mercoledì 15 agosto 2012

Abbiamo fatto tutti i sacrifici che l’Europa ci chiedeva, ora è il momento di picchiare i pugni sul tavolo

di Romano Prodi


Non si può badare solo al numeratore. Vent’anni fa l’Italia ha cominciato a vivere nell’incubo del rapporto fra debito e Prodotto Interno Lordo. Un incubo del tutto giustificato perché quando il debito supera il 120% della produzione annuale   dell’intero paese vi è ragione di preoccuparsi. Il peso degli interessi diventa infatti così elevato da mettere a rischio ogni attività economica. Per questo motivo è stato importante entrare nell’Euro, una decisione che ha di colpo fatto scendere a livello germanico i nostri tassi di interesse e ha reso possibile l’impostazione di una strategia per una progressiva diminuzione del nostro debito.
Una politica della formichina che nello spazio di vent’anni ci avrebbe riportato tra i paesi virtuosi.  Agli anni della formica, ai quali sono orgoglioso di essere appartenuto, sono poi succeduti quelli della cicala e, dopo vent’anni, siamo ritornati al punto di partenza: un debito superiore al 120% e interessi risaliti al livello pre-euro, con un’ormai inesistente solidarietà fra i paeseuropei. Il peso degli interessi (esaltato dal tristemente noto spread) rende impossibile il risanamento del bilancio pubblico e sempre più precaria la vita delle imprese, in netta difficoltà rispetto ai concorrenti tedeschi o francesi che pagano il denaro diversi punti percentuali in meno.
Il governo Monti, arrivato al potere nel momento più delicato di questo processo con debito e tassi di interesse alle stelle, ha fatto tutto il possibile per farci uscire da questo incubo.  La riforma delle pensioni, la nuova Imu, un più severo controllo sull’evasione fiscale e la spending review sono stati passi duri ma necessari per impedire l’irreparabile. Il numeratore, cioè l’indebitamento, è stato messo sotto controllo ma, a questo punto, è scappato di mano il denominatore, cioè il Pil. Esso non solo non cresce ma si avvita verso il basso con sempre maggiore velocità.
Quest’anno il Pil è destinato a calare più del 2% ma, ed è quello che più preoccupa, la produzione industriale sta precipitando, con una diminuzione intorno all’8%.
E’ certamente giusto continuare sulla via del controllo del bilancio, aggiungendovi i suggerimenti di realistiche dismissioni di beni pubblici e di altre misure finanziarie suggerite da Amato e Bassanini ma, se non si fa qualcosa per risollevare il denominatore, cioè il Pil, la sfida è persa in partenza.
E’ inutile nasconderlo: siamo in vera e propria recessione, con la disoccupazione in aumento , mezzo milione di lavoratori in cassa integrazione, decine di migliaia di negozi che chiudono, il turismo che cala ma, soprattutto, con un senso di diffusa rassegnazione sul fatto che il futuro sarà peggiore.
La saggezza convenzionale continua a ripetere che  tutto questo è inevitabile e che stringere la cinghia è un passo essenziale per garantire la ripresa quando si metterà in moto un nuovo ciclo dell’economia internazionale.
A parte il fatto che nessuno è in grado di prevedere quando questo ciclo partirà e se l’Europa sarà capace di prendervi parte, non si può non sottolineare  che l’Italia si colloca tra le economie europee in peggioramento più accentuato.
Non possiamo in nessun modo rassegnarci a questa caduta senza fine che sta sfibrando non solo il nostro tessuto produttivo ma anche le nostre speranze.
Alle misure già prese per il rilancio dell’edilizia bisogna perciò aggiungere altri interventi nei settori nei quali la ripresa degli investimenti offre prospettive  concrete. Penso al rilancio di investimenti italiani e stranieri nel settore del petrolio e del gas (si sta investendo meno di qualsiasi momento del dopoguerra), penso al pagamento dei debiti dello stato nei confronti delle imprese, penso al necessario chiarimento sul futuro dell’industria automobilistica italiana, penso ad un nuovo piano per tutta la politica della ricerca applicata e a misure volte aridurre drasticamente i tempi delle decisioni amministrative e delle sentenze dei tribunali.
Ridurre l’occupazione, renderla sempre più precaria e comprimere un costo del lavoro che, anche tenuto conto degli oneri indiretti, è oggi decisamente inferiore a quello dei nostri maggiori concorrenti, non serve a frenare la caduta del denominatore.
Abbiamo fatto tutto quello che i nostri colleghi europei ci chiedevano e abbiamo fatto bene a farlo.  Adesso abbiamo il sacrosanto diritto di picchiare i pugni sul tavolo perché essi ci permettano di raccogliere i frutti dei nostri sacrifici e abbiamo l’altrettanto sacrosanto dovere di fare appello a tutta la società italiana per pensare insieme a come costruire la ripresa. Non si esce da una crisi di queste proporzioni se non con un impegno collettivo e condiviso anche da  parte di coloro che hanno portato il peso della crisi e che dovranno ancora fare sacrifici per sostenere la ripresa.
Se abbiamo un progetto condiviso sul nostro futuro non dobbiamo avere paura di sottoporlo all’esame della comunità internazionale a cui apparteniamo, purché il giudizio non sia nelle mani di uno o più stati membri ma in quelle di un organismo veramente sovranazionale. Sottoporci all’esame della Commissione Europea (che non può essere solo un segretariato del Consiglio) fa parte delle regole del gioco. Sottoporci all’esame dei paesi forti del Consiglio preparerebbe  la divisione dell’Europa, di cui l’Italia sarebbe la principale vittima.  Ed è anche chiaro che mai l’Italia potrebbe accettare condizioni che, mantenendo intollerabili differenziali nei tassi di interesse, rendessero impossibile l’aggiustamento del denominatore. Che è, non dimentichiamolo, il nostro reddito nazionale.

