martedì 12 marzo 2013

Verso un Congresso nazionale straordinario IDV per un nuovo inizio


Carissime amiche e carissimi amici, 
è tempo di ripartire. Dobbiamo farlo cominciando da noi stessi, ovvero da ciò che siamo e siamo sempre stati: l’Italia dei Valori.
Dobbiamo farlo innanzitutto perché sono tanti i cittadini che ci chiedono di non arrenderci e poi per rispetto della nostra storia personale e politica.
Durante la legislatura che si è appena conclusa, IDV ha fatto il suo dovere fino in fondo in Parlamento e fuori, ovvero nelle piazze e davanti ai cancelli delle fabbriche ed ai portoni delle scuole. Gli atti parlamentari che ci apprestiamo a diffondere in rete lo dimostreranno.
Anzi, diciamo le cose proprio come stanno: è stato proprio questo nostro eccessivo attivismo e la nostra indipendenza di giudizio ad averci procurato tanti nemici dentro e fuori il ParlamentoSe anche noi, infatti, avessimo chinato la testa e appoggiato - senza contestare - gli iniqui ed ingiusti provvedimenti del Governo Monti, non saremmo stati buttati fuori dalla coalizione del centrosinistra (ovvero quella plasticamente rappresentata dalla oramai nota “foto di Vasto”) e quindi saremmo sicuramente tornati in Parlamento.
Noi, però, non abbiamo voluto tradire il mandato ricevuto dai nostri elettori ed abbiamo resistito, denunciando tutte le porcherie che dapprima il Governo Berlusconi e poi il Governo Monti (questa volta con l’appoggio anche del PD) hanno posto in essere ai danni dei cittadini più deboli, di quelli più onesti e di quelli più indifesi.
Abbiamo anche cercato di coalizzarci con gli altri partiti e con quei cittadini della cosiddetta “società civile” che la pensavano come noi per fare squadra comune, presentandoci tutti insieme alle elezioni sotto una unica sigla, quella di “Rivoluzione civile”. Tale esperienza però non ha funzionato. Siamo stati sconfitti alle urne e di questo dobbiamo farcene una ragione e assumerci ognuno le responsabilità, a cominciare da me che l’ho proposta e condivisa.
Ed allora non ci resta che tornare alle origini, cioè appunto all’Italia dei Valori.
Sì ma come, direte Voi.
E’ la stessa domanda che si sono posti ieri i componenti dell’Esecutivo nazione IDV (massimo organo elettivo all’interno del partito), nel corso di una partecipata ed impegnativa riunione, al cui esito abbiamo tutti insieme deciso quanto segue:
1-   La promozione e realizzazione di un congresso straordinario nazionale del partito – da svolgersi nei giorni 28 – 29 – 30 giugno di quest’anno al fine di ridare la possibilità ai nostri iscritti e militanti di ridiscutere e decidere loro la linea politica di IDV ed anche di eleggere il Segretario politico nazionale del partito.
Personalmente mi presenterò dimissionario a tale congresso per dare modo di realizzare un reale e fattivo ricambio generazionale della dirigenza del partito. Ovviamente il mio impegno politico non cesserà con le mie dimissioni da Presidente-segretario del partito ma è giusto che si proceda ad una reale spersonalizzazione di IDV se si vuole che il nostro partito riesca a camminare con le proprie gambe, anche dopo e oltre di me che l’ho fondato.
Proprio per questa ragione, nel corso del Congresso di giugno presenteremo anche il nuovo simbolo del partito, che è poi sempre quello attuale ma senza più il mio nome.
2-   L’avvio immediato di una campagna di sensibilizzazione e di tesseramento a IDV di coloro che vogliono concretamente partecipare all’attività politica o semplicemente vogliono iscriversi al partito come atto di testimonianza ed al fine di contribuire – anche con il loro voto diretto e senza delega però - alla individuazione della futura classe dirigente del partito. Invito quindi Voi tutte e tutti che mi leggete ad iscriversi a IDV partito per darci una mano a ricominciare con più forza e più lena di prima;
Le regole congressuali – sia per chi vuole candidarsi a posti di responsabilità all’interno di IDV che a chi vuole semplicemente partecipare alla fase congressuale anche con il suo voto – saranno rese note (e cioè pubbliche e pubblicate in rete) entro il giorno di Pasqua (nella speranza che possa esserci presto anche la nostra pasqua di resurrezione!).
3-   L’illustrazione del nostro percorso congressuale ai nostri iscritti, militanti ed a tutta la nostra organizzazione territoriale da tenersi in 5 distinte giornate - con la partecipazione di tutti i componenti dell’attuale Ufficio di Presidenza IDV -  e precisamente nei seguenti pomeriggi:
-       Il 25 marzo a Milano per tutta l’area del Nord Italia;
-       Il 26 marzo a Roma per l’area territoriale del Centro;
-       Il 27 marzo a Bari per l’area territoriale del Sud;
-       Il 4 aprile  a Cagliari per la Sardegna;
-       Il 5 aprile a Palermo per la Sicilia;
4-   La partecipazione con il nostro simbolo IDV alle prossime elezioni amministrative del 26 e 27 maggio 2013 nei comuni dove abbiamo una rappresentanza degna di rappresentare al meglio la nuova Italia dei Valori che ci accingiamo a ricostruire. A tale elezioni l’impegno prioritario è quello di riannodare possibilmente un accordo programmatico unitario con il centrosinistra, salvo motivate eccezioni in relazione a particolari situazioni locali da esaminare di volta in volta.
5-   Nuove e profonde modifiche dello Statuto IDV al fine di una maggiore democratizzazione della gestione e delle decisioni che i partito dovrà assumere. Modifiche che saranno anch’esse sottoposte al vaglio ed all’approvazione del Congresso.
Fin qui le decisioni ufficiali che con questa mia lunga lettera mi sono fatto carico di rendere immediatamente pubbliche.
Da parte mia, lasciatemelo dire (ma su questo tema ci tornerò sopra in modo più approfondito prossimamente) mi sento rinvigorito da questa voglia collettiva di ricominciare e voglio con tutto me stesso continuare a servire il nostro paese specie in questi momenti di così grave difficoltà.
C’è bisogno davvero di un rinnovato atto di responsabilità e disponibilità da parte di tutti per evitare che dalla mera protesta si sfoci nella disperazione e nella violenza collettiva.
Ed allora non ci resta che rimboccarci le maniche e ricominciare.
A presto!!!

