sabato 14 maggio 2011

FESTA MILAN SCUDETTO: E il Cavaliere studia un mega-spot in extremis

È un megaspot quello che sta organizzando il Cavaliere per tirare il rush finale a Letizia Moratti, un piano che può contare su una "coincidenza" straordinaria: la festa del Milan a piazza Duomo. Oggi pomeriggio, giornata in teoria di silenzio elettorale, a partire dalle cinque l'intero centro cittadino si trasformerà infatti in una grande kermesse rossonera per celebrare il "trionfo" del "presidente che ha più vinto nella storia del calcio".

La festa del Diavolo si sarebbe dovuta tenere inizialmente dopo la partita del Milan con il Cagliari a San Siro, ma Berlusconi ha chiesto di anticipare tutto per sfruttare meglio i Tg della sera. E in piazza Duomo verranno allestiti dei megaschermi che celebreranno i 25 anni di Milan berlusconiano. Non è nemmeno escluso che il premier - se riuscirà a convincere gli uomini della sicurezza - salga sul pullman scoperto per il city tour con i campioni d'Italia. La kermesse calcistico-politica consentirà a Berlusconi di bucare il video a dispetto della par condicio, ma non è l'unica arma segreta che il Cavaliere intende sfruttare per saturare fino all'ultimo giorno utile la campagna elettorale. Domenica infatti andrà a votare alla scuola Dante Alighieri di via Scrosati e, come già successo numerose altre volte, sarà un'altra occasione per violare l'obbligo del silenzio. Ma non è finita. Perché dopo il candidato-presidente del Milan e il candidato-al-seggio, la terza occasione di parlare 
il Cavaliere se la regalerà lunedì, a urne ancora aperte, come candidato-imputato. È già prevista udienza al processo Mills e Berlusconi conta di sfruttare l'effetto-comizio contro i pm che lo inquisiscono.

Un diluvio di dichiarazioni, che va a sommarsi alla congestione di interviste televisive di quest'ultima settimana. Il tutto nella convinzione che "a Milano non ci possiamo permettere di andare al ballottaggio, la partita va chiusa subito al primo turno". Un timore che si è acuito dopo la lettura dei sondaggi, che hanno certificato l'erosione di consenso del sindaco uscente per il colpo basso rifilato a Pisapia. Tanto che ora i due candidati sarebbero alla pari. Nel Pdl si spera quindi che le divisioni nel campo del centrosinistra possano regalare alla Moratti la vittoria al primo turno. E non solo per la presenza della lista cinque stelle di Beppe Grillo. "Se vince Pisapia - riflette Giorgio Stracquadanio, uno degli spin del sindaco - è la vittoria della linea Vendola-Bindi e una grande sconfitta della segreteria Bersani. Anche a una parte del Pd conviene far vincere Moratti".

L'altra partita aperta è quella di Napoli, anche se Lettieri stacca notevolmente i due inseguitori di sinistra. Il ballottaggio è praticamente certo e a quel punto il Pdl spera in un confronto con il prefetto del Pd: "Morcone è in risalita su De Magistris - confida Nicola Cosentino al termine del comizio di Berlusconi alla fiera d'Oltremare - e per noi non è una notizia negativa". In ogni caso il coordinatore del Pdl è sicuro che al ballottaggio la partita si chiuderà senza troppi sforzi: "Il terzo polo sarà un fiasco e l'Udc farà votare Lettieri al secondo turno. Cos'altro possono fare? Casini già governa con noi in provincia e in regione!".

L'unico cruccio dei napoletani è il no della Lega alla moratoria per le demolizioni delle case abusive. Incontrando i maggiorenti del partito Berlusconi li ha rassicurati: "Tranquilli, con la lega andrà tutto a posto". Un ottimismo fondato anche su un'operazione segreta grazie alla quale il premier è convinto di riuscire ad addolcire la pillola per il Carroccio. Dopo le amministrative Berlusconi intende infatti mettere mano al governo, offrendo un altro ministero a Umberto Bossi. "Un ministero andrà a loro, siamo già d'accordo - ha spiegato il Cavaliere - ma non dovete preoccuparvi. Ho deciso che nominerò ministro un uomo del Sud per compensare la presenza del leghista". Anzi, "se la Lega insisterà per portare un ministero al Nord, ne poteremo uno anche a Napoli". 
 

giovedì 12 maggio 2011

LA LEGGE EL 2006 PER DEPENALIZZARE I REATI DI VILIPENDIO DI B . E DEI LEGHISTI



Legge 24 febbraio 2006, n. 85

"Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione"