“L'INNOCENZA DI GIULIO”, UNA BUGIA BIPARTISAN


(AGENPARL) – Roma, 08 ago - “Io ho 34 anni e a quelli della mia età la storia di Andreotti non l'ha raccontata nessuno. Quello che abbiamo carpito da politici e intellettuali sono analisi sempre molto strumentali. Mi piaceva partire dai fatti: dalla bugia bipartisan sull'innocenza di Andreotti. Questo dimostra che il nostro Paese non riesce ad avere un atteggiamento critico rispetto alle bugie, quindi dopo un po' che vengono ripetute si accettano come verità”. Così Giulio Cavalli, autore del libro “L'innocenza di Giulio” (ed. Chiarelettere) spiega l'idea di raccontare la vicenda del noto politico italiano. Cavalli è consigliere di Sel alla Regione Lombardia e autore di diversi testi teatrali che si occupano di denunciare pagine ancora avvolte da una zona d'ombra della nostra storia.
C'è un aspetto della vicenda andreottiana che ha catturato la tua attenzione?
Andreotti è una persona che mente, ma non solo dal punto di vista giudiziario, dal punto di vista della politica e della memoria storica si è seduto con gli uomini di mafia. Ha trattato con gli uomini di mafia, ha trattato finchè ci è riuscito, mollata perchè la mafia non accettava più di essere soggiogata. Ha saputo di omicidi che stavano per essere eseguiti e non ha fatto nulla. Ha utilizzato Cosa Nostra per gestire il consenso e organizzare il voto su alcuni territori. Oggi alcuni miei coetanei considerano Andreotti uno statista.
Nel libro c'è un'elencazione delle persone che sono venute in contatto con il politico Giulio Andreotti, spesso personaggi dal passato discutibile. Quello che vedi oggi intorno a te somiglia un po' al passato?
Si perchè nonostante la vicenda Andreotti, non abbiamo imparato a distinguere i confini tra politica e opportunità. A me non interessa che Giulio Andreotti sia colpevole in Cassazione, a me interessa che questo Paese possa coltivare una generazione che sappia giudicare l'inopportunità e la non tollerabilità di fare politica per persone come Andreotti e molti altri. Quello dell'opportunità è un principio che non deve passare attraverso i tre gradi di giudizio, è lo spirito critico di una cittadinanza che ha il dovere di interessarsi alla politica e di controllare i suoi politici, altrimenti come diceva Pericle sono dei cittadini inutili al vivere civile.

