’altra balla, sparata il 17 settembre 2010: “Abbiamo ricostruito un’intera città” . Il dato vero è invece che nel secondo anniversario del sisma, il centro cittadino era ancora morto, circa 37 mila cittadini restavano fuori casa, e tonnellate di macerie coprivano il centro storico.
Governo delle balle. Presidente del consiglio delle balle. Inventate ad ogni piè sospinto. Come quelle raccontate sulle immondizie a Napoli, quando nel maggio 2008 ai napoletani raccontò che “entro luglio Napoli sarà liberata dai rifiuti” e “con il decreto rifiorirà”. Promessa prontamente ripetuta il 28 ottobre 2010 (oltre due anni dopo) accorciando i tempi: : “Entro tre giorni Napoli sarà pulita”. Il 26 novembre 2010, dopo un vertice sulla crisi della spazzatura, allungava i tempi : "… credo che la situazione di emergenza a Napoli si possa risolvere in due settimane". L’ultima promessa risale al 30 dicembre 2010: «Entro Capodanno non ci sarà più immondizia nelle strade di Napoli». Da allora nulla è cambiato, tra l’evidente imbarazzo generale anche della Commissione Europea. Non contento in vista delle elezioni torna a ancora e giù nuove balle: quelle sulle case abusive e sulla tassa sulle immondizie.
Governo delle balle. Presidente del Consiglio delle balle. Come quelle sulle opere pubbliche. Nel 2001 disse “Apriremo i cantieri per almeno il 40% degli investimenti previsti dal "Piano decennale per le Grandi Opere" considerate di emergenza e comprendente strade, autostrade, metropolitane, ferrovie, reti idriche, e opere idro-geologiche per la difesa dalle alluvioni. Dopo dieci anni di Legge obiettivo la percentuale di opere portate a termine è stimata nel 21%!.
Governo delle balle. Presidente del Consiglio delle balle. Come quelle inventate a Lampedusa. L''invasione dei migranti del Nord-Africa sarà risolta in 48, al massimo in 60 ore. "Chiederemo per l'isola il Nobel per la pace". Concederemo a Lampedusa "una 'moratoria fiscale, previdenziale e bancaria' almeno per un anno finalizzata a trasformarla in "zona franca". Rilanceremo il turismo attraverso "servizi in tv pro isola di cui abbiamo incaricato Rai e Mediaset". "Lampedusa sarà sede di un casinò"… “realizzeremo un campo da golf, una scuola e infrastrutture sanitarie”. Pare che il sindaco di Lampedusa si sia rivolto a “Chi l’ha visto?”, ma neanche lì hanno saputo dargli notizie!

Governo delle balle. Presidente delle balle.
 Come quella del blocco del programma nucleare e della costruzione di nuove centrali. E la sua affermazione di una settimana dopo: “Se fossimo andati oggi al referendum, non avremmo avuto il nucleare in Italia per tanti anni. Per questo abbiamo deciso di adottare la moratoria, per chiarire la situazione giapponese e tornare tra due anni a un’opinione pubblica conscia della necessità nucleare. Siamo assolutamente convinti che nucleare sia il futuro per tutto il mondo. L’energia nucleare è sempre la più sicura.”. Parola di abitanti di Fukushima!
Da dieci anni Lei governa questo Paese grazie alle continue balle che racconta agli Italiani, che spesso Le hanno creduto perché Lei è bravo a raccontarle. Come ha detto un giornalista che ben La conosce, Indro Montanelli, Lei è “Un piazzista che trascina con false promesse”.
Ma dal voto del 15 maggio è evidente che la maggioranza degli Italiani ha smesso di credere alle sue balle. Potremo dire che si sono rotti le balle di crederle. E noi di Italia dei Valori che non ci siamo mai sognati di darLe la nostra fiducia urliamo forte insieme a quegli Italiani che l’ora è finalmente giunta: “Fora dai bal!”, Mister President.

lunedì 23 maggio 2011

L'ascensore sociale va solo in discesa L'Italia si sente sempre più povera

Sondaggio Demos-Coop. Il ceto medio diventa minoranza. Commercianti e artigiani sono lentamente scivolati verso il basso. E il 44% dei professionisti si dichiara precario


