sabato 18 giugno 2011

In migliaia per lo show di Santoro


C'è un prato gremito di gente. Ci sono migliaia di persone. Ci sono lavoratori, precari e studenti: tutti ugualmente "incazzati". Ci sono Serena Dandini, Michele Santoro e Vauro. Ci sono le bandiere della Fiom. E anche Roberto Benigni che grida "l'Italia s'è desta". E la musica. E c'è il lavoro e la sua dignità. Eccola la serata evento "Tutti in piedi, entra il lavoro". Dopo il successo di 'Raiperunanotte' il conduttore di Annozero torna a farsi sentire. Al fianco della Fiom che celebra i suoi 110 anni a Villa Angeletti, a Bologna. Tanta gente con lui: comici, giornalisti, musicisti, attori ma anche gente comune come le operaie della Omsa di Faenza, ricercatori e precari. "Michele, ti devo riportare in Rai, ho anche un euro che ho prestato a Garimberti" attacca la Dandini esibendo una maglietta con scritto 'Rai Pride' e ironizzando sul "covo di comunisti" che la circonda.

Si comincia con Vauro e con un video in forma di fiction sull'intervista ad una delle ragazze delle feste ad Arcore, proiettata sui maxischermi. Poi si passa al lavoro. E al precariato. Si parte dall'ormai nota performance del ministro Renato Brunetta contro i precari ("questa è la peggiore Italia 1"). Sul palco sale Maurizia Russo Spena, la stessa alla quale il ministro ha girato le spalle: "Caro ministro, io sono una precaria e rappresento il fallimento


del suo modello di svilluppo. Adesso se la vedrà con la piazza" (IL VIDEO) 2.
Quella stessa piazza che si infiamma sentendo un giovane ricercatore costretto ad andare all'estero per trovare un lavoro. Che applaude un lavoratore della Fincantieri. Che si spella le mani per gli studenti che reclamano un futuro. Che ascolta il segretario della Fiom Maurizio Landini che   manda un messaggio al Lingotto e al governo: "Se la Fiat riuscirà a far approvare una legge ad aziendam per mettersi al riparo dalle cause contro gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, noi raccoglieremo le firme per un nuovo referendum e le respingeremo". Sui megaschermi scorrono le immagini di We want sex, il film sulla lotta, vittoriosa, delle operaie inglesi della Ford per la parità salariale, quelle di Crozza che imita Marchionne (che da queste parti non riscuote molti consensi...). Daniele Silvestri canta Gaber. Elisa Anzaldo, che ha abbandonato la conduzione del Tg1 perché stufa di nascondere le notizie su Berlusconi, racconta come scatta la censura dalle parti di Minzolini (imitato a seguire da Max Paiella).

Sul palco si mischiano spettacolo e politica. Si passa dal "mafioso" Corrado Guzzanti alle parole al pm Antonio Ingroia. Da Marco Travaglio alla musica dei Subsonica. Santoro si fa vedere alle 22.50. E lo fa per annunciare Roberto Benigni. "L'Italia s'è desta - grida l'attore correndo sul palco accompagnato dal boato della gente. Cita Rimbaud e Primo Levi, Benigni, e rende omaggio alla piazza e ai lavoratori: "Voi siete l'Italia migliore. Il lavoro è prezioso, il diritto al lavoro è una cosa sacra e ogni legge che attenti al lavoro è un sacrilegio". Poi, rivolto a Santoro ironizza: "La Fiom a villa Angeletti? Dove dorme il segretario della Uil? Michele stai facendo un uso criminoso della Fiom". Infine una sferzata alla Rai con il paragone tra i calciatori coinvolti nell'inchiesta sul calcioscommesse al direttore generale della Rai: "Entrambi stanno danneggiando volontariamente la propria squadra per farla perdere..".