martedì 14 agosto 2012

Un'idea dell'Anarchia



Pierre Joseph Proudhon
L'idea di Anarchia prevede, a livello sociale, che individui e collettività scelgano per relazionarsi fra loro un insieme di rapporti non-gerarchici e non-autoritari.
Anarchia è anche la ricerca e sperimentazione di una organizzazione sociale orizzontale.
Una società anarchica è una società che vuole basarsi sul libero accordo, sulla solidarietà, sulle libere associazioni, sulle unioni, sul rispetto per la singola individualità che non volesse farne parte, secondo il principio che le decisioni valgono solo per chi le accetta.
In una società anarchica si rifiutano quindi leggi, comandi, imposizioni, principi fondati sul volere della maggioranza, rappresentanze, discriminazioni, guerre come metodo per risolvere contrasti, realizzando la gestione ed il superamento dei conflitti attraverso chiarimenti ed accordi tra i diretti interessati.
È importante, in quanto contrario al pregiudizio diffuso, notare che nessuna teoria anarchica ha mai teorizzato l'assenza di regole e di interazioni sociali, in quanto l'anarchismo non lascia nulla al caso-caos, ma propone un nuovo modo di concepire la società, costruito intorno a norme e/o principi etici egualitari, condivisi e non imposti dall'alto.
Gli anarchici vogliono perciò l'abolizione dello Stato, che dev'essere sostituito dalle organizzazioni e dalle associazioni popolari; anche il potere economico è consegnato nelle mani del popolo, che controlla i mezzi di produzione (quasi tutte le correnti anarchiche, infatti, si dicono socialiste).
Secondo gli anarchici, i problemi sociali come il crimine e l'ignoranza e l'apatia delle masse sono un prodotto della stessa società autoritaria: secondo gli anarchici, mantenere gli individui perennemente sotto un'autorità superiore fa sì che questi non siano più capaci di comportarsi autonomamente, senza un capo che gli comandi cosa fare; inoltre qualsiasi capo cercherà sempre di mantenere il proprio potere, e quindi cercherà il più possibile di rendere i sottoposti non autonomi, e di creare bisogni negli stessi sottoposti (come la necessità di protezione dal crimine); secondo la prospettiva libertaria quindi lo Stato non ha alcun reale interesse a risolvere i problemi sociali, perché altrimenti verrebbe meno il bisogno del potere.
Mentre il liberalismo, ideologia alla base del pensiero democratico, propone la difesa del diritto individuale di parola, religione ecc, l'anarchismo sprona l'individuo anche a liberarsi di quelle particolari forme sociali che, secondo una visione anarchica, impediscono l'espressione libera della personalità dell'individuo, per esempio i rapporti sociali capitalistici e la religione; riguardo a quest'ultima, mentre la teoria ufficiale e la maggioranza degli anarchici si proclamano atei, vedendo la religione come "l'oppio dei popoli" marxiano, di fatto già con Camillo Berneri si introduce un antidogmatismo che permette all'individuo, che deve essere libero in tutti gli aspetti, di professare individualmente una religione, se di sua scelta e non imposta dall'infanzia; tutti gli anarchici, però sono per l'abolizione delle organizzazioni clericali di ogni tipo, basate non sulla libera predisposizione e scelta razionale ma sull'indottrinamento.

lunedì 13 agosto 2012

L'evasione fiscale può NON esistere in una nazione

E' il caso della Finlandia dove tutti possono conoscere su Internete tramite cellulare i redditi e dichiarazioni di tutti i cittadini perchè non c'è nulla da nascondere.



In Finlandia, ormai da alcuni anni, è possibile utilizzare diversi servizi facendo ricorso agli sms ( short message service / brevi messaggi di testo). Nel Paese, sede di una delle più grandi società produttrici di apparecchiature per telecomunicazioni, la penetrazione dei telefonini cellulari, e, quindi, l'uso dei relativi servizi che questi mezzi offrono, è tra le più pervasive del mondo. Se a questo si aggiunge che il fenomeno dell'evasione fiscale è pari a zero, la violazione della riservatezza dei dati personali non viene percepita dai cittadini con timore o allarme sociale.

