giovedì 30 agosto 2012

Legge elettorale, la riforma ‘usa e getta’

di 



I partiti sembrano aver trovato l’accordo sulla nuova legge elettorale. La proposta accontenta un po’ tutti proprio perché è una riforma “usa e getta”, figlia della debolezza dei suoi firmatari. Rischia però di consegnarci un parlamento troppo frammentato per dar vita a qualsiasi coalizione, avvicinandoci così alla Grecia. Mentre invece dovremmo guardare alla Francia e al suo sistema maggioritario a doppio turno. Meglio prefigurare una fase costituente, per arrivare a una legge elettorale agganciata a una riforma istituzionale in grado di superare il bicameralismo perfetto.
Immaginate di essere un investitore che deve decidere se rinnovare o meno i propri Btp alla scadenza sapendo che in Italia fra meno di un anno si vota. La prima domanda che vi porreste è: quale governo uscirà da questa tornata elettorale? Ci saranno rappresentanze politiche sufficientemente lungimiranti da saper gestire il risanamento e affrontare i problemi strutturali che impediscono al paese di crescere al passo di Francia, Germania e Regno Unito? Il ricorso a un governo tecnico e l’entusiasmo che ciò ha provocato tra i leader europei sono la misura del fallimento della nostra classe politica. Naturale che oggi il quesito ricorrente nei mercati sia: cosa ci sarà dopo? Che tipo di maggioranza uscirà dal voto? Sarà un governo sufficientemente stabile?
L’accordo tra i partiti
Durante l’estate i nostri politici hanno pensato bene di accentuare ulteriormente questa incertezza trovando un accordo su di una riforma della legge elettorale che avvicina il nostro paese alla Grecia. Secondo le anticipazioni, l’accordo prevede un sistema elettorale ancora più complicato di quello oggi vigente. Si tratterebbe di un proporzionale con correttivi maggioritari e soglia di sbarramento al 5 per cento (con clausola di salvaguardia per chi non supera la soglia, ma ottiene più dell’8 per cento in almeno una regione). I correttivi maggioritari risiedono nella scelta degli eletti (anche se le percentuali sono oggetto di trattativa): 50 per cento con collegi uninominali; 35 per cento con liste bloccate; 15 per cento come premio al primo partito.
L’accordo è figlio della debolezza dei suoi firmatari (che probabilmente gareggeranno nell’evidenziarne i limiti subito dopo l’annuncio). Dà un contentino a tutti: il Pd si porta a casa i collegi al posto delle preferenze; il Pdl ottiene la clausola a vantaggio della Lega e del potenziale partito del Sud; Casini ha il suo proporzionale quasi tedesco al netto del premio al primo partito, regalandoci però un’altra riforma elettorale “usa e getta”.
Nel 2006, il centrodestra partorì il Porcellum per ridurre i costi di una sconfitta annunciata. Oggi si punta a una legge che garantisca un sostanziale pareggio o una vittoria di misura, magari per rilanciare un governo simil-Monti e adottare misure di austerità di cui i partiti non vogliono parlare in campagna elettorale.
Questo modo di guardare solo alle prossime elezioni, in realtà, è molto pericoloso perché, data la fortissima sfiducia nutrita dagli italiani nei confronti delle loro attuali rappresentanze politiche, rischia di consegnarci un Parlamento talmente segmentato da non permettere la formazione di coalizioni dopo il voto. E le riforme usa e getta tolgono ulteriore credibilità alla politica perché ci consegnano oligarchie come quelle attuali. È una classe dirigente che l’Italia oggi non può più permettersi.
Miglioramenti possibili