Antonio Di Pietro

domenica 3 marzo 2013

FIRMA ANCHE TU PER CACCIARE BERLUSCONI DAL PARLAMENTO (facendo applicare la legge 361 del 1957)

http://temi.repubblica.it/micromega-appello/?action=vediappello&idappello=391292



Una legge sul conflitto di interessi, che rende Berlusconi ineleggibile, esiste già. Vittorio Cimiotta, Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Dario Fo, Margherita Hack, Franca Rame, Barbara Spinelli chiedono al nuovo Parlamento che venga finalmente applicata, e Berlusconi non avrà più nessuna immunità di impunità.

Berlusconi non era e non è eleggibile. Lo stabilisce la legge 361 del 1957, che è stata sistematicamente violata dalla Giunta delle elezioni della Camera dei deputati. Nel 1994 (maggioranza di centro-destra) e nel 1996 (maggioranza di centro-sinistra, primo governo Prodi), un comitato animato da Vittorio Cimiotta (“Giustizia e libertà”) e composto da Roberto Borrello, Giuseppe Bozzi, Paolo Flores d’Arcais, Alessandro Galante Garrone, Ettore Gallo, Antonio Giolitti, Paolo Sylos Labini, Vito Laterza, Enzo Marzo, Alessandro Pizzorusso, Aldo Visalberghi, e sostenuto da una campagna stampa del settimanale “l’Espresso”, organizza i ricorsi dei cittadini elettori, ricorsi che vengono respinti dalla Giunta delle elezioni della Camera (con l’unico voto in dissenso dell’on. Luigi Saraceni, che il centro-sinistra non confermerà nella Giunta del 1996) con la motivazione che l’articolo 10 comma 1 della legge dichiara in effetti che non sono eleggibili “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica”, ma che “l’inciso ‘in proprio’ doveva intendersi ‘in nome proprio’, e quindi non applicabile all’on. Berlusconi, atteso che questi non era titolare di concessioni televisive in nome proprio”.