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo 2006



Art. 1.
    1. L’articolo 241 del codice penale è sostituito dal seguente:
    «Art. 241. - (Attentati contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti violenti diretti e idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza o l’unità dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni.
    La pena è aggravata se il fatto è commesso con violazione dei doveri inerenti l’esercizio di funzioni pubbliche».
Art. 2.
    1. L’articolo 270 del codice penale è sostituito dal seguente:
    «Art. 270. - (Associazioni sovversive). – Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette e idonee a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l’ordinamento politico e giuridico dello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
    Chiunque partecipa alle associazioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da uno a tre anni.
    Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni di cui al primo comma, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento».
Art. 3.
    1. L’articolo 283 del codice penale è sostituito dal seguente:
    «Art. 283. - (Attentato contro la Costituzione dello Stato). – Chiunque, con atti violenti, commette un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di governo, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni».
Art. 4.
    1. L’articolo 289 del codice penale è sostituito dal seguente:
    «Art. 289. - (Attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali). – È punito con la reclusione da uno a cinque anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette atti violenti diretti ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente:
        1) al Presidente della Repubblica o al Governo l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge;
        2) alle assemblee legislative o ad una di queste, o alla Corte costituzionale o alle assemblee regionali l’esercizio delle loro funzioni».
Art. 5.
    1. L’articolo 292 del codice penale è sostituito dal seguente:
    «Art. 292. - (Vilipendio o danneggiamento alla bandiera o ad altro emblema dello Stato). – Chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. La pena è aumentata da euro 5.000 a euro 10.000 nel caso in cui il medesimo fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale.
    Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibile o imbratta la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la reclusione fino a due anni.
    Agli effetti della legge penale per bandiera nazionale si intende la bandiera ufficiale dello Stato e ogni altra bandiera portante i colori nazionali».
Art. 6.
    1. L’articolo 299 del codice penale è sostituito dal seguente:
    «Art. 299. - (Offesa alla bandiera o ad altro emblema di uno Stato estero). – Chiunque nel territorio dello Stato vilipende, con espressioni ingiuriose, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, la bandiera ufficiale o un altro emblema di uno Stato estero, usati in conformità del diritto interno dello Stato italiano, è punito con l’ammenda da euro 100 a euro 1.000».
Art. 7.
    1. L’articolo 403 del codice penale è sostituito dal seguente:
    «Art. 403. - (Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone). – Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000.
    Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto».
Art. 8.
    1. L’articolo 404 del codice penale è sostituito dal seguente:
    «Art. 404. - (Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose). – Chiunque, in luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo una confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto, ovvero commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000.
    Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto è punito con la reclusione fino a due anni».
Art. 9.
    1. All’articolo 405 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
        a) al primo comma, le parole: «del culto cattolico» sono sostituite dalle seguenti: «del culto di una confessione religiosa»;
        b) alla rubrica, le parole: «del culto cattolico» sono sostituite dalle seguenti: «del culto di una confessione religiosa».
Art. 10.
    1. L’articolo 406 del codice penale è abrogato.
    2. Al libro secondo, titolo IV, capo I, del codice penale, la rubrica è sostituita dalla seguente: «DEI DELITTI CONTRO LE CONFESSIONI RELIGIOSE».
Art. 11.
    1. All’articolo 290, primo comma, del codice penale, le parole: «con la reclusione da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «con la multa da euro 1.000 a euro 5.000».
    2. All’articolo 291 del codice penale, le parole: «con la reclusione da uno a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «con la multa da euro 1.000 a euro 5.000».
    3. All’articolo 342 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
        a) al primo comma, le parole: «con la reclusione fino a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «con la multa da euro 1.000 a euro 5.000»;
        b) al terzo comma, le parole: «è della reclusione da uno a quattro anni» sono sostituite dalle seguenti: «è della multa da euro 2.000 a euro 6.000».
Art. 12.
    1. Gli articoli 269, 272, 279, 292-bis e 293 del codice penale sono abrogati.
Art. 13.
    1. All’articolo 3, comma 1, della legge 13 ottobre 1975, n. 654, sono apportate le seguenti modificazioni:
        a) la lettera a) è sostituita dalla seguente:
        «a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;»;
        b) alla lettera b), la parola: «incita» è sostituita dalla seguente: «istiga».
Art. 14.
    1. All’articolo 2 del codice penale, dopo il secondo comma è inserito il seguente:
    «Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell’articolo 135».
Art. 15.
    1. Alle violazioni depenalizzate dalla presente legge si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507.

mercoledì 11 maggio 2011

Rifiuti Napoli, 3000 tonnelate in strada. La collezione di fallimenti di B. continua.

Sono 1380 le tonnellate di immondizia raccolte e sversate nella notte a Napoli dai mezzi dell'Asia, ma ne restano per strada altre 3000. E' la stima fornita da Paolo Giacomelli, assessore all'Igiene del Comune di Napoli, che è arrivato in via Ferrante Imparato, nel quartiere di Gianturco, dove i mezzi dell'Esercito sono entrati in azione per ripulire la città.

"Il problema non viene risolto dall'esercito - dice - il loro intervento non è decisivo, ma la presenza dei militari è il segnale di un'attenzione da parte delle istituzioni". L'intervento dell'esercito, come ha precisato "avrà un impatto ridotto". Giacomelli ribadisce che il problema non è la raccolta dei rifiuti, ma il loro conferimento. "Non si sa dove portarli - afferma - ma il sistema impiantistico non è adeguato". Per questo nel pomeriggio di ieri la raccolta "si è bloccata, per poi riprendere in serata". "Aveva senso prima, nella precedente emergenza la presenza dei militari - aggiunge l'assessore - a pochi giorni dal voto sembra operazione meno vicina alla città. Non riusciamo a trovare una soluzione. Io ho il compito di gestire questa situazione ancora per poche settimane e vorrei garantire ai cittadini la possibilità di non avere rifiuti per strada". "Il nostro punto debole è che avremmo potuto fare più e meglio la raccolta differenziata - conclude - bisogna evitare le polemiche. In Campania, sanno tutti che ai Comuni spetta l'obbligo della raccolta, lo smaltimento alle Province e alla Regione il coordinamento dei flussi".

Nella polemica è intervenuto anche il procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore. "Per risolvere il problema rifiuti a Napoli occorre creare discariche - ha detto - Ma farle a norma di legge e con persone competenti". "L'emergenza rifiuti è una vera vergogna - ha aggiunto - e se Napoli è piena di 'munnezza' non è certo colpa dei magistrati. Noi alle accuse infondate abbiamo risposto con i fatti". Quanto alla discarica di Chiaiano, in parte sotto sequestro per eseguire carotaggi. Lepore spiega: "Abbiamo posto i sigilli solo a una piccola parte proprio perché abbiamo la consapevolezza dei problemi che affliggono la città, anche se per noi andava sequestrata tutta".

Affitti irregolari, sconti fino al 90% a chi denuncia

Questa volta potrebbe essere davvero la fine per gli affitti in nero, grazie a un'ideuzza infilata nel decreto sul federalismo municipale che davvero non sembra lasciare scampo a chi evade. Secondo la legge, entrata in vigore il 7 aprile scorso, per mettere in regola gli affitti in nero, oppure quelli registrati ma con un canone inferiore a quello effettivo, o infine i finti contratti di comodato (prestito gratuito dell'immobile) c'è ancora meno di un mese. Poi, dal 7 giugno, scatta una tagliola che può rivelarsi dolorosissima per i proprietari.