Come si potrebbe modificare la legge elettorale per migliorare la selezione della classe politica e aumentare la credibilità del paese? L’esperienza degli ultimi venti anni ci mostra che il bipolarismo della Seconda Repubblica ha sofferto di tre mali principali: la rissosità di poli prigionieri delle fazioni estreme; la frammentazione di coalizioni governative che tentavano di conciliare l’inconciliabile; il deterioramento della qualità della classe politica, per l’impossibilità degli elettori di scegliere gli eletti. Per affrontare questi problemi bisogna avvicinarsi alla Francia, piuttosto che alla Grecia. In entrambi i paesi si è votato nel 2012 e in entrambi i casi il voto è stato molto frammentato (al primo turno). Eppure la Francia ha oggi un governo stabile, mentre la Grecia è dovuta tornare al voto e ha tuttora un governo che rischia di cadere da un momento all’altro. Avvicinarsi alla Francia significa adottare un sistema maggioritario a doppio turno con collegi uninominali. Bene anche disegnarli in maniera competitiva, ovvero minimizzando il numero di collegi sicuri prima del voto (“Riforma elettorale, il momento è giusto“, V.Galasso – T.Nannicini).
Purtroppo, con un’ottica di riforma “usa e getta” la probabilità di approvare una legge del genere è prossima allo zero. Tuttavia, anche la bozza di accordo in circolazione potrebbe essere migliorata per raggiungere questi obiettivi, e fare così un passo avanti sostanziale rispetto al Porcellum. In primo luogo, è necessario tenere separata la ripartizione dei seggi nel 50 per cento maggioritario dal 50 per cento proporzionale (come nel Mattarellum), ed evitare che i collegi uninominali vengano usati per selezionare i candidati (all’interno dei partiti) ma non per ripartire i seggi tra i partiti (come in Germania). Ciò è necessario per restituire la scelta dei politici ai cittadini.
In subordine, si può ridurre le distanze fra il sistema proporzionale che si prefigura all’orizzonte e un ipotetico sistema maggioritario, allocando i seggi in piccole circoscrizioni, come in Spagna. Ovviamente, approvare rapidamente la mille volte promessa riduzione di uno dei parlamenti più numerosi del mondo aiuterebbe l’obiettivo di tenere bassa l’ampiezza dei collegi in termini di eletti. Anche qui i numeri sono importanti: le circoscrizioni non devono prevedere più di quattro o cinque eletti, altrimenti si favorisce la frammentazione e si peggiora la qualità degli eletti, perché i partiti possono nascondere candidati di dubbia qualità in liste bloccate troppo lunghe. In secondo luogo, bisogna aumentare il potere di scelta dei cittadini incrementando in maniera decisiva la contestabilità dei collegi uninominali. Anche con i collegi uninominali, infatti, i partiti possono “nominare” un parlamentare (proprio come con le liste bloccate) candidandolo in un collegio sicuro. Da questa semplice constatazione nasce una seconda proposta: disegnare i collegi uninominali per renderli “competitivi”, cioè dall’esito incerto. La proposta è tecnicamente fattibile (potrebbe essere definita in poche settimane da una commissione tecnica indipendente a costo zero) e migliorerebbe la qualità della classe politica ancor più delle primarie obbligatorie per la scelta dei candidati (visto che le primarie avvantaggiano chi controlla zoccoli duri di militanti).
Se queste o simili modifiche fossero introdotte, la riforma elettorale, anche se nata da un compromesso di corto respiro, potrebbe comunque rivelarsi utile. Ma se così non fosse, allora meglio lasciare perdere. Conosciamo l’obiezione: piuttosto che votare con il Porcellum, meglio qualsiasi formula alternativa. Tuttavia, ogni cambiamento di legge elettorale ha costi non indifferenti e questo per l’Italia sarebbe il terzo in vent’anni. Data la crisi di credibilità della politica italiana, per non dissuadere ulteriormente gli italiani dal voto, bisogna puntare a una legge elettorale che sia comprensibile ai cittadini. Se oggi un esito di questo tipo non è possibile, bene allora prefigurare una fase costituente, eleggendo con le regole attuali un parlamento che vari durante la prossima legislatura una riforma elettorale agganciata a una riforma istituzionale in grado di superare il bicameralismo perfetto. Durante la fase costituente, verrebbe prolungata l’esperienza del governo tecnico, che si concluderebbe al termine dei lavori della Costituente, quando si tornerebbe alle urne con la nuova legge. Questo darebbe un incentivo ai partiti a fare al più presto la riforma, anziché aspettare come sempre appena prima del voto. Perché in questo caso la riforma coinciderebbe con il ritorno alle urne.