Palese interpretazione da azzeccagarbugli, poiché come scrisse il presidente emerito della Corte Costituzionale Ettore Gallo “ciò che conta è la concreta effettiva presenza dell’interesse privato e personale nei rapporti con lo Stato”.
Tanto è vero che la “legge Mammì” del 6 agosto 1990, n° 223 sulla disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato stabiliva all’art. 12 il “Registro nazionale delle imprese radiotelevisive” e all’art. 17 comma 2 precisava che “qualora i concessionari privati siano costituiti in forma di società per azioni ecc. … la maggioranza delle azioni aventi diritto di voto e delle quote devono essere intestate a persone fisiche, o a società ecc. … purché siano comunque individuabili le persone fisiche che detengono o controllano le azioni aventi diritto al voto”.

MicroMega decide perciò di riprendere quella battaglia di legalità ormai ventennale attraverso due iniziative: un appello di un gruppo di personalità della società civile, sui cui raccogliere on line le adesioni di tutti i cittadini (con l’obiettivo di migliaia e migliaia di firme), e il fac-simile del ricorso, che potrà essere attivato da ogni elettore del collegio senatoriale per il quale opterà Berlusconi. Nell’ultimo giorno valido (20 giorni a partire dalla proclamazione degli eletti), MicroMega organizzerà la consegna di massa dei ricorsi alla Presidenza e alla Giunta delle elezioni del Senato.

sabato 2 marzo 2013

Il problema, però, è che non le condivide Bersani

"Cara Viola di Firenze, 
ti ringrazio per la tua petizione che il giornale di De Benedetti ha prontamente provveduto a rilanciare nel titolo di apertura in prima pagina, come fa regolarmente con tutte le petizioni di tutti i ventiquattrenni d’Italia.
Tu chiedi al Movimento 5 Stelle di sostenere un governo che faccia una decina di cose: la riforma elettorale, la legge sul conflitto di interessi, il reddito di cittadinanza, la cancellazione dei rimborsi elettorali… Noi le condividiamo, dunque se venissero presentate in Parlamento, seriamente e senza trucchi, le voteremmo; anzi le presenteremmo noi per primi.
Il problema, però, è che non le condivide Bersani. Ti ricordi quando gridava (vabbe’, dai: rantolava) che il reddito di cittadinanza era una promessa populista e insostenibile? E che i rimborsi elettorali sono essenziali per la democrazia? E la riforma elettorale, la legge sul conflitto di interessi, perché non le ha fatte quando governava?
Secondo te, veramente il PD dopo le elezioni ha avuto una crisi di coscienza ed è diventato buono, e ha deciso che improvvisamente voleva aiutare i “grillini” a realizzare il loro programma di stravolgimento dell’Italia, andando contro gli interessi che lo sostengono da anni? Per crederci, bisogna essere veramente ingenui o molto piddini.
Se per il Paese è necessario un governo che porti avanti il programma del M5S, una strada c’è: far fare il governo al M5S, e che siano gli altri a dargli fiducia. Ma se questa strada ti pare eccessiva, ce n’è ancora un’altra: un governo di persone super partes (ma veramente, non come Monti & c.) che si proponga con quel programma lì. Ma persino se dovessero fare il governo PD-PDL con relativa fiducia, basta che proponga quelle cose lì e noi le voteremo: non è che perché fanno il governo col PDL allora non possono più portare avanti questi punti, se veramente li vogliono fare.
Quello che non puoi pensare, invece, è che il Movimento 5 Stelle possa promuovere la nascita di un governo di Bersani e di Monti (son già talmente alleati che manco c’è bisogno di dirlo), con ministri tipo Enrico Letta e Rosy Bindi, per poi magari vedere questo governo far passare ogni genere di porcata senza nemmeno transitare dal Parlamento, a botte di decreti e di sottogoverno, costringendoci nel frattempo a tenerlo vivo per completare riforme che “casualmente” si impantanerebbero esattamente come si sono impantanati il taglio degli stipendi dei parlamentari e l’abolizione delle province durante il precedente governo Monti-Bersani.
Quindi ti ringrazio per la tua proposta e ti rassicuro che noi la porteremo avanti senz’altro, ma che non siamo così ingenui da pensare che improvvisamente gli stessi che hanno rovinato l’Italia muoiano dalla voglia di cambiarla. E per favore, dì a Pierlu Smacchiagiaguari che la smetta di dire “venite a dirmelo in Parlamento” e di rivolgersi direttamente ai nostri neoparlamentari cercando di convincerli a votare la fiducia (magari in cambio di un ministero), che magari il pirla che ci casca lo trova pure, ma in generale come tentativo di spaccarci è piuttosto patetico.
Con stima,
Vittorio Bertola, consigliere comunale M5S Torino"