Il decreto legislativo sul federalismo municipale dispone infatti che se nei successivi 60 giorni, cioè entro il 6 giugno, gli affitti non vengono spontaneamente regolarizzati dal proprietario, l'inquilino può denunciare la situazione all'Agenzia delle entrate godendo di forti benefici, cioè di un nuovo contratto regolare della durata di quattro anni più quattro e di un canone che, dice il comma 8 dell'articolo 3, sarà «pari al triplo della rendita catastale». Si tratta di un maxisconto rispetto ai canoni di mercato. Secondo i calcoli delle associazioni degli inquilini, nelle grandi città come Roma e Milano l'affitto in questi casi potrebbe scendere del 70-90%. Per esempio, al posto di 10 mila euro all'anno pagati in nero per un trilocale in periferia se ne potrebbero pagare poco più di duemila. Sui siti delle associazioni dei proprietari, degli inquilini e dei consumatori non a caso già campeggiano i link: «Attenzione al 6 giugno».

L'avviso interessa, secondo le stime, circa mezzo milione di contratti non registrati (e quindi un milione di persone tra proprietari e inquilini), ai quali vanno sommati i contratti registrati per somme inferiori a quelle reali e i falsi comodati (ma qui le stime sono impossibili). A causa degli affitti in nero lo Stato incassa almeno un miliardo di euro di Irpef in meno all'anno. Ci sono poi le mancate imposte di registro e l'evasione sulle tasse locali. L'Agenzia delle entrate guidata da Attilio Befera ha cominciato a inviare la prima tranche di accertamenti 2011 sull'evasione più facile da scoprire, quella che emerge incrociando i dati dei contratti regolarmente registrati con le dichiarazioni dei redditi dei proprietari. Sono stati scoperti così 33.367 casi di non corrispondenza (mancata denuncia del canone nel 730 o nel modello Unico oppure per importi inferiori). Ai primi posti ci sono la Lombardia con 5.400 accertamenti e il Lazio con 5.112. Una seconda tranche di notifiche partirà nella seconda parte dell'anno.

Nel 2010, l'Agenzia delle entrate incrociando i dati riferiti agli anni d'imposta 2004 e 2005 ha accertato circa 123 milioni di Irpef evasa. Quest'anno è sotto esame il 2006 e poi toccherà alle annualità più recenti. Molto di più, però, ci si attende dalla tagliola del 6 giugno, che colpirà soprattutto gli affitti totalmente in nero. Qui il contrasto di interessi tra il proprietario che rischia grosso e l'inquilino che viene premiato se denuncia il contratto in nero dovrebbe funzionare. Secondo stime del Sole 24Ore del lunedì, a Milano e Roma, dove i contratti non registrati sono tra il 33% e il 46%, si potrebbero recuperare diverse centinaia di milioni di euro. Tassi di evasione totale ancora maggiori si riscontrerebbero in alcune città del Sud come Potenza (67% dei contratti non registrati), Catanzaro (60%) e Campobasso (49%), mentre a Napoli il nero sarebbe pari al 45%. Decisamente più bassa, invece, l'evasione stimata al Nord (5-20%).

Accanto all'azione repressiva (sui contratti registrati dopo il 6 giugno si pagheranno anche sanzioni doppie) il decreto sul federalismo municipale prevede però anche meccanismi incentivanti per il proprietario, come la cedolare secca. Si tratta della possibilità di pagare un'imposta forfettaria sostitutiva del prelievo Irpef. Che sarà pari al 21% dell'affitto riscosso se il contratto è a canone libero e del 19% se invece è a canone concordato. Nel primo caso la cedolare conviene sempre se l'affitto si somma a redditi superiori a 15 mila euro l'anno. Nel secondo, se si aggiunge a redditi di almeno 20 mila euro.

martedì 10 maggio 2011

Il disastro ambientale del Cavaliere

Meno nota e non sempre sotto i riflettori, la (non) politica ambientale dei vari governi Berlusconi ha provocato effetti disastrosi da molti punti di vista: la salute, la fertilità dei suoli, la sicurezza alimentare, il riscaldamento climatico, le frane e le alluvioni. Oltre a distruggere il nostro ecosistema, ha un costo economico e sociale enorme che ricade soprattutto sui soggetti più deboli.

Il problema

Il filo rosso che attraversa e orienta la politica ambientale dei governi Berlusconi dal 1994 ad oggi è efficacemente espresso dallo slogan «Padroni a casa propria», con cui Forza Italia vinse le elezioni politiche del 1994. Questo slogan, usato ripetutamente a sostegno delle scelte liberiste della politica ambientale, ne esprime bene anche le ambiguità: dichiara di voler sostenere la libertà individuale di tutti i cittadini, mentre nella sostanza serve a costruire e foraggiare l’alleanza con le forze della rendita, della speculazione, degli affari e spesso della malavita organizzata. L’ambientalismo berlusconiano si fonda sull’ideologia del «mercato senza regole», della privatizzazione di tutto quello che è «comune» o statale, dell’equiparazione tra il pubblico e il privato, della cancellazione dello Stato ridotto a impresa.

Tra il berlusconismo e l’ambiente esiste una contrapposizione insanabile e a priori: il primo si basa sul privato e sull’arricchimento individuale, sull’appropriazione individuale delle risorse naturali, sociali e culturali, sul governo della cosa pubblica da parte di un comitato d’affari; il secondo, sul pubblico e sulle regole, sui beni comuni, sul rispetto della natura e dei suoi cicli vitali, sulla giustizia ambientale oltre che su quella sociale, sulla democrazia intesa come partecipazione dei cittadini alle scelte che regolano la loro vita.

Negli anni Ottanta, e in particolare con la caduta del Muro di Berlino, l’ideologia del libero mercato ha fatto breccia anche nelle forze politiche di sinistra – in tutta la gamma delle sue articolazioni – e questo ha aperto un varco importante per il diffondersi in Italia di una destra populista, che si autodefinisce «liberale». Il rispetto delle regole e il controllo sulla loro applicazione non fanno parte del resto della tradizione italiana, come avviene in altri paesi europei; la cultura ecologista è nata in Italia molto più tardi che nel resto d’Europa e «il mattone» è un male antico, che trovava giustificazione in passato quando il paese era povero e la casa di proprietà era un fattore di sicurezza, e ne trova una anche oggi perché il costo delle abitazioni e il livello degli affitti è proibitivo per la stragrande maggioranza della popolazione rispetto al livello dei salari, molto di più di quanto non avvenga negli altri paesi europei. L’edilizia continua inoltre a essere considerata il motore o volano dello sviluppo da parte delle forze produttive – imprenditoriali e del lavoro – senza alcun serio ripensamento sui limiti intrinseci e sulla pochezza di un tale modello di sviluppo.