mercoledì 29 agosto 2012

Contro i luoghi comuni dei media meglio rileggersi Umberto Eco



umberto eco mezzobusto 640


















Provate ad immaginare degli scritti che raccontano e demistificano i meccanismi del potere e dei poteri degli anni ‘60, e che invece sono di straordinaria attualità. Non pensate a narrazioni letterarie, ad invenzioni fantastiche, si tratta di una serie di scritti di Umberto Eco: interventi sui media, riflessioni culturali acute, non specificatamente accademiche. Le potremmo definire esemplificative, legate a quella dimensione che il famoso semiologo-filosofo e scrittore, chiosa come «i vari modi dell'impegno pubblico concreto».

Ma son testi che si intersecano con l’attività teorica dell’autore, con i suoi studi sui problemi della comunicazione. Interventi su vari argomenti: dalle analisi dei discorsi dei politici alle tecniche comunicative dei telegiornali, dai meccanismi del linguaggio pubblicitario a quelli della stampa devozionale, alla critica delle debolezze, delle contraddizioni, dei profondi limiti della cultura di destra in Italia. Nella seconda parte del libro, Il costume di casa. Evidenze e misteri dell'ideologia italiana negli anni Sessanta, ripubblicato da Bompiani nelle edizioni tascabili (pagine 496, euro 10,90), vi sono riflessioni teoriche e teoretiche sulla genesi del Gruppo 63 e la fine di «Quindici».

È una opera critica, razionale e lucida, volta a demistificare falsi miti e verità distorte. Una sua analisi critica dei «Mostri in prima pagina» è di una cogente attualità e palesa gli errori e le superficialità di alcuni media, che diventano vere e proprie prevaricazioni giornalistiche. Spesso emerge una notizia che «violentemente» oscura tutte le altre. Bisognerebbe chiedersi «a chi giova»? Eco smonta luoghi comuni e stereotipi con interpretazioni chiare ed efficaci, che andrebbero studiate anche nelle scuole di giornalismo: «Al di sotto di tutto questo rimane comunque il sospetto che l’ideologia della notizia a tutti i costi (che non ha a che fare con l’ideale della verità a tutti i costi) domini minacciosamente l’etica del giornalista: così che al di là delle intenzioni di dolo e da ogni presunzione di corruzione, il giornalista onesto dovrebbe chiedersi sempre se egli non stia falsificando i fatti per il solo fatto di enfatizzarli». Un buon giornalista dovrebbe tentare di evitare le manipolazioni, di capirle, di smontarle. E non credersi il depositario della verità assoluta. Lo scritto risale al 1972, sembra elaborato in questi mesi, od in queste settimane.

Ma ve ne è un altro, "L’illusione della verità" (del 1969), ancora più sottile, dove Eco decostruisce «il mito ideologico dell’obiettività». Il giornalista può raggiungere un certo grado di obiettività, ma non può avere la pretesa della verità assoluta. «Deve testimoniare su ciò che sa... e deve testimoniare dicendo come la pensa lui». In questo è fondamentale l’onestà, che però è una importante scelta morale, non una verità metafisica. Il giornalista deve raccontare, testimoniare sui fatti, esprimere la propria opinione, senza la presunzione della verità assoluta. Il mito dell’obiettività assoluta è per Eco «una manifestazione di falsa coscienza, è una ideologia». Ma va aggiunto che la dimensione autentica delle battaglie civili, politiche, culturali, democratiche, ha bisogno di una passione vitale e di valori etici, che vanno esposti con equilibro, con onestà intellettuale. Ma credendoci. Se è vero che occorre smitizzare, non è vero che sia bello e utile vivere senza verità. Seppur umane, molto umane, le verità sono utili per orientarsi nel mondo, e non chiudersi in un luogo senza luce e senza vie d'uscite. Anche il non crederci a priori, può diventare una vuota retorica.

