sabato 2 febbraio 2013

Che “catastrofe” questo anticomunismo!

“Curiosamente, in un’Italia in cui il presidente del Consiglio richiama spesso i suoi concittadini a vigilare nei confronti di un pericolo comunista mai superato, è proprio da uno storico come Hobsbawm (che non ha mai rinnegato del tutto gli ideali comunisti abbracciati in gioventù) che viene presa in prestito quest’anno la traccia del tema.” Ma allora spetta ad un fido collaboratore del Corriere della Sera, Giovanni Belardelli, da cui abbiamo preso a prestito l’ottimo incipit dell’articolo, tentare di rimettere le cose a posto, interpretando in modo non proprio calzante il pensiero dell’autore, attribuendo presunti errori di traduzione all’edizione italiana… Tutto comincia quando i commissari aprono le schede del Ministero e consegnano le tracce agli studenti. Sorprendentemente il tema storico – tipologia C – si basa su una citazione di Eric Hobsbawm, lo storico comunista inglese, autore del “Secolo Breve”, libro dal quale la citazione è tratta. Si tratta per l’appunto della definizione che Hobsbawm da del ‘900 (a cavallo tra pagina 17 e 18 nella più diffusa edizione del libro a cura della BUR) Scrive Hobsbawm: “la struttura del Secolo breve appare come quella di un trittico o di un sandwich storico. A un’Età della catastrofe, che va dal 1914 sino ai postumi della seconda guerra mondiale, hanno fatto seguito una trentina d’anni di straordinaria crescita economica e di trasformazione sociale, che probabilmente hanno modificato la società umana più profondamente di qualunque altro periodo di analoga brevità. Guardando indietro, quegli anni possono essere considerati come una specie di Età dell’oro, e così furono visti non appena giunsero al termine all’inizio degli anni ’70. L’ultima parte del secolo è stata una nuova epoca di decomposizione, di incertezza e di crisi – e addirittura, per larghe parti del mondo come l’Africa, l’ex URSS e le ex nazioni socialiste dell’Europa orientale, un’Età di catastrofe”. La traccia chiedeva agli studenti di valutare criticamente la periodizzazione proposta da Hobsbawm e soffermarsi sugli eventi che a suo parere caratterizzano gli anni ’70 del Novecento. Il tema è stato inizialmente etichettato dai giornali e dai mezzi di informazione come tema “sugli anni ‘70” intendendo con questa espressione il complesso degli avvenimenti storici verificatisi in Italia durante gli anni ’70, che nell’immaginario collettivo richiamano alla strategia della tensione, alla lotta armata dei gruppi di sinistra, allo scontro tra giovani di destra e di sinistra ecc… Nulla di questo aveva in realtà a che fare con la traccia, ma l’idea era talmente radicata che persino uno storico come Villari che ha trovato fuori posto la citazione rispetto agli anni ’70. In effetti il tema richiedeva ben altro: l’analisi critica della periodizzazione proposta da Hobsbawm, evidentemente con riferimento al concetto stesso di secolo breve, concentrandosi particolarmente sugli anni ’70 de secolo, non in relazione agli eventi italiani, ma come periodo di fine del boom economico ed inizio della crisi del sistema capitalistico, di susseguirsi di eventi – in questo certamente compresi i movimenti sociali esplosi in quegli anni - che sono legati strettamente a quanto sta accadendo oggi. Come giustamente messo in evidenza da Hobsbawm infatti, la fine del secolo XX è una nuova epoca di incertezza e di crisi, concetto che, con lo sguardo successivo, possiamo tranquillamente estendere ai primi anni del nuovo millennio. Ma la più curiosa delle interpretazioni viene da Giovanni Belardelli sul Corriere della Sera. Nella nota di commento alla traccia Belardelli, relativamente alle ultime considerazioni citate dal “Secolo Breve” afferma: “In questo caso, però, porta del tutto fuori strada la definizione di «età di catastrofe» presente nella citazione del libro di Hobsbawm, soprattutto se ci si riferisce, come egli fa, alla ex Urss e alle ex «nazioni socialiste» dell’Est europeo: per quanto si vogliano sottolineare (a cominciare dalla Russia attuale) i problemi e le incertezze della transizione alla democrazia avvenuta in quei Paesi, è indubbio che per chi vi vive la situazione sia enormemente migliorata rispetto a quella precedente il 1989.” Secondo Belardelli il pensiero dell’autore sarebbe distorto da una errata traduzione in cui il termine “landslide” (frana) sarebbe stato tradotto con “catastrofe” equiparando