Nel secondo dopoguerra, anche in Italia c’è stata una stagione positiva di pianificazione territoriale e una «primavera» ambientale, che hanno prodotto strumenti e leggi di regolazione, ora nel mirino della destra al potere. Il berlusconismo, coadiuvato dalla Lega, ha cavalcato la situazione dando dignità di progetto politico a un disegno reazionario, senza trovare un’opposizione convinta da parte delle forze politiche di sinistra. Nella politica ambientale di questo governo c’è molta arroganza ma anche ignoranza sul ruolo insostituibile delle regole nella convivenza umana e dei servizi ecosistemici che la natura offre gratuitamente a tutti noi.

Gli effetti sono disastrosi da molti punti di vista: la salute, la fertilità dei suoli, la sicurezza alimentare, il riscaldamento climatico, le frane e le alluvioni, e hanno anche un notevole costo economico che pesa sulle casse dello Stato e che potrebbe essere evitato con politiche di prevenzione. Questa politica ambientale è inoltre iniqua e ingiusta, perché il suo costo ricade soprattutto sui soggetti più deboli – bambini, anziani e meno abbienti – e appare tanto più grave in un paese come l’Italia geologicamente giovane, fragile e instabile dal punto di vista idrogeologico sia nella pianura padana che lungo l’Appennino.

Uno sguardo d’insieme

La politica ambientale dei governi Berlusconi – che resta tale anche quando è una non politica, perché l’assenza di norme è in questo caso funzionale al progetto – ha spaziato fin dall’inizio in tutte le direzioni, usando tattiche diverse a seconda delle opportunità, sempre allo scopo di ottenere il consenso del popolo, che di quelle scelte e non scelte è comunque chiamato a pagare il prezzo maggiore.

Ha tagliato fin dagli inizi il bilancio del ministero dell’Ambiente fino al 60 per cento di quest’anno e ne ha ridimensionato il ruolo modificandone la legge istitutiva; non ha finanziato nessuno dei piani di riforestazione, la cui realizzazione spetta alle regioni; nel gennaio 2010 ha concesso a quest’ultime libertà di deroga sui calendari della caccia stabiliti dalla legge 157 dell’11 febbraio 1992 per gli uccelli migratori e alcuni mammiferi come cervi, caprioli e cinghiali, con conseguenze negative sulla biodiversità; ha negato l’esistenza del cambiamento climatico in molte dichiarazioni ufficiali e paga all’Unione Europea 42 euro al secondo per violazione degli accordi climatici; usa il milleproroghe – il decreto del Consiglio dei ministri per «prorogare o risolvere disposizioni urgenti entro la fine dell’anno in corso» – per cancellare, reintegrare o istituire norme e finanziamenti come nel caso della detrazione fiscale del 55 per cento sulla spesa di riqualificazione energetica degli edifici già esistenti; o, peggio ancora, per smembrare il Parco dello Stelvio tra le province di Trento e Bolzano e la regione Lombardia e «ringraziare» in questo modo i deputati della Svp che si sono astenuti sulla mozione di sfiducia il 14 dicembre 2010; inserisce norme ambientali in coda a leggi che si occupano d’altro o gioca sulle parole per dire e non dire, come nel caso della legge sulla prima sanatoria edilizia del 1994 dove un articolo esclude dal condono le volumetrie superiori a 750 mc per edificio mentre un altro articolo precisa che l’esclusione non riguarda la volumetria dell’intero edificio ma la singola domanda di condono: basta dunque presentare due domande, per aggirare l’ostacolo. Last but not least, il federalismo demaniale approvato dal Consiglio dei ministri il 20 maggio 2010, che trasferisce agli enti locali i beni del demanio patrimoniale dello Stato, al fine della loro «valorizzazione ambientale»: ma che cosa ci può essere di ambientale nella messa sul mercato dei beni pubblici? L’idea è quella che i «gioielli di famiglia» possano restare pubblici anche se dati in gestione al privato, che ne trae un profitto con cui compensare il taglio dei trasferimenti da parte dello Stato. L’esperienza dell’acqua, in Italia e nel mondo, dimostra che la gestione privata di un bene comune serve solo a privatizzare quel bene e, con esso, lo Stato e il pubblico in generale.

Condoni edilizi e morte dell’urbanistica

Urbanistica e assetto idrogeologico del suolo sono i due terreni privilegiati della controriforma ambientale berlusconiana. Per sostenere l’edilizia, e quindi con il consenso trasversale di cittadini, costruttori, speculazione edilizia, lobby del cemento e sempre più spesso della mafia e della camorra, il governo Berlusconi ha realizzato due condoni edilizi (rispettivamente nel 1994 e nel 2003), mentre un terzo è nell’aria; ha abolito l’Ici (2008) sulla prima casa per tutti indipendentemente dalla tipologia dell’abitazione e dal livello di reddito del proprietario; ha approvato un piano di edilizia abitativa (2009) da realizzare con l’ampliamento delle abitazioni esistenti senza alcuna considerazione dei servizi pubblici che tale piano richiede e che graveranno sulla spesa pubblica. Il piano stenta a decollare per vincoli burocratici, affermano governo e Confindustria. Era già stato realizzato abusivamente, fa capire l’Istat quando informa che nei dieci anni precedenti 24 mila alloggi (e 87 mila stanze) in media ogni anno erano già stati ampliati, abusivamente e illegalmente.