Questo spiega perché uno dei sistemi più rapidi per reperire le informazioni reddituali di base, preveda l'invio di un sms indicando come testo il codice fiscale dell'interessato o più semplicemente il nome e cognome. In questo modo è possibile ricevere dal sistema informatizzato l'indicazione del reddito dichiarato dal contribuente.
Tale sistema, mediante il servizio messo a punto da una nota compagnia telefonica, può essere utilizzato (fosse anche per semplice curiosità) da chiunque intenda conoscere la posizione fiscale di un qualsiasi cittadino. In dettaglio, occorre inviare un semplice sms al numero 16400 con il testo 'vero' che in suomi vuol dire 'tassa', seguito dal nome, cognome e città di residenza del soggetto che si intende 'spiare'. Come risposta, infatti, si ottengono tutte le informazioni fiscali più recenti relative a quei cittadini finlandesi il cui reddito supera il limite salariale definito per ogni Comune (le informazioni sulle imposte includono redditi da lavoro e da attività finanziarie con un margine di cento euro; il tetto massimo per il reddito da attività finanziarie è di 12mila euro per tutti i Comuni).
Nel messaggio di risposta, invece, non compare l'imposta sul patrimonio che è stata eliminata nel 2006, come non appaiono i redditi derivanti da dividendi o altri redditi da capitale, in quanto esenti da imposte. Ed è soltanto uno dei sistemi ma ve ne sono altri utilizzati in altri campi.
I responsabili delle autostrade finlandesi, ad esempio, per porre un freno al moltiplicarsi, in alcune aree di sosta, di atti di vandalismo all'interno dei luoghi igienici, hanno valutato l'opportunità di introdurre un sistema di accesso mediante l'invio di un sms. In estrema sintesi, il cliente per entrare nella toilette deve mandare un breve messaggio di testo, con la parola 'open' al numero posizionato sulla porta di ingresso del bagno. In tal modo la persona viene identificata (col numero del cellulare) e otterrà il nulla osta per accedere al servizio igienico.
In caso di infrazione al codice della strada e di relativa irrogazione della sanzione amministrativa, poi, non è insolito vedere un agente della polizia stradale che in luogo della paletta, pistola o del manganello sfoderi dal proprio cinturino un telefonino cellulare. In Finlandia, infatti, l'importo delle multe viene calcolato (oltre che in ragione alla gravità della violazione commessa, eccesso di velocità, guida pericolosa o in stato di ebbrezza) in proporzione al reddito dichiarato del soggetto che infrange le norme.
In pratica, il trasgressore, una volta fermato e invitato ad accomodarsi nella vettura di servizio della polizia stradale, dove vengono espletate le formalità di rito ed esposte le ragioni del fermo (provvisorio), viene invitato a esporre verbalmente i dati relativi alle proprie entrate mensili al lordo delle imposte. A questo punto l'agente con il telefonino cellulare invia il nominativo dall'automobilista all'ufficio locale delle finanze, che, a sua volta, inoltra al terminale informatico ubicato all'interno della vettura di servizio i dati relativi alle informazioni reddituali della persona che vengono confrontate con quanto da lui dichiarato.
Il poliziotto/commercialista, pertanto, esegue le detrazioni fiscali (al riguardo, infatti, occorre osservare che sono necessarie le ulteriori informazioni concernenti lo stato di famiglia per conoscere se uno o più figli e/o il coniuge risulti a carico del multato); così, viene fissata la contravvenzione che corrisponde a una sanzione moltiplicata per una data misura in relazione alla violazione compiuta.

In proposito, sono tre gli episodi che hanno suscitato le curiosità delle cronache giornalistiche, durante i quali altrettanti facoltosi finlandesi furono multati per violazione al codice della strada con somme stratosferiche, poiché proporzionate ai loro redditi (il record della cd. multa giornaliera è detenuto da Jussi Salonoja con 170mila euro di pena pecuniaria; seguono Anssi Vanjoki con 116.000 euro e Jakko Rystola con 78.000 euro).

Un semplice sms, infine, può essere inviato per ottenere delle informazioni in merito a una automobile privata usata che si intenda acquistare (stessa operazione può essere compiuta nel caso in cui si intenda comprare un furgone, un camion e/o un autobus). Inserendo, in questo caso, la parola 'autofakta' seguito dal numero di targa della vettura, infatti, è possibile ricevere diversi e molteplici dati tra cui la marca e il modello, il volume e la potenza del motore, la data di messa in circolazione e quella di passaggio ed ancora quella del controllo della revisione, possibili obblighi di pagamento/spese (tra cui la tassa sul veicolo o quella sul diesel non pagata, la Rc auto non valida, le eventuali informazioni su ipoteche o cancellazioni dal pubblico registro automobilistico), il nome della compagnia assicurativa nonché il nome e il Comune di domicilio del proprietario/titolare dell'autovettura.