martedì 12 febbraio 2013

LA DELINQUENZA DELL' INPS - Decine di migliaia di donne perderanno la pensione di invalidità civile..

Decine di migliaia di donne perderanno la pensione di invalidità civile. Di più: dovranno restituire quanto percepito da dieci anni in qua. È il rischio che corre soprattutto “l’altra metà del cielo”, complice l’orientamento di qualche avvocatura dell’Inps che ha fatto finire il contenzioso in Cassazione con insidie pesanti per l’assistenza agli invalidi.

«Finora», spiega l’avvocato previdenzialista Sante Assennato, «il limite di reddito per ottenere la pensione o l’assegno di invalidità è stato individuale, fissato rispettivamente a 16mila 500 e 4mila 650 euro all’anno a seconda della percentuale di perdita della capacità lavorativa». «Ora», continua, «complice l’orientamento equivoco dell’Inps, che in sede amministrativa riconosce e in sede giudiziaria nega, gli stessi livelli di reddito massimo diventano coniugali». Ma una soglia così, comporterebbe «l’estinzione fisica della coppia». Se l’asticella del reddito fosse rispettivamente fissata per entrambi i coniugi in 4mila e 650 euro per l’assegno, e in 16mila 500 per la pensione, questi «morirebbero di fame prima».

«Per 34 anni», spiega ancora Assennato, «tanto per l’assegno quanto per la pensione gli stanziamenti delle leggi di bilancio dello Stato hanno previsto limiti reddituali personali: una deroga a questa prassi rappresenterebbe la più grave controriforma in materia assistenziale con conseguenze devastanti soprattutto per la donna». Sia la pensione, sia l’assegno di invalidità, infatti, «in un mercato del lavoro a forte prevalenza maschile sono volti alla tutela delle figure più deboli nel momento in cui, per motivi di salute, perdono la capacità di lavorare in maniera significativa: oltre il 74 per cento per l’assegno o del 100 per cento per la pensione.

Ma il balletto dei comunicati dell’Inps e del ministero del Lavoro sembra rappresentare plasticamente la prassi antica dello «scarica barile». Un gioco a passare il cerino per non bruciarsi, rinviando la materia alle decisioni della magistratura. Mercoledì 13 febbraio prossimo, infatti, saranno i giudici della sezione Lavoro della corte di Cassazione a decidere sui livelli di reddito, stante il permanere di un silenzio colpevole sia da parte del ministero sia da parte dell’Inps. Entrambi nei loro pronunciamenti, a partire dal 12 gennaio, richiamano la necessità di una nuova «valutazione», di una «indagine», di una «istruttoria».

sabato 2 febbraio 2013

Che “catastrofe” questo anticomunismo!