Il primo condono, subito dopo l’ingresso di Berlusconi a Palazzo Chigi, era una promessa fatta in campagna elettorale, con lo slogan: «Padroni a casa propria». Il condono riguardava tutte le costruzioni abusive anche quelle realizzate nelle zone ecologicamente fragili e soggette a rischio frana, nelle aree a elevato livello di biodiversità e in quelle soggette a vincolo paesaggistico, e quindi con divieto di edificazione in base alla legge Galasso (n. 431 del 1985), perché vicine a fiumi o sulla riva dal mare; la disposizione mirava a consentire ai fiumi di avere lo spazio di espansione nei periodi di piena. Quel condono rispondeva del resto a una domanda popolare diffusa anche perché le costruzioni abusive non erano più opera della vecchia borghesia parassitaria e dei grossi speculatori sulle aree del secondo dopoguerra ma di gruppi medi di proprietari e di esponenti della nuova borghesia commerciale. La legge di condono 724 del 23 dicembre 1994 si intitolava «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica», evidenziando un altro punto fermo della politica berlusconiana, far credere ai cittadini che il nuovo governo alimenta le casse dello Stato con le entrate della sanatoria «senza mettere le mani nelle tasche degli italiani». Era una grandissima bugia, perché i costi di urbanizzazione a carico dello Stato sono stati, in questo caso, almeno 5 volte superiori alle entrate.

Il secondo condono (decreto legge 269 del 2003) è servito soprattutto a sanare il cambiamento della destinazione d’uso di magazzini e capannoni in piccole attività artigianali, palestre, supermercati e centri commerciali, discoteche e altre attività terziarie necessarie al modello di sviluppo del Nord-Est ora in crisi e alla trasformazione della pianura padana in un continuo urbano senza forma né identità. Anche in questo caso, la legge aveva un titolo ambiguo: «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici». L’esiguità delle somme stanziate per lo sviluppo – 50 milioni di euro per la riqualificazione urbanistica e 100 per la sicurezza idrogeologica – rivelarono subito l’imbroglio del titolo, che dice una cosa diversa da quella che si sta facendo.

L’abusivismo dell’era berlusconiana è un piaga storica, che la legislazione urbanistica del secondo dopoguerra non è riuscita a debellare perché l’abusivismo porta voti e perché lo Stato italiano non ha né la forza né l’autorità per far rispettare le sue leggi, specie in materia di edilizia; non per una predisposizione alla trasgressione del popolo italiano, come ha recentemente precisato Paolo Berdini (Breve storia dell’abuso edilizio in Italia, Donzelli 2010). Con i governi Berlusconi questa piaga non è più un costo da pagare ma un’opportunità da utilizzare: l’illegalità nelle costruzioni è pertanto diventata permanente. L’abusivismo edilizio tollerato, e anzi «atteso», esprime anche il tentativo di chiudere definitivamente la stagione delle leggi di regolazione urbanistica e territoriale, che avevano dato agli enti locali gli strumenti per il controllo della rendita fondiaria: l’esproprio a prezzi agricoli della aree da edificare e l’abbattimento degli edifici costruiti illegalmente. Il poker delle leggi importanti, per il periodo preso in esame, era costituito dalle seguenti leggi (tra altre): la 167 del 1962 per l’edilizia economica e popolare, la 765 del 1967 contro l’abusivismo nei centri storici, la 10 del 1978 sull’edificabilità dei suoli, la 457 del 1978 sull’edilizia residenziale.

I costi ambientali dei condoni edilizi sono molto elevati da molti punti di vista, primo tra tutti la devastazione del territorio che è in larga misura irreversibile, e quindi non quantificabile. Può essere in parte reversibile, ma a un costo elevato e nei tempi lunghi. I suoi effetti negativi dipendono da un consumo di suolo superiore a quello ecologicamente e socialmente sostenibile; dalla scomparsa di aree verdi e agricole essenziali per respirare e per un’agricoltura sana; dalla deturpazione del paesaggio; da un sistema di trasporti caotico che insegue gli insediamenti senza mai raggiungerli; dall’inquinamento idrico per la mancanza di fognature; dal degrado sociale e umano di chi è costretto a vivere lontano dai servizi e dalle scuole, senza negozi, parchi, librerie, teatri e spazi pubblici. Costi elevati si calcolano anche nell’industria edile – da quelli legati al ciclo del cemento scavato nell’alveo dei fiumi agli incidenti sul lavoro nei cantieri privi di controlli.

Già verso la fine degli anni Ottanta la pianificazione urbanistica e territoriale cedeva il passo all’urbanistica contrattata e alla privatizzazione dell’urbanistica, che consegnava le trasformazioni del territorio alla proprietà immobiliare, con il consenso e anche il concorso della sinistra entrata nell’ottica del mercato, in particolare di alcune amministrazioni come il comune di Roma delle giunte Rutelli e Veltroni. Al cuore delle politiche di privatizzazione delle nostre città c’è la proposta presentata dall’onorevole Maurizio Lupi di riforma della legge urbanistica del 1942, che da anni il governo di destra cerca di far passare in parlamento. L’obiettivo della proposta è liquidare i piani regolatori e «convincere» le amministrazioni pubbliche a scendere a patti con la proprietà fondiaria, i cui esponenti sono equiparati allo Stato. 

Osama, le tre violazioni americane

Mi duole dirlo perché, come molti lettori di Repubblica, ritengo che gli Stati Uniti siano una grande democrazia dotata di alcune ottime istituzioni e che molti politici e intellettuali statunitensi abbiano tanto da insegnarci, a noi europei. Mi duole dirlo, ma l'uccisione di Bin Laden ha costituito una seria violazione di almeno due di tre principi etico-giuridici fondamentali.

Anzitutto, informazioni iniziali intorno a un suo "corriere" sono state acquisite attraverso la tortura, autorizzata ufficialmente e mai condannata, neanche ai più alti vertici degli Usa. La norma che vieta la tortura e non la giustifica mai, dico mai, è diventata un "principio costituzionale" della comunità internazionale, e a nessuno dovrebbe essere consentito di infrangerla senza essere debitamente processato e punito. Stranamente Panetta, l'attuale capo della Cia e prossimo Segretario alla Difesa, nel 2008 condannò la tortura osservando che non può essere giustificata da ragioni di sicurezza nazionale. Poi nel febbraio 2009, davanti al Senato, affermò che l'annegamento simulato (waterboarding) era sì illegale ma, se egli fosse stato nominato capo della Cia, non avrebbe punito coloro che lo avessero commesso. Stupefacente! La tortura rimane illegittima anche nei casi in cui essa consente di ottenere utili informazioni. Chi ha torturato va punito anche in questi casi, per riaffermare il valore supremo di quel divieto.