martedì 28 agosto 2012

Il brutto incantesimo dell’assenza di notizie

di 


Dunque, adesso lo sappiamo. Andremo a votare in novembre, domenica 25 e lunedì 26. Non ci danno ancora i sondaggi aggiornati a quella data (che comunque, per due giorni circola con certezza) ma ci assicurano che “cresce la voglia di elezioni anticipate” tanto più che “la legge elettorale è ormai cosa fatta” (Enrico Letta). E quando, tra poco, sarà annunciata “ci sarà chi rimpiangerà il porcellum: premio al vincitore del 15 per cento e soglia minima all’8 per cento per riguardo alla Lega”. Resta il fatto che “le preferenze sono irrinunciabili” e che questo sarà “l’ultimo duello sulla legge elettorale”, e comunque “Berlusconi tifa per la grande coalizione”. Molto di tutto ciò si fa “postando su Facebook un commento positivo alle ultime dichiarazioni di Vasco Rossi tornato a difendere la legalizzazione della marijuana per limitare il danno da spaccio”. Nessuno attribuisce ai Radicali di Pannella e Bonino i diritti d’autore (vengono molto prima di Vasco Rossi) ma la polemica subito infuria e contrappone Idv e Pd, provocando riferimenti alle elezioni anticipate del 25 e 26 novembre.
Praticamente non è vero niente di quello che ho scritto nelle righe che precedono, ma è tutto trascritto dai giornali o annotato da radio e Tv negli ultimi giorni. S’intende che il vero problema dellasimil-notizia, accolta ogni volta come un velo che si squarcia e la vera storia che finalmente si affaccia, produce effetti più grandi e pericolosi quando imperversa nel vasto e impreciso settore detto “economia”, ormai frequentato da esperti di tutti i livelli e gradazioni accademiche. Ho detto “vasto” perché ogni argomento è diventato “economico” (tranne, misteriosamente, le cose veramente costose, come le missioni militari e le armi) e “impreciso” perché ogni voce è diventata fonte di competenza economica, per quanto improvvisata sia l’affermazione che dovremo ascoltare e discutere. Di nuovo ci basteranno esempi dai titoli e “lanci” di due giorni a caso della settimana appena conclusa.
Disponiamo, volendo ingaggiare una intensa e allarmata discussione, dell’annuncio (o auspicio, non si capisce) di “agevolazioni a chi assume”, che naturalmente favoriscono i giovani. Volendo, si completa così: “Scuole e start up, misure per i giovani”, ma anche “Lotta al precariato, investire sulle competenze”, che sembrano frasi ovvie e già sentite ma avranno la loro bella parte di discussione e provocheranno qualche scontro sulla questione del merito, a cui questo Paese, con una Costituzione troppo socialista, non dà il giusto valore. Disponibile anche “Fornero, meno tasse sul lavoro”, spiegata come “Ridurre il cuneo fiscale sui salari, una rivoluzione da 10 miliardi”, un annuncio che fa sentire giovani coloro che si imbattono da oltre 20 anni in questo buon progetto.
Ecco allora “Merkel e Hollande in pressing: la Grecia mantenga gli impegni”, e anche “Sì, ai tempi supplementari, solo se Atene approverà i nuovi tagli”. Naturalmente “Le borse europee giù” e “Lo spread torna a salire”. S’intende che “Il governo ha un piano d’autunno” anche se non trapelano per ora altre notizie. Ma sappiamo che “I ministri sono alla prova della crescita”. E che un Consiglio dei Ministri senza agenda è durato 9 ore e poi è seguito un vassoio di panini. Ma il mio intento, però, non è di critica giornalistica, ma di presa d’atto di una strana situazione. Non solo c’è il dramma della penuria di danaro e quella della siccità nell’agricoltura del mondo. Non solo “i monsoni sono in ritardo” in India e in tutto il Sud Est asiatico. Da noi mancano le notizieMancano perchè mancano le decisioni. E mancano le decisioni perchè mancano gli statisti e manca la capacità di interpretare gli eventi, e il coraggio di dire dove siamo e di indicare dove andiamo. Non è detto che di statisti – tranne Monti – non se ne vedano in giro, come afferma Bonanni. Il fatto è che sono al Convegno.
Tutti, anche Monti. O meglio, tutti coloro che sono sospetti di avere almeno un po’ di potere. Per esempio Rimini. Perché li invitino al meeting si capisce. Meno chiaro è perché tutti coloro che governano, evidentemente in nome di Dio, accettino in massa. Che senso ha “fare vacanze brevi” e mostrarsi “già al lavoro”, per poi andare a Rimini aggirandosi per giorni, tra scorte e telecamere, per la sola ragione che Comunione e Liberazione (la casa madre di Formigoni) chiama? Possibile che Formigoni, con le cose che ha fatto e le cose che dice, non stinga neanche un po’ sulla reputazione dell’evento, e che quell’evento sia percepito non solo come “santo” ma anche come santificante? È triste ma vero. Come per un brutto incantesimo, siamo tuttora bloccati nel mondo non esemplare dei piccoli Formigoni, una dose di potere, una di danaro e una religiosità autocertificata. Credere per accedere nelle stanze giuste.