C'È INSODDISFAZIONE in Italia. Un'insoddisfazione sorda ma non più muta. Trapela da mille segnali, piccoli e grandi. Le proteste sociali che si susseguono, da mesi. In modo ostinato e insistente. Nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi di lavoro. L'abbiamo riconosciuta, da ultimo, nel voto amministrativo. Che ha rivelato cambiamenti profondi. E inattesi. Dietro a tanta insoddisfazione si colgono tanti motivi, di natura diversa. Uno, però, risulta evidente. L'ascensore sociale è in discesa, da troppo tempo. Per usare un ossimoro. I dati dell'Osservatorio di Demos-Coop, al proposito, sono espliciti. Anzitutto, la classe sociale (percepita dagli italiani). Per la prima volta, da quando conduciamo i sondaggi dell'Osservatorio, la piramide si rovescia completamente. Senza "mediazioni". Infatti, le persone che si collocano nella "classe operaia" oppure fra i "ceti popolari" superano, per estensione, quelle che si sentono "ceto medio". Dalla cetomedizzazione degli anni Ottanta - un neologismo ostico ma suggestivo, coniato da Giuseppe De Rita - si sta scivolando verso una sorta di "operaizzazione". Singolare destino, visto che da tempo si predica l'estinzione della classe operaia. Tuttavia, l'indicazione del sondaggio è esplicita. Il 48% del campione nazionale dice di sentirsi "classe operaia" (39%) oppure "popolare" (9%). Il 43%: "ceto medio". Il 6%, infine, si definisce "borghesia" o "classe dirigente". È l'unico settore sociale stabile. (Le
privilegiate, d'altronde, sentono la crisi meno delle altre. Anche se la temono.) Invece, il peso del "ceto medio" è sceso di 5 punti negli ultimi tre anni e di 10 negli ultimi cinque. Simmetricamente, l'ampiezza di coloro che si sentono "classe operaia" oppure "popolare" è cresciuta di 3 punti negli ultimi tre anni e di 9 negli ultimi 5. Prima causa: lo slittamento dei lavoratori autonomi (artigiani e commercianti). Metà di essi oggi si posiziona nei ceti popolari. Lo stesso avviene per circa un terzo di impiegati e tecnici.
Peraltro, l'insoddisfazione verso l'economia e il mercato del lavoro, secondo il sondaggio Demos-Coop, non è mai stato tanto elevata. Verso l'economia: nel 2004 coinvolgeva il 59% della popolazione, oggi il 71%. Verso il lavoro: nel 2004 era espressa dal 60% della popolazione, oggi inquieta il 75%. La delusione sociale: investe tutti. La novità assoluta è che il senso di declino sociale non riguarda i "soliti noti". Operai, pensionati e disoccupati, su tutti. Ma risucchia altri gruppi, che si è soliti collocare (e fino a qualche anno fa si collocavano) più in alto. Nei ceti medi. Perfino nelle classi dirigenti.
Una quota ampia di lavoratori autonomi (20%) ma soprattutto di liberi professionisti (44%) oggi definisce la propria condizione di lavoro "precaria".

D'altra parte, basta considerare il lavoro realmente svolto nell'ultimo anno dagli intervistati. Una componente ampia di essi (il 17% sul totale) dichiara di aver lavorato in modo temporaneo, per una parte più o meno ampia dell'anno. Si tratta dei giovani, soprattutto. E degli studenti (28%). Una generazione precaria, si è detto. È, effettivamente, così. Una generazione senza futuro. Il 63% del campione ritiene, infatti, che i giovani avranno un futuro peggiore di quello dei genitori. E il 56% ritiene che i giovani, per avere speranza di carriera, se ne debbano andare via. All'estero. Ne sono convinti, per primi, gli interessati: il 76% di coloro che hanno meno di 25 anni. Tuttavia, la precarietà è un sentimento diffuso. Che attraversa tutti i settori sociali. L'insoddisfazione verso la situazione economica e del mercato del lavoro, infatti, oltre che fra i disoccupati, raggiunge il massimo livello tra i liberi professionisti e i lavoratori autonomi. Ed è alta anche fra i tecnici e gli impiegati. Dal punto di vista della classe sociale: inquieta soprattutto coloro che si sentono "borghesia" oppure "classe dirigente". Non è poi così sorprendente. Il fatto è che non ci sono abituati. Per cui temono di perdere i privilegi di cui dispongono.