La seconda violazione è consistita nel compiere una operazione militare in territorio pakistano senza il consenso di quello Stato. In una parola, è stata violata la sovranità del Pakistan. Ma qui Obama può invocare importanti esimenti. Islamabad aveva l'obbligo nei confronti di tutta la comunità internazionale di reprimere il terrorismo e non lo ha fatto. Questo obbligo era rafforzato da quello assunto bilateralmente nei confronti degli Usa di ricercare e arrestare Bin Laden, obbligo che aveva come "corrispettivo" la consegna statunitense al Pakistan di un miliardo di dollari l'anno. Nell'omettere platealmente e per molti annidi adempiere quell'obbligo il Pakistan ha in un certo senso legittimato una "azione sostitutiva". Il raid statunitense può essere equiparato, per certi aspetti, a quelle operazioni di salvataggio dei propri cittadini, tipo Congo (intervento dei belgi nel 1960) o Entebbe (intervento israeliano nel 1976), che sono state ritenute legittime in passato.

La terza violazione è quella di un principio fondamentale di civiltà giuridica. Uno Stato democratico non può trasformarsi in assassino, tranne che in due casi. Anzitutto nell'ipotesi di violenza bellica in atto. Ma tra gli Usa e Al Qaeda non c'è guerra, né internazionale né civile; l'azione statunitense contro le reti terroristiche di Al Qaeda è solo azione di polizia che, se intende dispiegarsi a livello internazionale, ha bisogno della cooperazione delle forze dell'ordine degli altri Stati, gli Usa non essendo un gendarme planetario. Del resto, anche in una guerra internazionale il nemico può essere ucciso solo in campo di battaglia, non a casa sua, tranne che si difenda con le armi, sparando e uccidendo; se sorpreso inerme nella sua dimora, va catturato e, se autore di crimini di guerra, processato. L'altro caso in cui lo Stato può uccidere legalmente è quando deve far eseguire con la forza ordini legittimi contro persone che deliberatamente si sottraggono all'arresto (ad esempio, si può uccidere un rapinatore che tenta di scappare sparando contro i poliziotti che cercano di catturarlo). Se uno Stato accusa uno straniero di crimini gravissimi, lo arresta (o la fa arrestare all'estero dalle autorità del luogo) e lo processa. Nel caso di Bin Laden tutto lascia pensare che l'ordine fosse di ucciderlo: era disarmato; ha opposto qualche resistenza facilmente superabile da uomini armati fino ai denti. Qui i principi etico-giuridici sono chiari. Averli trasgrediti è grave.

Mettetevi però nei panni di Obama: egli sapeva che un processo, davanti a un tribunale statunitense o internazionale, sarebbe durato per lo meno due anni (fra istruttoria, dibattimento e sentenza), con Bin Laden detenuto. Obama deve aver pensato agli innumerevoli atti terroristici che Al Qaeda avrebbe scatenato nel mondo, durante il processo. E poi: dove detenere Bin Laden, a Guantànamo, che si cerca di chiudere al più presto possibile, o in un carcere in territorio statunitense, dove nessuna delle autorità statali lo prenderebbe, per ragioni di ordine pubblico? E come evitare che Bin Laden trasformasse l'aula giudiziaria in una tribuna politica, come hanno fatto Milosevic e Karadzic all'Aja? Un processo avrebbe anche portato alla luce le collusioni della Cia con Bin Laden ai tempi dell'invasione russa dell'Afghanistan, non ché gli ambigui rapporti della Cia con l'ex capo dei servizi segreti sudanesi, Sala Gosh, per un tempo protettore di Bin Laden in Sudan. Si sarebbe trattato inoltre di un processo nel quale la presunzione di innocenza di cui avrebbe dovuto godere l'accusato sarebbe stata minima e lo sbocco finale scontato. Obama ha così optato per l'opportunità politica contro valori morali e giuridici. Il che non giustifica affatto la sua decisione, ma permette di comprenderne le motivazioni. Resta il fatto che ancora una volta la Realpolitik ha battuto l'etica ed il diritto.

Il blitz ad Abbottabad solleva un problema più generale. Negli Usa, le autorità di polizia non procederebbero mai alla tortura, perché è vietata, e inoltre ogni prova ottenuta con quei metodi non avrebbe alcun valore in un processo. Inoltre l'uso di armi letali da parte delle forze dell'ordine è strettamente regolato, e lo "stato di diritto" esige che non si possano commettere "esecuzioni extragiudiziali". Tutte queste protezioni valgono per cittadini statunitensi o per gli stranieri che abbiano commesso un reato contro un cittadino Usa. Ma dal 2011 gli Usa hanno creato un limbo sia giuridico sia territoriale (Guantànamo) per presunti terroristi stranieri, tra l'altro ammettendo la tortura. Ed ora di fatto ammettono anche le "esecuzioni extragiudiziali" con blitz all'estero. Bisogna dunque chiedersi se gli Usa ritengano che la "supremazia del diritto" valga solo al loro interno, mentre perde ogni valore nel campo delle relazioni internazionali. Se così fosse, dovremmo seriamente preoccuparci per le prossime mosse della Superpotenza planetaria, oggi ancora guidata da un uomo che, almeno a parole, dice di credere nel diritto e nella giustizia.


di Antonio Cassese, da Repubblica

lunedì 9 maggio 2011

Al Palasharp in 4.000 per Berlusconi, a Bologna in 15.000 per Grillo

Grillo non salva nessuno. Come in un videogioco. Solo che invece di arrivare a Bologna su un mezzo corazzato, pedala insieme al candidato sindaco del Movimento 5 Stelle Massimo Bugani e al consigliere regionale Giovanni Favia e Andrea Defranceschi. Sono tutti e tre su un risciò, qualche minuto prima delle 16, quando fanno il loro ingresso in piazza del Nettuno. Accanto, in piazza Maggiore, li attende il comizio, l’ultimo, di fronte a 15 mila persone. Poi il prossimo passaggio sarà nelle urne, con le elezioni amministrative del prossimo week end.