accusare un politico di “leccaculismo” non è diffamazione




Il vignettista Davide Sacco aveva definito così la tendenza dell'esponente di Forza Italia Enrico Nan ad assecondare sempre il dominus Claudio Scajola. Il giudice di primo grado lo ha assolto: "Approvare chi può decidere il proprio destino" è una forma di "intelligenza politica". Anche se "non apprezzata"


Fare satira in Italia è un mestiere a rischio. Per comici, scrittori e vignettisti toccare il potere è sempre un azzardo, non sapendo mai come può reagire il potente di turno. Ma non è per il suo lavoro di disegnatore satirico che Davide Sacco, genovese, già collaboratore delle pagine genovesi del Giornale, de Linkiesta e del Foglio, è finito nel mirino di Enrico Nan, ex deputato diForza Italia per quattro legislature e attualmente coordinatore ligure di Fli. Sacco è stato querelato per le sue opinioni, espresse sotto pseudonimo “ilNecchi”, il 12 agosto 2006 su un forum di politica savonese www.uominiliberi.eu: “l’on. Nan ha perso più battaglie lui che l’Italia a Caporetto! Però è sempre lì, non per capacità ma per… penso che il termine giusto sia leccaculismo, o ancor meglio…yesmanismo” (nella foto, una vignetta di Sacco su Nan)Nei confronti, ovviamente, del dominus del centrodestra ligure Claudio Scajola.
Ma non è finita. Come risarcimento per la presunta diffamazione subita, Nan chiedeva centomila euro di risarcimento. Eppure era già finito nel mirino satirico di Sacco, che spiega: “L’avevo già raffigurato nelle vesti di un Napoleone sconfitto e come un capitano che affonda con la nave di Forza Italia, sconfitta alle comunali di Savona con una percentuale bulgara. Eppure ha scelto quelle affermazioni…”. E così, nonostante inizialmente il pm avesse scelto l’archiviazione, Nan ha continuato imperterrito a mandare avanti la sua querela per diffamazione. Fino alla sentenza di primo grado. Nella quale, scrive il giudice D’Arienzo, le affermazioni sul forum “appaiono, comunque, legittimo esercizio del diritto di critica politica” e che quindi “il diritto di critica non si concreta, come quello di cronaca, nella narrazione di fatti, ma si esprime mediante un giudizio od un’opinione che, come tali, non possono essere rigorosamente obiettivi”.
Secondo il magistrato, Nan viene definito “il protagonista non di successi ma di sconfitte politiche (Caporetto) che rimane quindi sull’arena non per l’impegno dimostrato (“capacità”) ma per l’intelligenza, non apprezzata, ma comunque anch’essa certamente politica, con cui si relaziona a chi può deciderne il destino nel settore, approvandone le azioni e le richieste”. Quindi, per il magistrato, Sacco non ha diffamato la persona dell’allora onorevole Nan, ma ne ha riconosciuto l’intelligenza politica. In attesa di sapere se Nan farà ricorso in appello, il vignettista ha continuato la sua attività di “commentatore di notizie”: “La mia non è satira cattiva, feroce. Il mio è più un bonario “menaggio” (in genovese, presa in giro)”. E se Guareschi venne condannato per la diffamazione diAlcide De Gasperi e Forattini per Occhetto e D’Alema, Sacco invece l’ha spuntata. Sorride: “Loro operavano su scala nazionale, io a livello locale. Tutto è proporzionato”. Quindi attenzione, la prossima volta che per definire un politico si  userà l’epiteto “leccaculo”, in realtà potreste riconoscerne il fiuto politico. Pur non apprezzandolo.