Ricapitolando, occorre mandare un sms al numero 16400 con la parola 'vero', seguita dal nome cognome e città di residenza, per ottenere informazioni fiscali (al costo di 190 centesimi di euro per ricerca eseguita con successo); con la parola 'autofakta', seguita dal numero di targa, per avere informazioni più approfondite su di un veicolo (al costo di 190 centesimi di euro); con la parola 'auto', seguita dal numero di targa, per avere informazioni sul veicolo se ci si volesse limitare a conoscere la marca, il modello, il nome e il comune di domicilio del proprietario e/o del titolare (al costo di 170 centesimi di euro); con la parola 'moottoripyörä', seguita dal numero di targa, per avere informazioni su di una motocicletta (al costo di 170 centesimi di euro).

domenica 12 agosto 2012

Fuga dalla crisi: i lavoratori italiani tornano a cercare l’impiego in Germania

Gli uffici di collocamento tedeschi certificano un aumento del 6,5% di nuovi occupati provenienti anche da Spagna, Grecia, Portogallo. "Berlino potrebbe trarre grandi benefici da queste risorse"


Nel dubbio sulle sorti dell’euro, Berlino si prepara al flusso di immigrati dai Paesi europei in crisi. Del resto come nelle grandi depressioni del passato, anche in quella attuale si sta registrando un importante flusso di lavoratori che si spostano dai Paesi maggiormente colpiti verso quelli che stanno resistendo meglio alle difficoltà. In Germania il fenomeno ha assunto dimensioni tali da attirare l’attenzione dell’Agenzia federale per il Lavoro, l’equivalente dei nostri centri per l’impiego (l’ex ufficio di collocamento). L’agenzia tedesca ha infatti realizzato uno studio basato sui dati raccolti a tutto maggio 2012 ed è giunta alla conclusione che in dodici mesi il numero di cittadini italiani, greci, spagnoli e portoghesi che lavorano in Germania è cresciuto del 6,5% a 452mila unità.
Non poco se si pensa che nello stesso periodo il mercato del lavoro tedesco è complessivamente cresciuto soltanto dell’1,6 per cento. Nel dettaglio il numero degli italiani che lavorano in Germania è cresciuto del 4,2%, quello degli spagnoli dell’11,5%, quello dei greci del 9,8% e quello dei portoghesi del 5,9 per cento. E alla fine del mese di maggio erano ben 232.800 i nostri concittadini italiani impiegati  in Germania, contro i 117.700 greci, i 55.600 portoghesi e i 46.000 spagnoli. L’agenzia del lavoro tedesco specifica che non è in grado di stabilire quanti cittadini di Italia, Spagna, Grecia e Portogallo si trovassero già nel Paese da lungo tempo e quanti invece siano arrivati di recente a causa della crisi ma scrive anche che “è plausibile supporre che la crescita del loro numero sia dovuta proprio alla crisi esplosa negli ultimi anni”.
I numeri, in ogni caso, rispecchiano in qualche modo la gravità della crisi nei mercati domestici. E se dall’Italia hanno iniziato a scappare anche gli immigrati, il balzo maggiore è stato fatto registrare dalla Spagna che, non a caso, ha una lunghissima tradizione di disoccupazione giovanile. In base a quanto reso noto da Eurostat, l’ufficio di statistica europeo, a giugno i giovani spagnoli senza un impiego erano più della metà del totale (52,7%); in Grecia, dove la situazione è precipitata negli ultimi anni, la situazione non è molto diversa: il 52,8% degli under 25 non trova un impiego. Il dettaglio più drammatico del dato greco è che negli ultimi dodici mesi si è assistito a una crescita di ben nove punti percentuali. In Italia la disoccupazione giovanile è a livelli decisamente più bassi (anche se non meno preoccupanti): 36,2 per cento. Per tutti questi Paesi il confronto con la Germania assume toni drammatici: a fine giugno erano circa 350.000 i giovani tedeschi tra i 15 e i 24 anni senza lavoro, il 7,9 per cento.
L’affermazione più stupefacente di tutto lo studio dell’agenzia del lavoro è però quella in cui si dice che la Germania “potrebbe ricavare grossi benefici da questa crisi dei Paesi del Sud Europa”. Berlino cerca da tempo di attirare forze lavoro altamente qualificate e la situazione è propizia. La scorsa primavera il cancelliere Angela Merkel era andata a Madrid per incontrare l’ex premier spagnolo José Luis Zapatero e aveva detto che in Germania c’erano 100mila posizioni aperte per ingegneri. Le sue parole devono essere giunte alle orecchie anche di molti giovani italiani.