Ma prima di scendere e iniziare con il comizio, Grillo se la prende con due obiettivi: con il “palazzo” e con i suoi uomini da un lato e con i giornalisti. “Dovete vergognarvi”, sbotta quando gli viene posta una domanda sul ballottaggio. “Perché parlate di ballottaggio? Che cos’è il ballottaggio? Ma perché siete così ristretti nel vostro vocabolo? Noi stiamo cercando di cambiare generazioni che fanno politica”.

“Guardateli”, dice indicando i suoi referenti bolognesi, “sono giovani e incensurati. Trovarne di incensurati è stato un dramma. Io non rispondo a domande senza senso perché non abbiamo identità politica, per adesso siamo un programma buono che ci hanno copiato tutti”.
Eccola, l’antipolitica Grillo style, funzionale al passaggio alla politica vera e propria, quella che parla ai cittadini. E qua l’alzo zero è contro le stanze dei bottoni e coloro che le occupano, anche a livello locale e a iniziare al Partito Democratico, diventato nel linguaggio del comico genovese il “pd meno elle”. “I candidati a sindaco di Bologna? Non so chi siano. Conosco un cantante che si chiama Merola. Ma poi che dire? Sono tutti d’accordo: sono coop rosse o sono Impregilo, sono cemento, posteggi, supermercati, automobili. Arrivano, fanno raggruppamenti, fanno schede finte, liste finte, si accordano, partiti che vanno con il Pd perché sanno già che gli daranno tre consiglieri. Sono i famosi captive. In economia sono quelle aziende che lavorano per un’azienda sola. Sei fornitore della Fiat? E se laFiat va male e decide di cambiare fornitore, tu hai chiuso e non hai mercato. Allora questi radicali, la sinistra, i socialisti, i verdi: tutta questa gente non ha più mercato e si accorda con il Pd senza che si riesca più a capire che cosa sia”.

Ok, ma la formula per cambiare Bologna? “Non lo so e non vengo a dirvi come dovete fare a Bologna, lo diranno loro che ci abitano. È questa la grandezza: loro verranno votati dai cittadini bolognesi perché sono cittadini bolognesi”.

E poi avanti con i progetti che potrebbero diventare anche a Bologna oggetto di pratica amministrativa. “Siamo già in 30 Comuni con 32 consiglieri in città importanti. Non lo sa nessuno. Abbiamo già fatto dei progetti per la raccolta differenziata a Treviso, sull’energia idroelettrica per riattivare i fiumi sotterranei eBologna ne è piena. Sappiamo come elettrificare il traffico senza tram che vanno su gomma o mongolfiere su rotaie. Già con l’ibrido si potrebbe far funzionare il traffico pubblico con una fettuccia messa sull’asfalto, senza troller o fili sopra. Quando cambi itinerario sposti solo la striscia. Queste sono cose che abbiamo già in mente e che sono già state fatte. E poi ancora il car sharing o il telelavoro, il wi-fi in tutte le piazze pubbliche, l’efficienza degli edifici comunali. Questi sono progetti che prenderanno tutti. Ci hanno già copiato e siamo entusiasti che ci stiano copiando”.

Ma a questo punto, forse, si sta già parlando di politica, senza “anti”. E qua, quasi con un sospiro, Grillo afferma: “La politica è un passaggio successivo. Però io non sono in grado, non sono un politico, sono un comico”.

E da comico corre sul palco e inizia ad inanellare battute e stoccate a destra e sinistra: “Noi qui saremo poco più di duecento” scherza Grillo, riferendosi alla poca attenzione mediatica che a suo avviso gli viene offerta. “Sto girando l’Italia – continua – la gente mi abbraccia, non so cosa stia succedendo. È partito tutto da questa città e da questa piazza, con il V-Day del 2007”.

Arringa la folla con temi cari al suo Movimento, i soldi pubblici e la partitocrazia: “i partiti si dividono un miliardo di euro, vivono di soldi, la politica è soldi. Vanno sui tetti per essere solidali con operai e cassintegrati, ma nessuno ha donato a loro del denaro: rimborsi elettorali per la ricerca, per gli operai e per le scuole”. “L’unico vero referendum – continua – è quello dei nostri padri che hanno scelto fra monarchia e repubblica. Oggi siamo in guerra, e siamo noi a dover scegliere fra democrazia e partitocrazia”.

Si ferma un attimo: “devo calmarmi altrimenti mi viene un infarto. Ma a me chi lo fa fare di girare con un camper a presentare questi ragazzi? Quante possibilità di farcela hanno, con 4 mila euro per la campagna elettorale?” domanda alla piazza, che risponde con un boato.

Anche il presidente della Regione Emilia Romagna subisce un attacco dal comico genovese, a causa di una legge del 2004 che vieta più di due mandati consecutivi per i presidenti di Regione. Norma che interessa proprio Vasco Errani, ma anche il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni. “E questo accade perchè le regioni non hanno recepito la legge nazionale. Nessuno dice nulla, nessuno ha alcun interesse a farlo”.

Poi si rivolge direttamente alle tante persone assiepate in piazza: “Voi è quarant’anni che aspettate che qualcuno faccia qualcosa. Mettete una croce sul simbolo e state a guardare. Ma con noi è diverso, siete voi ad essere attivi. Con pochi soldi, grazie alla Rete, perchè la politica senza denaro diventa una cosa meravigliosa”.

Prende il fiato per il finale: “Voglio cambiare questo Paese. Questo è il momento di mandarli a casa. Non abbiamo più nulla da perdere. Questi sono giovani, non hanno esperienza è vero, non sanno rubare, truccare bilanci, non sanno instaurare rapporti con la mafia. La loro inesperienza è il nostro valore aggiunto”.