domenica 26 agosto 2012

Legge elettorale, Cicchitto: “Un terzo dei parlamentari con liste bloccate”

Il capogruppo alla Camera del Pdl 'confessa': "I partiti hanno fatto un pessimo uso delle liste bloccate, ma senza di esse una serie di parlamentari di alto livello non sarebbero entrati o non entrerebbero più in Parlamento". E sulla legge elettorale Buttiglione attacca: "E' pronta da prima dell'estate, ma nella pantomima del bipolarismo non si può dire"




Nella prossima legislatura i big dei partiti torneranno tutti a sedere comodamente sugli scranni del Parlamento. Esattamente come è successo con ilPorcellum, così accadrà con la nuova legge elettorale, quale che sia. A dirlo, per una volta, non sono i retroscena di palazzo, ma direttamente il capogruppo alla Camera del Pdl, Fabrizio Cicchitto, in una intervista pubblicata sul Mattino: “Un terzo dei parlamentari va scelto dai partiti con i listini bloccati – spiega Cicchitto – certo, delle liste bloccate i partiti hanno fatto pessimo uso, ma senza di essi una serie di parlamentari di alto livello non sarebbero entrati o non entrerebbero più in Parlamento. Serve equilibrio, non demagogia”.
Giù il velo dell’ipocrisia, Cicchitto ‘confessa’: c’è una intera oligarchia politica che non può permettersi di rimanere a casa solo perché gli elettori non la vogliono più vedere. E pazienza se questo permetterà di mettere in Parlamento le Minetti di turno. Per il resto, il capogruppo del Pdl si mostra “cauto” sull’accordo per la legge elettorale. “Il filo del dialogo non si è mai interrotto ma su alcuni punti qualificanti esistono più opzioni: se il premio andrà al primo partito, come chiediamo noi del Pdl, o alla coalizione, come vuole il Pd, e di che entità sarà, se del 10% o del 15%. Poi, preferenze o collegi oppure una soluzione intermedia tra queste due ipotesi”.
Proprio questi sembrano essere, allo stato, i nodi della trattativa tra i partiti. Un filo, stando alle parole del Pd Enrico Letta, sempre sul punto di interrompersi ma tenuto insieme dal duro lavoro di mediazione: “Se non si cambia la legge elettorale ora – ha dichiarato il vice di Bersani –  il prossimo Parlamento sarebbe l’agonia della Seconda Repubblica. Invece, il prossimo Parlamento deve essere l’inizio della Terza Repubblica. E questo può avvenire solo con un Parlamento eletto dai cittadini”.
Dopo l’ottimismo della scorsa settimana – “l’accordo è vicino, a breve l’annuncio” – il numero due del Pd torna a dubitare per invocare la responsabilità del trio ABC: ”Serve la buona volontà dei partiti maggiori a seguire l’appello di Napolitano. Lo ha detto con forza in questi mesi, richiamando il tema dell’interesse generale. La nuova legge elettorale è per il bene del Paese e serve a recuperare credibilità politica. Ci siamo vicini, ma ognuno deve fare la sua parte”.