“Curiosamente, in un’Italia in cui il presidente del Consiglio richiama spesso i suoi concittadini a vigilare nei confronti di un pericolo comunista mai superato, è proprio da uno storico come Hobsbawm (che non ha mai rinnegato del tutto gli ideali comunisti abbracciati in gioventù) che viene presa in prestito quest’anno la traccia del tema.” Ma allora spetta ad un fido collaboratore del Corriere della Sera, Giovanni Belardelli, da cui abbiamo preso a prestito l’ottimo incipit dell’articolo, tentare di rimettere le cose a posto, interpretando in modo non proprio calzante il pensiero dell’autore, attribuendo presunti errori di traduzione all’edizione italiana… Tutto comincia quando i commissari aprono le schede del Ministero e consegnano le tracce agli studenti. Sorprendentemente il tema storico – tipologia C – si basa su una citazione di Eric Hobsbawm, lo storico comunista inglese, autore del “Secolo Breve”, libro dal quale la citazione è tratta. Si tratta per l’appunto della definizione che Hobsbawm da del ‘900 (a cavallo tra pagina 17 e 18 nella più diffusa edizione del libro a cura della BUR) Scrive Hobsbawm: “la struttura del Secolo breve appare come quella di un trittico o di un sandwich storico. A un’Età della catastrofe, che va dal 1914 sino ai postumi della seconda guerra mondiale, hanno fatto seguito una trentina d’anni di straordinaria crescita economica e di trasformazione sociale, che probabilmente hanno modificato la società umana più profondamente di qualunque altro periodo di analoga brevità. Guardando indietro, quegli anni possono essere considerati come una specie di Età dell’oro, e così furono visti non appena giunsero al termine all’inizio degli anni ’70. L’ultima parte del secolo è stata una nuova epoca di decomposizione, di incertezza e di crisi – e addirittura, per larghe parti del mondo come l’Africa, l’ex URSS e le ex nazioni socialiste dell’Europa orientale, un’Età di catastrofe”. La traccia chiedeva agli studenti di valutare criticamente la periodizzazione proposta da Hobsbawm e soffermarsi sugli eventi che a suo parere caratterizzano gli anni ’70 del Novecento. Il tema è stato inizialmente etichettato dai giornali e dai mezzi di informazione come tema “sugli anni ‘70” intendendo con questa espressione il complesso degli avvenimenti storici verificatisi in Italia durante gli anni ’70, che nell’immaginario collettivo richiamano alla strategia della tensione, alla lotta armata dei gruppi di sinistra, allo scontro tra giovani di destra e di sinistra ecc… Nulla di questo aveva in realtà a che fare con la traccia, ma l’idea era talmente radicata che persino uno storico come Villari che ha trovato fuori posto la citazione rispetto agli anni ’70. In effetti il tema richiedeva ben altro: l’analisi critica della periodizzazione proposta da Hobsbawm, evidentemente con riferimento al concetto stesso di secolo breve, concentrandosi particolarmente sugli anni ’70 de secolo, non in relazione agli eventi italiani, ma come periodo di fine del boom economico ed inizio della crisi del sistema capitalistico, di susseguirsi di eventi – in questo certamente compresi i movimenti sociali esplosi in quegli anni - che sono legati strettamente a quanto sta accadendo oggi. Come giustamente messo in evidenza da Hobsbawm infatti, la fine del secolo XX è una nuova epoca di incertezza e di crisi, concetto che, con lo sguardo successivo, possiamo tranquillamente estendere ai primi anni del nuovo millennio. Ma la più curiosa delle interpretazioni viene da Giovanni Belardelli sul Corriere della Sera. Nella nota di commento alla traccia Belardelli, relativamente alle ultime considerazioni citate dal “Secolo Breve” afferma: “In questo caso, però, porta del tutto fuori strada la definizione di «età di catastrofe» presente nella citazione del libro di Hobsbawm, soprattutto se ci si riferisce, come egli fa, alla ex Urss