I grillini vengono poi presentanti uno ad uno. È il turno del candidato sindaco del Movimento Cinque Stelle, Massimo Bugani: “con 4 mila euro è dura fare campagna elettorale, ma grazie a questi ragazzi è più facile”. “Siamo qualunquisti – continua – o lo sono gli altri?” e via ad elencare tutti i progetti portati avanti nel corso degli ultimi anni e le idee per il futuro. “Ogni sei mesi domanderemo ai cittadini se il nostro lavoro gli va bene. Se diranno di no, saremo pronti alle dimissioni”. Giovanni Favia, invece, loda i ragazzi del Movimento, “veri combattenti che vogliono riprendersi Palazzo D’Accursio”.

Grillo prende nuovamente il microfono in mano, ma questa volta solo per una raccomandazione: “Per favore, lasciamo pulita la piazza, raccogliete tutto. Ve lo dico perché questo spazio verrà lasciato a gente (il comizio di Vendola alle 21, nda) che non sappiamo che cosa possa fare”.


di Antonella Beccaria, Nicola Lillo e il video di Giulia Zaccariello [Il Fatto QUotidiano]

domenica 8 maggio 2011

"Il caso Lassini peserà sulle elezioni"

Parla il figlio di Guido Galli, giudice ucciso da Prima Linea: "Sconcerto e amarezza per quei manifesti"


In vista della giornata in onore delle vittime del terrorismo e delle stragi, il prossimo 9 maggio, La Repubblica.it ha lanciato una campagna su Facebook. 1Sul nostro sito abbimao pubblicato ogni giorno le storie dei giudici uccisi dai terroristi

"IL caso Lassini peserà sulle elezioni di Milano". Giuseppe Galli, 43 anni, è il figlio di Guido, il giudice istruttore assassinato nel 1980 all'Università Statale di Milano da un commando di Prima Linea. Fu Sergio Segio a uccidere materialmente il magistrato.

Lunedì al Quirinale si festeggia la Giornata della Memoria delle vittime del terrorismo, quest'anno dedicata ai 10 magistrati uccisi tra il 1976 e il 1980. Cosa si aspetta?"Il presidente Napolitano lo scorso 18 aprile ha detto che "il nostro omaggio sarà reso in particolare ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. Tra loro, si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche". Al di là dello specifico riconoscimento a mio padre e ai suoi colleghi assassinati da parte del Presidente della Repubblica, cui sono grato, credo che la Giornata sia un'occasione per ricordare tante vittime dimenticate di quei tragici anni. Vittime forse meno note dei magistrati - poliziotti, guardie carcerarie, agenti di scorta - ma che hanno sacrificato la propria vita per servire questo Paese, fino in fondo.

Cosa ha provato quando ha visto i manifesti "Via le Br dalle Procure"? 
"Sconcerto e amarezza. Le mie due sorelle maggiori sono entrambe giudici presso il Tribunale di Milano (nella "Procura delle Br"), dove svolgono quotidianamente il proprio lavoro con impegno e professionalità. Ciò che colpisce è che non stiamo parlando di scritte sui muri da parte di qualche esaltato, ma di manifesti stampati e appesi in molte vie di Milano e la cui paternità è stata riconosciuta, quasi con orgoglio, da parte di un candidato al consiglio comunale".

Due giorni fa Lassini ha detto che non si dimetterà in caso di elezioni. "Penso che chi si impegna a ricoprire un ruolo pubblico, in rappresentanza e al servizio della collettività, debba avere un profilo morale elevato ed essere al di sopra di qualsiasi contestazione. È d'altra parte vero che, qualora Lassini dovesse essere eletto, rappresenterà legittimamente tanti milanesi che la pensano come lui. Il dilemma dovrebbe quindi essere non tanto suo, ma di chi ha deciso di metterlo e, soprattutto, di mantenerlo in quella lista".

Il caso Lassini farà perdere voti al centrodestra?"A mio parere peserà, e peserà molto. La presa di posizione del sindaco Moratti ha perlomeno sollevato un problema all'interno del centrodestra, così come lo schieramento a favore di Lassini da parte dei cosiddetti falchi. Ritengo che i cittadini milanesi siano stufi di atteggiamenti di prepotenza e, tutto sommato, anche abbastanza vigliacchi. E siano soprattutto stufi di chi calpesta, con arroganza e superficialità, la professionalità di chi svolge il proprio lavoro con serietà e nel massimo rispetto delle garanzie. Perché di questo stiamo parlando: di giudici che fanno il proprio lavoro".

Come giudica l'atteggiamento tenuto dal premier Berlusconi in questa vicenda?"Non ho sentito né letto di un'esplicita presa di distanza rispetto all'iniziativa. Anzi, mi pare ci sia addirittura stata una telefonata di solidarietà a Lassini. Devo peraltro dire che diversi esponenti del centrodestra hanno duramente condannato questo gesto. Non è questione di destra o sinistra, ma piuttosto di senso di responsabilità e spessore morale delle persone. A destra come a sinistra, tra i politici come tra i magistrati ci sono i "buoni" e i "cattivi"; ciò che è inaccettabile è la delegittimazione a priori di un'intera categoria".

Lei aveva 12 anni quando suo padre venne ammazzato. Che ricordi ha di quel giorno?"Il 19 marzo 1980 era San Giuseppe, giorno del mio onomastico e festa del papà. Ho appreso la notizia tornando a casa dal catechismo: tutto mi è crollato addosso. Poi uno cresce, diventa adulto: il tempo aiuta. E ha aiutato, soprattutto, avere vicino una famiglia come la mia, amici che ti vogliono bene e che contribuiscono a farti vivere una vita "normale". Oggi più di tutto aiuta tornare a casa e trovare Samantha, Federica e Guido che hanno permesso a quel bambino di diventare marito e padre".

Con gli assassini ha mai avuto contatti? "No, mai. In questo momento non provo sentimenti particolari nei loro confronti, se non la più totale indifferenza. Può sembrare strano, forse. Quel giorno avrei voluto ucciderli, oggi non sento niente".

Perché Prima Linea uccise proprio Guido Galli?"Come tanti altri fu ucciso perché faceva bene il proprio lavoro. "Galli appartiene alla frazione riformista e garantista della magistratura, impegnato in prima persona nella battaglia per ricostruire l'ufficio istruzione di Milano come un centro di lavoro efficiente". Credo che nessun elogio sia più significativo di quello che scrissero i suoi assassini nel volantino di rivendicazione".