A gelare la retorica di Letta di fronte ai microfoni di Tgcom 24, è però intervenuto un altro ex democristiano, l’ex ministro dei Beni Culturali Rocco Buttiglione. Ieri compagno di partito, poi nemico, oggi e domani quasi sicuramente alleato dello stesso Partito democratico, Buttiglione ha buttato acqua sul sacro fuoco della responsabilità politica che da mesi viene continuamente invocato ogni volta che si parla della transizione dal Porcellum a una nuova legge. 
L’accordo sulla legge elettorale – ha svelato Buttiglione – “è pronto da prima dell’estate”, ma non si dice perché in Italia “è ancora in piedi la pantomima del bipolarismo, un sistema per cui gli accordi non si fanno o, se si fanno, bisogna disprezzarli o attaccarli con odio. Una mentalità malata da cui bisogna uscire”. In un’intervista al Mattino, il presidente dell’Udc ha descritto nei dettagli – molti dei quali a dire il vero noti da giorni – i contorni dell’accordo:  “Il sistema elettorale sarà di base proporzionale – spiega Buttiglione – con uno sbarramento nazionale al 5% e all’8% in tre circoscrizioni, premio al primo partito, un terzo di liste bloccate e due terzi di preferenze o collegi”.
Buttiglione ha anche escluso l’ipotesi di elezioni anticipate, “a meno che non venga sconfitta in Europa la linea Monti-Draghi-Hollande-Merkel”. Quanto alla grande coalizione, “molto dipende dal sistema elettorale. Se passa quello di cui abbiamo parlato, che favorisce le aggregazioni ma non le impone, a meno che non vinca nettamente un’alleanza di centrodestra o una di centrosinistra, vorrà dire che è il popolo sovrano a volerla”, dichiara. “Molti che nel loro cuore la vogliono, nel Pd come nel Pdl, ma a parole la negano, sanno che è la sola soluzione possibile. Solo con il Porcellum o con un Super-Porcellum si potrebbe evitarla”.
Con questo sistema, quindi, l’unico nodo resta quello dell’entità del premio da assegnare al primo partito. Il Pd, al momento confortato dai sondaggi che lo vedono attorno al 25-27%, in vantaggio netto sul Pdl, spinge per ottenere un premio del 15% (o più) che garantirebbe controllo su una eventuale coalizione con Udc e Sel e la speranza di avere una maggioranza. Il Pdl vorrebbe mantenerlo più basso, tra il dieci e il 12%, rendendo in questo modo indispensabile un continuo accordarsi delle forze politiche. Con buona pace dei proclami di Alfano - “Silvio vuole vincere e governare” – buoni per dare una idea di competizione.
Del resto, i numeri – che i partiti conoscono a memoria – dicono che con l’attuale grado di sfiducia nei confronti della classe politica, con il nuovo sistema “alla greca” formare una maggioranza in parlamento sarebbe impresa ardua. Il Pd – dicono gli ultimi dati dell’Istituito Cattaneo pubblicati dalla Stampa – ci riuscirebbe solo con una alleanza con Sel e Udc. Solo in questo modo si garantirebbe una quarantina di seggi di vantaggio sull’opposizione. Ma questo renderebbe indispensabile una pace permanente tra centro e sinistra che al momento non si vede. Il centrodestra, di contro, ha tutto da guadagnare da un premio più basso – con buona pace della governabilità – che agirebbe da richiamo della sirena per riportare l’Udc verso il centrodestra. Di certo, numeri alla mano, nessun partito potrà cavarsela da solo.