e alle ex «nazioni socialiste» dell’Est europeo: per quanto si vogliano sottolineare (a cominciare dalla Russia attuale) i problemi e le incertezze della transizione alla democrazia avvenuta in quei Paesi, è indubbio che per chi vi vive la situazione sia enormemente migliorata rispetto a quella precedente il 1989.” Secondo Belardelli il pensiero dell’autore sarebbe distorto da una errata traduzione in cui il termine “landslide” (frana) sarebbe stato tradotto con “catastrofe” equiparando in questo modo i primi anni del ‘900 fino alla seconda guerra mondiale con il periodo successivo alla fine del socialismo reale. Ma cosa avrà scritto davvero Hobsbawm? “The last part of the century was a new era of decomposition, uncertainty and crisis- and indeed, for large parts of the world such as Africa, the former U.S.S.R. and the formerly socialist parts of Europe, of catastrophe.” Il termine “catastrofe” non è un errore di traduzione, ma come si può facilmente vedere il termine utilizzato da Hobsbawm nella versione originale. Perché prendersela tanto con questo termine? Secondo Belardelli infatti i popoli “liberati” dal comunismo sarebbero in una condizione migliore rispetto a prima, e pertanto gli studenti italiani sarebbero fuorviati da un errore di traduzione che farebbe dire al grande storico quello che non si può proprio dire: sotto il socialismo si stava meglio che adesso. Ma a dire la verità Hobsbawm dice proprio questo… E a ben vedere è ormai enorme la massa di dati che confermano questa tesi. L’anno scorso il tema venne affrontato in occasione dell’anniversario della caduta del muro di Berlino quando un’inchiesta di Lancet – pubblicata su autorevoli giornali, tra cui lo stesso Corriere della Sera – affermò che il passaggio al capitalismo era costato un milione di morti e che le privatizzazioni, e la fine del sistema di assistenza fornito dallo Stato nei paesi dell’Est, aveva aumentato il tasso di mortalità del 13%. L’Ostalgia e i fenomeni analoghi che si respirano nelle ex repubbliche socialiste dimostrano come gran parte dei popoli orientali abbiano compreso bene la natura della “libertà” occidentale, in cui la svendita del sistema statale a vantaggio di pochi ha prodotto un danno enorme per la collettività. Senza contare il costo umano e politico che guerre, come nella ex Jugoslavia, hanno prodotto. Insomma Hobsbawm può ben affermare a ragione che per quei popoli la fine del socialismo è stato l’inizio della catastrofe. L’atteggiamento del fido Belardelli dimostra chiaramente la paura che esiste nel trattare questo argomento, in modo particolare in un momento storico come questo in cui la crisi economica lascia disperatamente aperta la ricerca di un’alternativa. E proprio nella negazione dell’alternativa, nello specifico non perdendo occasione per negare la possibilità che il socialismo rappresenti un’alternativa, il buon Belardelli fa il suo omaggio al sistema, cercando di ridurre Hobsbawm a un piccolo narratore di fatti, di cui nel nostro paese ci sono già validissimi esempi. Per una volta, forse inconsapevolmente, un tema ha effettivamente sviluppato un dibattito critico su questa questione. Certamente complesso e difficile per gli studenti, anche a causa di qualche mancanza nell’insegnamento della storia nella scuola italiana, ma sicuramente un tema che non ti aspetti. Quello che ci si aspetta invece è proprio quello che ha fatto Belardelli, ricorrendo addirittura ad un presunto errore di traduzione per sminuire la portata delle affermazioni di Hobsbawm. Si può ridere e si può scherzare definendosi “comunisti” come sinonimo di antiberlusconiani, esercito tra le cui fila possiamo orami arruolare anche il Corriere della Sera. Ma i comunisti veri sono sempre un pericolo, meglio metterli a tacere. Belardelli ci ha provato, ma non ci è riuscito. Che “catastrofe” questo anticomunismo! da www.senzatregua.org