da Il Fatto Quotidiano

Debito in comune, l’offensiva della Spd

Offensiva della Spd sul fronte della mutualizzazione del debito europeo. Dopo il presidente del partito Sigmar Gabriel e il capogruppo al Bundestag Franz-Walter Steinemeier ieri ha preso posizione a favore di misure di condivisione del debito anche Peer Steinbrück, ex ministro delle Finanze nella grosse Koalition. Così tutti e tre i possibili candidati socialdemocratici alla cancelleria per le elezioni dell’autunno 2013 sostengono la necessità che la Repubblica federale accetti di mettere i conti in comune. Pur se a breve termine ciò può voler dire maggiori pesi finanziari per Berlino, sui tempi lunghi è l’unica strada se si vuole evitare che alla fine la crisi dell’euro si abbatta anche sulla Germania, dove produrrebbe effetti devastanti. Steinbrück ammette che le proposte socialdemocratiche sono «controcorrente» perché la maggioranza dei tedeschi è contraria alla mutualizzazione (54% contro il 31% secondo un sondaggio recente) e anche fra l’elettorato della Spd i dubbi prevalgono. «Le nostre proposte avranno vita difficile», ha ammesso ieri Steinbrück, il quale ha aggiunto, però, che anche nello schieramento dei duri e puri sulla linea del rigore i dubbi stanno crescendo: «Presto la cancelliera Merkel si troverà in grosse difficoltà», specialmente se dovrà presentarsi al Bundestag con richieste di maggiori contribuzioni tedesche per tenere nell’euro la Grecia e aiutare la Spagna. Quanto agli insulti che sono venuti dalla Fdp e dalla Csu alla proposta di Gabriel, stigmatizzata come “socialismo dei debiti”, l’ex ministro delle Finanze ha fatto notare che da quando esistono i fondi di protezione esiste di fatto una condivisione del debito. «L’Europa – secondo Steinbrück – è di fronte a una alternativa decisiva: o gli Stati cedono più sovranità all’Europa stessa oppure si va a una rinazionalizzazione, che per la Germania, Paese che prospera con le esportazioni, sarebbe un esito fatale». La soluzione dell’Unione politica richiede, ovviamente, tempi abbastanza lunghi. Intanto, nel breve periodo, si può ricorrere a strumenti di emergenza, come l’acquisto di titoli sul mercato secondario da parte della Bce e il risanamento del mondo bancario, con l’istituzione di meccanismi di controllo comuni.
Le proposte di forme di condivisione del debito, dagli eurobond al Redemption fund alle licenze bancarie per i fondi di stabilità, sono intimamente legate, nell’ispirazione socialdemocratica, al passaggio all’Unione politica. Una entità federale al di sopra degli stati risolverebbe automaticamente il problema dei controlli da imporre in cambio di eventuali aiuti. Insomma, un balzo in avanti dell’integrazione politica toglierebbe dal tavolo l’oggetto dei contrasti più duri a proposito della strategia anticrisi attuale. Non ci sarebbe bisogno di memorandum e di trojke, perché tutti controllerebbero tutto. Premessa per riprendere il cammino verso l’Unione politica è una modifica della Costituzione tedesca nelle parti che escludono la possibilità di cessioni di sovranità. Per questo Gabriel individua lo strumento del referendum popolare che, pare di capire, piace anche agli altri due possibili candidati socialdemocratici alla cancelleria.
Intanto, l’idea di ricorrere alla consultazione dei cittadini va facendosi strada anche a destra, oltre che a sinistra. I più favorevoli sembrano proprio i protagonisti della fronda che ha tolto alla cancelliera i numeri della “sua” maggioranza. È la prova di come nell’idea del referendum convergano due propositi molto diversi tra loro: quello di chi ritiene che nella consultazione i tedeschi voterebbero in maggioranza per mantenere lo status quo, liquidando ogni ipotesi di condivisione del debito, e quello di chi pensa che sarebbe l’occasione buona per convincere i cittadini che soltanto l’approfondimento dell’integrazione potrebbe far uscire l’Europa dalla crisi della moneta unica.
L’esempio greco
Nel frattempo c’è da gestire l’emergenza greca. Il ministro degli Esteri Guido Westerwelle, ieri, è tornato agli argomenti ai quali il governo tedesco fa appello da mesi. La Grecia non deve uscire dall’euro, ma il governo di Atene deve attuare «con molta serietà, impegno e affidabilità» le misure indicate da Ue, Fondo monetario e Bce. Non ci può essere una «deflessione sostanziale» dagli accordi sulle riforme. L’uso dell’aggettivo “sostanziale” , a voler essere ottimisti, fa pensare che forse il ministro vede qualche possibile margine di rinegoziazione, magari sui tempi con cui rispondere alle richieste della trojka. Westerwelle, comunque, se l’è presa con il ministro bavarese delle Finanze Markus Söder che giorni fa aveva invitato la Repubblica federale a «dare l’esempio» agli altri Paesi in difficoltà con il debito lasciando cadere la Grecia fuori dall’euro. L’idea di usare un Paese come “esempio” per gli altri è una volgare sciocchezza: «Pensate come verrebbe accolta in Germania se qualcuno la proponesse per noi».