Si spiega così la perdita di appeal del "lavoro in proprio". Ma anche la parallela ripresa dell'attrazione esercitata dal lavoro pubblico (soprattutto nel Mezzogiorno). Nonostante da anni venga stigmatizzato da autorevoli esponenti del governo. Non è che i cittadini provino un'insostenibile voglia di fare i "fannulloni". È il senso di insicurezza che pervade il lavoro. L'economia. Magari non è una grande novità, potrebbe eccepire qualcuno. È vero, ma non del tutto. Perché fino a poco tempo fa funzionava un meccanismo psicologico che disinnescava gli effetti politici della delusione economica e sociale. Anzi: li rivolgeva a scapito dell'opposizione. Una sinistra "impopolare". Sempre più in difficoltà nell'intercettare il consenso dei dipendenti privati e dei ceti sociali più precari. Rannicchiata - e quasi accerchiata - dentro il perimetro dei pensionati e del pubblico impiego. Soprattutto degli insegnanti e delle figure "intellettuali". Da qualche tempo, questa spirale senza fine sembra essere giunta alla fine. Il processo di operaizzazione e di discesa sociale sta producendo - ha già prodotto - effetti politici evidenti. E sembra sempre più arduo, per il governo e per il suo capo, proseguire nella strategia della dissimulazione. Dire, da un lato, che non è vero. Trattare chi predica sfiducia da nemico della nazione. Dell'Italia.

D'altra parte, non è facile scaricare le colpe e le paure della crisi sempre sugli "altri". Gli immigrati e gli stranieri. Poi, l'euro e l'Unione Europea. Sul piano interno: Roma padrona e il Sud spendaccione. O, viceversa, il Nord egoista. Alla lunga, il meccanismo si è logorato. Difficile dire che la crisi non c'è. Che le cose vanno bene. Che noi stiamo bene. Che bisogna avere fiducia (ora). Che gli operai non esistono. Se mezza Italia, ormai, si sente e si dice operaia. Se i ceti medi e perfino i borghesi hanno paura. Se i giovani pensano di fuggire dal Paese. Se i genitori, per non parlare dei nonni, non hanno argomenti validi per trattenerli. Ed è difficile scaricare le colpe sull'opposizione, che da anni latita. Ma è difficile, per la maggioranza, anche prendersela con il Sud o con il Nord. Spostare i ministeri da Roma a Milano. Visto che in entrambi i casi significa prendersela con se stessa. La Lega del Nord contro il Pdl romano - e del Sud. E viceversa. Così - "forse" - dopo tanti anni, siamo giunti alla resa dei conti. O almeno: all'assunzione di responsabilità. Se piove e fa freddo, se l'orizzonte è scuro. Non può essere - sempre e solo - colpa degli "altri". 




domenica 22 maggio 2011

Da S&P foto perfetta del Paese


L’agenzia Standard & Poor’s, che ha tagliato l’outlook dell’Italia da stabile a negativo, sottolineando le nostre deboli prospettive di crescita e l’impegno politico incerto per aumentare la produttività, fotografa perfettamente lo stato del nostro Paese: da un lato caratterizzato dalla mancata crescita, dall’altro dalla precarietà, e da un altro ancora, da una mole di evasione pari solo a quella dei paesi del terzo mondo.
Da tre anni il governo Berlusconi, invece di incentivare l’impresa che innova, che investe, che fa ricerca e che, di conseguenza, genera lavoro a tempo indeterminato per le giovani generazioni, ha fatto accordi separati con alcune parti sociali, semplicamente stupidi. All’inizio della crisi internazionale, e poi nel 2009 e nel 2010, il governo ha creato un incentivo per gli straordinari, quando in Italia non si fanno più ore di lavoro straordinario dal 2008, visto il calo del 30% degli ordinativi e dei fatturati e, ancora, il governo ha incentivato i premi di produttività, mentre le aziende erano alle prese con cassa integrazione e mobilità e con l’assenza di infrastrutture e credito, necessari a riprendere a pieno l’uso degli impianti.
In conclusione, per l’Italia dei Valori, l’atto più grave per cui il governo deve essere mandato a casa è l’aver investito, per tre anni, sulla divisione sindacale e dei lavoratori, sulla riduzione dei salari e delle pensioni, con conseguente riduzione dei consumi interni e delle libertà costituzionali, incentivando quei pochi imprenditori oligopolisti che hanno approfittato del governo zerbino di Sacconi e Brunetta, per prendere soldi e scappare dall'Italia, come sta facendo continuamente la Fiat.