Lo share di Grillo nelle piazze a 5 stelle - Davide Vecchi - Il Fatto Quotidiano


A Mario Monti hanno tirato le uova, Silvio Berlusconi teme di finire bersagliato da ben altro. Così, nuovi e vecchi politici evitano le piazze e il confronto diretto con i cittadini. Questa è la primacampagna elettorale senza comizi di piazza. Escluso Beppe Grillo che, con il suo Tsunami Tour, non solo sta attraversando le piazze d’Italia ma le riempie come nessuno prima. Con un obbiettivo, a metà tra sogno e scommessa: riempire piazza San Giovanni a Roma, luogo di raduno per eccellenza delle manifestazioni della sinistra, scippata ieri al Pd per la serata di chiusura della campagna elettorale il 22 febbraio. “La Questura ci ha concesso San Giovanni e noi ci vedremo lì per una serata che passerà alla storia”, ha gridato ieri sera Grillo, appresa la notizia, dal palco in piazza Politeama a Palermo. Anche questa piena a vista d’occhio: qualcosa come diecimila persone. E altrettante collegate via internet, a seguire il comizio in streaming.
Grillo rischia di smentire il vecchio assioma “piazze piene ed urne vuote” di Pietro Nenni: secondo i sondaggisti, infatti, il comico genovese conquista consenso su consenso proprio grazie alla sua presenza tra la gente. “Guadagna un punto percentuale alla settimana e sale sempre più rapidamente”, dice Nicola Piepoli. “Grillo è un eroe del nostro tempo. Ha capito che oggi si vince usando le vecchie tecniche: contatto diretto con la persone, comizi e ancora comizi”. Con Piepoli concorda Renato Mannheimer. “Le piazze non possono sostituire le tv – premette il sociologo – ma Grillo in tv c’è, pur non andandoci fisicamente, ma se ne parla proprio perché riempie le piazze ed è un evento”. Il comico genovese conquista due piazze al giorno. Ieri Trapani e Palermo, la scorsa settimana Livorno e Firenze, Pesaro e Salerno, Lecce, Grosseto, Siracusa. Ovunque un bagno di folla. “Vada come vada, abbiamo già vinto”, ha detto ieri nel pomeriggio a Trapani. “Questo non è un movimento, è un virus, una sorta di epidemia. A maggio ci saranno le amministrative: non ci fermano più”, ha gridato poi a Palermo. Presenza scenica, capacità dialettica, battute. Grillo conosce le proprie capacità e le sfrutta al meglio. Come dice Mannheimer “non tutti i politici di oggi sono in grado di fare comizi, in più Grillo ha una esperienza importante alle spalle sui palcoscenici”. E si vede. Ma non basta. Perché Grillo sembra sapere ciò che dice. Conquista applausi anche quando parla di quote latte, bilanci statali, spread e armamenti. Se qualcuno lo contesta lui lo fa salire sul palco, lo lascia parlare. “E alla fine quello lo voterà perché è stato ascoltato”, dice Piepoli. Un eroe, Grillo. Che sa bene contro chi gioca. “Gente che ha paura di uscire a farsi vedere per strada: Bin Loden lì non sa neanche cosa è un comizio”, ripete ormai da ogni palco. Torto non ne ha. Gli altri leader si nascondono in teatri e luoghi chiusi.
Domani, per dire, il signore di Arcore annuncerà la nuova promessa elettorale agli italiani da una sala ipercontrollata della Fiera di Milano. Finiti i tempi dei predellini e dei bagni di folla in strada. Meglio nascondersi. Neanche la Lega fa più comizi. Il segretario del Carroccio, Roberto Maroni, per lanciare la sua candidatura a governatore della Lombardia ha affittato, sempre per domani, il teatro Nuovo in San Babila. Il suo avversario Giorgio Ambrosoli sta girando le città lombarde ma già ieri, alla seconda tappa, ha ripiegato in una sala. Persino Pierluigi Bersani a una delle tante piazze di Firenze, ieri per ufficializzare la collaborazione di Matteo Renzi, ha preferito il teatro Obihall.
Cari vecchi comizi addio. “E sono dei cretini, dei cretini”, sentenzia Piepoli. “Oggi si vince con i vecchi metodi: manifesti e piazze, la gente non è stupida e cerca il contatto umano, lo vuole, lo premia”. Per questo, dice, Grillo vola. “In Sicilia ha vinto alle regionali perché c’era arrivato a nuoto, perché si è fatto vedere, toccare; perché ha ascoltato o almeno ha finto di farlo”.
Finito il tour sull’isola, oggi e domani Grillo sarà in Emilia Romagna, poi due giorni in Sardegna. Dal sei febbraio attraverserà le città del Nord per poi andare verso Roma dove il 22 febbraio chiuderà la campagna elettorale in piazza San Giovanni. Con il sogno di riempierla e “fare la storia” perché, ripete anche a Palermo, “non ci fermano più, non ci ferma più nessuno”.