Verità. Vogliamo la verità. Senza riguardi per nessuno. Sono stati trucidati uomini delle istituzioni perchè facevano il loro dovere.

di Luigi Li Gotti



Ci sono storie che dovremmo stamparci nella mente. Il gran discutere sulla trattativa stato-mafia e le cose attuali, purtroppo non chiare, mi dicono che devo reiterare i segmenti che inquietano e che attendono risposte. Questa nostra voglia di verità, ha determinato e determina frequenti asprezze e polemiche. Il mio partito raccoglie l’ansia di verità di tantissimi italiani.
Nel passato, accadeva che dinanzi ai misteri, si voltasse la testa dall’altra parte, come se il torbido potesse nascondersi sotto il tappeto.
Noi non vogliamo per nulla distrarci e insistiamo, non guardando in faccia nessuno.
Vogliamo conoscere la nostra storia e le ragioni che hanno sconquassato la vita della nostra repubblica.
Non ci arrendiamo.
Noi non accettiamo di non sapere chi e perché sottrasse l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Noi vogliamo sapere perché tanti nostri fratelli sono stati uccisi, perché giovani in divisa hanno perso la vita.
Noi vogliamo sapere quali e quante compromissioni di Stato, hanno condizionato la nostra storia.
Noi non ci fermeremo sin quando non sapremo.
Chi si risente per la nostra insistenza, dimostra di non capire che la democrazia è trasparenza e rispetto della convivenza civile.
A tutti coloro che storcono il naso per la nostra “fissazione”, diciamo di farsene una ragione. Noi non arretreremo di un millimetro e non metteremo in vendita la nostra voglia di verità. Siamo nati, come partito, perché ci accomunava la stessa ansia. A chi dice di voltare pagina, rispondiamo che non rinnegheremo noi stessi e la ragione fondante del nostro impegno. Noi non ci venderemo mai.
Ed allora (chi mi ha giá letto, sia indulgente) ecco la storia che dobbiamo scrivere, rispondendo ai misteri nello sforzo continuo di svelarli. Un riassunto, per tutti.
Ricapitoliamo.
Una delle ipotesi d’indagine,  su cui da anni l’autorità giudiziaria lavora,  è se la morte di Paolo Borsellino,  sia legata alla scoperta di una trattativa e alla sua opposizione alla stessa.
Noi abbiamo questi fatti:
1.  Il generale Mori nega di aver mai parlato della  ”trattativa” a Borsellino.  Peraltro,  dice Mori,  di aver incontrato per l’ultima volta Borsellino,  prima della strage,   il 25 giugno 1992.  A quella data non  sarebbero stati ancora avviati i contatti con Vito Ciancimino, diversamente,  aggiunge Mori,  non avrei potuto non parlaglierne.
2. La dottoressa Liliana Ferraro  (Direttore Affari Penali presso il Ministero della Giustizia), ha dichiarato che circa una settimana prima del 28 giugno 1992,  ricevette al Ministero,  la visita del colonnello De Donno  (collaboratore di Mori),  che gli disse del contatto con Ciancimino e chiese una sorta di  “copertura”  politica.  La dottoressa Ferraro,  gli consigliò di parlarne con Borsellino,  non comprendendo la ragione della richiesta rivolta al Ministero della Giustizia.