in questo modo i primi anni del ‘900 fino alla seconda guerra mondiale con il periodo successivo alla fine del socialismo reale. Ma cosa avrà scritto davvero Hobsbawm? “The last part of the century was a new era of decomposition, uncertainty and crisis- and indeed, for large parts of the world such as Africa, the former U.S.S.R. and the formerly socialist parts of Europe, of catastrophe.” Il termine “catastrofe” non è un errore di traduzione, ma come si può facilmente vedere il termine utilizzato da Hobsbawm nella versione originale. Perché prendersela tanto con questo termine? Secondo Belardelli infatti i popoli “liberati” dal comunismo sarebbero in una condizione migliore rispetto a prima, e pertanto gli studenti italiani sarebbero fuorviati da un errore di traduzione che farebbe dire al grande storico quello che non si può proprio dire: sotto il socialismo si stava meglio che adesso. Ma a dire la verità Hobsbawm dice proprio questo… E a ben vedere è ormai enorme la massa di dati che confermano questa tesi. L’anno scorso il tema venne affrontato in occasione dell’anniversario della caduta del muro di Berlino quando un’inchiesta di Lancet – pubblicata su autorevoli giornali, tra cui lo stesso Corriere della Sera – affermò che il passaggio al capitalismo era costato un milione di morti e che le privatizzazioni, e la fine del sistema di assistenza fornito dallo Stato nei paesi dell’Est, aveva aumentato il tasso di mortalità del 13%. L’Ostalgia e i fenomeni analoghi che si respirano nelle ex repubbliche socialiste dimostrano come gran parte dei popoli orientali abbiano compreso bene la natura della “libertà” occidentale, in cui la svendita del sistema statale a vantaggio di pochi ha prodotto un danno enorme per la collettività. Senza contare il costo umano e politico che guerre, come nella ex Jugoslavia, hanno prodotto. Insomma Hobsbawm può ben affermare a ragione che per quei popoli la fine del socialismo è stato l’inizio della catastrofe. L’atteggiamento del fido Belardelli dimostra chiaramente la paura che esiste nel trattare questo argomento, in modo particolare in un momento storico come questo in cui la crisi economica lascia disperatamente aperta la ricerca di un’alternativa. E proprio nella negazione dell’alternativa, nello specifico non perdendo occasione per negare la possibilità che il socialismo rappresenti un’alternativa, il buon Belardelli fa il suo omaggio al sistema, cercando di ridurre Hobsbawm a un piccolo narratore di fatti, di cui nel nostro paese ci sono già validissimi esempi. Per una volta, forse inconsapevolmente, un tema ha effettivamente sviluppato un dibattito critico su questa questione. Certamente complesso e difficile per gli studenti, anche a causa di qualche mancanza nell’insegnamento della storia nella scuola italiana, ma sicuramente un tema che non ti aspetti. Quello che ci si aspetta invece è proprio quello che ha fatto Belardelli, ricorrendo addirittura ad un presunto errore di traduzione per sminuire la portata delle affermazioni di Hobsbawm. Si può ridere e si può scherzare definendosi “comunisti” come sinonimo di antiberlusconiani, esercito tra le cui fila possiamo orami arruolare anche il Corriere della Sera. Ma i comunisti veri sono sempre un pericolo, meglio metterli a tacere. Belardelli ci ha provato, ma non ci è riuscito. Che “catastrofe” questo anticomunismo! da www.senzatregua.org

Lo share di Grillo nelle piazze a 5 stelle - Davide Vecchi - Il Fatto Quotidiano


A Mario Monti hanno tirato le uova, Silvio Berlusconi teme di finire bersagliato da ben altro. Così, nuovi e vecchi politici evitano le piazze e il confronto diretto con i cittadini. Questa è la primacampagna elettorale senza comizi di piazza. Escluso Beppe Grillo che, con il suo Tsunami Tour, non solo sta attraversando le piazze d’Italia ma le riempie come nessuno prima. Con un obbiettivo, a metà tra sogno e scommessa: riempire piazza San Giovanni a Roma, luogo di raduno per eccellenza delle manifestazioni della sinistra, scippata ieri al Pd per la serata di chiusura della campagna elettorale il 22 febbraio. “La Questura ci ha concesso San Giovanni e noi ci vedremo lì per una serata che passerà alla storia”, ha gridato ieri sera Grillo, appresa la notizia, dal palco in piazza Politeama a Palermo. Anche questa piena a vista d’occhio: qualcosa come diecimila persone. E altrettante collegate via internet, a seguire il comizio in streaming.