3. Il generale Subranni  (capo del Ros e superiore di Mori)  ha riferito,  recentemente,   in Antimafia,  d’essere stato avvertito da Mori del contatto con Ciancimino.  Richiestogli se lui ne avesse parlato con Borsellino,  ha dichiarato di aver incontrato Borsellino,  per ultima volta,  il 10 luglio 1992,  a cena,  a Roma.   In quella occasione la conversazione non sarebbe mai caduta  sull’argomento,  sicchè mai lui gliene avrebbe parlato. Parrebbe, peraltro, che alle cena,  fosse presente anche Mori.
4. L’ex ministro Mancino  (Ministro dell’Interno)  ha dichiarato di non aver mai saputo di contatti del Ros con Ciancimino,  nè di trattative o cose simili.
5. L’ex ministro Martelli  (Ministro della Giustizia, all’epoca)  ha, invece,  dichiarato d’aver saputo dalla dottoressa Ferraro,  della visita del colonnello De Donno e,  quindi,  della iniziativa del contatto con Ciancimino.  D’essersi, quindi,  molto irritato per quella che considerava una iniziativa fuori da ogni regola,  tanto da essersi lamentato di ciò con Mancino  (Ministro dell’Interno). Mancino, invece,  nega che ciò sarebbe avvenuto,  non sapendo lui di nessuna “trattativa”  nè di averla saputa da Martelli.
Appare evidente che sapere se,  all’insaputa di Borsellino,  fosse stato avviato un contatto, tramite Ciancimino,  con Riina e Provenzano,  è un segmento essenziale per l’ipotesi investigativa della strage di via D’Amelio,  collegata all’ostilità di Borsellino a qualsiasi trattativa con i criminali mafiosi.
In questo contesto,  il fatto che due ministri  (Mancino e Martelli),  dicano due cose opposte, non è cosa da poco.
Chi ha mentito e mente? Perchè ha mentito e mente? Cosa si nasconde dietro la menzogna di Martelli o dietro la menzogna di Mancino?
Da quì,  l’intenzione del Pm di chiedere il faccia a faccia tra Mancino e Martelli,  innanzi al Tribunale di Palermo  (ove si celebra il processo a carico di Mori, proprio per queste vicende della “trattativa”).
Senonchè Mancino,  non gradiva d’essere messo faccia a faccia con Martelli.  Era divenuto ansioso echiese aiuto al Quirinale,   perché si facesse qualcosa per scongiurare il confronto.
Da quì,  l’attivismo del Quirinale e l’idea della lettera al Procuratore Generale della Cassazione  (che ha funzioni di sorveglianza sul Procuratore Nazionale Antimafia).
Ora,  il Quirinale ha detto che l’unico interesse è che si faccia piena luce sulle sanguinose stragi. Bene.
Domanda:  attivarsi per evitare il faccia a faccia Mancino-Martelli,  è di aiuto alla ricerca della verità?  Rispondete voi.
Due risposte,  possiamo darle:
a)  non c’è dubbio  che il nostro Presidente,  voglia fortemente che si cerchi la verità.
b) qualcuno, però,  lo ha fatto sbagliare e non è giusto che si faccia scudo con il Quirinale.  Un errore in buona fede?  Non lo mettiamo in dubbio.

Gli italiani vogliono  la verità sulle stragi,  sulle morti, sul perchè del sangue di tante vittime innocenti,  di tanti giovani maciullati che facevano il loro dovere,  indossando una divisa.  Noi dobbiamo pretendere che si scruti tutto, che si rivoltino, come si usa dire, i sassi, uno per uno.