Grillo rischia di smentire il vecchio assioma “piazze piene ed urne vuote” di Pietro Nenni: secondo i sondaggisti, infatti, il comico genovese conquista consenso su consenso proprio grazie alla sua presenza tra la gente. “Guadagna un punto percentuale alla settimana e sale sempre più rapidamente”, dice Nicola Piepoli. “Grillo è un eroe del nostro tempo. Ha capito che oggi si vince usando le vecchie tecniche: contatto diretto con la persone, comizi e ancora comizi”. Con Piepoli concorda Renato Mannheimer. “Le piazze non possono sostituire le tv – premette il sociologo – ma Grillo in tv c’è, pur non andandoci fisicamente, ma se ne parla proprio perché riempie le piazze ed è un evento”. Il comico genovese conquista due piazze al giorno. Ieri Trapani e Palermo, la scorsa settimana Livorno e Firenze, Pesaro e Salerno, Lecce, Grosseto, Siracusa. Ovunque un bagno di folla. “Vada come vada, abbiamo già vinto”, ha detto ieri nel pomeriggio a Trapani. “Questo non è un movimento, è un virus, una sorta di epidemia. A maggio ci saranno le amministrative: non ci fermano più”, ha gridato poi a Palermo. Presenza scenica, capacità dialettica, battute. Grillo conosce le proprie capacità e le sfrutta al meglio. Come dice Mannheimer “non tutti i politici di oggi sono in grado di fare comizi, in più Grillo ha una esperienza importante alle spalle sui palcoscenici”. E si vede. Ma non basta. Perché Grillo sembra sapere ciò che dice. Conquista applausi anche quando parla di quote latte, bilanci statali, spread e armamenti. Se qualcuno lo contesta lui lo fa salire sul palco, lo lascia parlare. “E alla fine quello lo voterà perché è stato ascoltato”, dice Piepoli. Un eroe, Grillo. Che sa bene contro chi gioca. “Gente che ha paura di uscire a farsi vedere per strada: Bin Loden lì non sa neanche cosa è un comizio”, ripete ormai da ogni palco. Torto non ne ha. Gli altri leader si nascondono in teatri e luoghi chiusi.
Domani, per dire, il signore di Arcore annuncerà la nuova promessa elettorale agli italiani da una sala ipercontrollata della Fiera di Milano. Finiti i tempi dei predellini e dei bagni di folla in strada. Meglio nascondersi. Neanche la Lega fa più comizi. Il segretario del Carroccio, Roberto Maroni, per lanciare la sua candidatura a governatore della Lombardia ha affittato, sempre per domani, il teatro Nuovo in San Babila. Il suo avversario Giorgio Ambrosoli sta girando le città lombarde ma già ieri, alla seconda tappa, ha ripiegato in una sala. Persino Pierluigi Bersani a una delle tante piazze di Firenze, ieri per ufficializzare la collaborazione di Matteo Renzi, ha preferito il teatro Obihall.
Cari vecchi comizi addio. “E sono dei cretini, dei cretini”, sentenzia Piepoli. “Oggi si vince con i vecchi metodi: manifesti e piazze, la gente non è stupida e cerca il contatto umano, lo vuole, lo premia”. Per questo, dice, Grillo vola. “In Sicilia ha vinto alle regionali perché c’era arrivato a nuoto, perché si è fatto vedere, toccare; perché ha ascoltato o almeno ha finto di farlo”.
Finito il tour sull’isola, oggi e domani Grillo sarà in Emilia Romagna, poi due giorni in Sardegna. Dal sei febbraio attraverserà le città del Nord per poi andare verso Roma dove il 22 febbraio chiuderà la campagna elettorale in piazza San Giovanni. Con il sogno di riempierla e “fare la storia” perché, ripete anche a Palermo, “non ci fermano più, non ci ferma più nessuno”.