E poi, a chiudere torna Santoro in tuta da operaio che si vrivolge a Berlusconi "presidente operaio". "Lei sta facendo di tutto per farmi diventare un disoccupato, ma non ci riuscirà". L'inzio di un discorso in cui racconta il cambiamento della condizione operaia negli ultimi vent'anni parlando come un operaio. "I nostri salari sono rimasti fermi ma il Paese non cresce, allora non era colpa del mio salario, ai miei figli ho dovuto dire non ho i soldi per l'università, e ci avete portato via la cultura, ci avete portato via il quartiere, le case popolari, gli asili. Una volta andavamo al mare ora le spiagge sono di pochi, ci avete portato via la fabbrica perché è arrivata la finanza". Poi passa alla televisione. "Perché non abbiamo spaccato tutto? Perché mio figlio sta davanti alla tv un po' annoiato? Perchè in tv il lavoro, i lavoratori non ci sono. In televisione ci avete fatto mangiare cibi troppo semplici". "C'è stato un consigliere Rai che ha presentato un ordine del giorno molto semplice: ha detto 'Santoro vuole fare la sua trasmissione per un euro, perché non accettiamo?' Allora presidente Berlusconi, io voto perché Santoro resti in Rai, alzo la mano perché resti in Rai. Allora Bersani, che mi stai simpatico, contale anche tu queste 30 mila mani che si alzano perché Santoro resti in Rai". Ed allora, la conclusione del Santoro-operaio: "Ci dobbiamo riprendere tutto quello che ci avete tolto: l'aria, il mare, la scuola, il nostro futuro".


Repubblica.it

Il Parlamento risalva le Province. Il Comma 22 di Calderoli

-Il più fantasioso è stato Roberto Calderoli: “Nel nostro programma elettorale c’era la soppressione delle Province inutili, non quella delle inutili Province”. E che gli vuoi dire? Applauso a scena aperta per il gioco di parole che a lui deve essere apparso assai brillante. Gioco di parole che è un riadattamento del Comma 22, quello per cui puoi essere esentato dalle missioni di guerra se sie pazzo, ma, se sei pazzo, non sei allora in grado di chiedere l’esenzione. Era un vecchio film sull’esercito statunitense, ora è la “linea” di Calderoli, e della Lega, sulla ormai penosa questione se risparmiare o no soldi pubblici abolendo le Province. Calderoli mago delle parole dice: “Aboliamo quelle inutili”. Poi nessuno dice mai quali sono quelle “inutili” e le Province restano tutte, non se ne abolisce nessuna. Cervello fine quello di Calderoli.

La storia dell’abolire le Province è rispuntata quasi clandestina e sicuramente importuna in Parlamento. Un anno fa si disse se ne potevano eliminare 17 su una novantina, presto calate a sette, quindi a tre. L’altra sera se ne discuteva alla Camera. Contro il taglio “generalizzato” si schierava il Pdl, la Lega e anche il Pd. Non tutto il Pd, ma quanto bastava. Bastava a non farne niente, a non risparmiare un euro, a non togliere un euro e una sedia ai “politici di territorio”. Però il Pd, mentre con la mano sinistra bloccava, con quella destra si batteva il petto, pentito e contrito. E alquanto imbarazzato, tanto che per non ritrovarsi in una votazione pro Province eterne e intoccabili, il capogruppo Pd Dario Franceschini chiedeva un rinvio dell’ardua sentenza. Chiesto, fatto: delle Province se ne parlerà un’altra volta, l’anno del mai, il giorno del poi. Costano due miliardi, Tremonti ne ha chiesto quaranta, servono a sanare il deficit. Tremonti ha detto due giorni fa che bisogna partire dal taglio dei costi della politica, quei due miliardi, anche uno, anche mezzo potevano servire, soprattutto come esempio e segnale di credibilità. L’esempio è stato dato, la credibilità della politica è stata misurata: loro dei quaranta miliardi che servono non scuciono un euro
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venerdì 17 giugno 2011

Pena di morte digitale


L'Agcom minaccia la libertà del web, ma la Rete non lo sa.
di Fabio Chiusi

I critici non hanno dubbi. La bozza della delibera (la 668/2010) dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) è una mina da disinnescare al più presto, perché mette a repentaglio la sopravvivenza di migliaia di siti.
«È la più forte minaccia alla libertà di espressione in Rete che sia mai stata fatta in Italia», sostiene Fulvio Sarzana, avvocato e curatore del Libro bianco su diritti d'autore e diritti fondamentali nella Rete internet. Per Sarzana, infatti, la bozza della delibera potrebbe «decretare la pena di morte digitale di centinaia di migliaia di siti».
TESTO DEFINITIVO ENTRO FINE MESE.La versione provvisoria del regolamento è stata rilasciata a dicembre 2010, e al momento non vi sono indicazioni ufficiali sull'approvazione di un testo definitivo. Ma secondo le fonti diLettera43.it, è lecito ipotizzare la presentazione del progetto compiuto entro fine giugno.
Un rapido passaggio in consiglio di amministrazione Agcom, la pubblicazione entro 60 giorni in Gazzetta ufficiale e il testo sarà in vigore. «Cioè verso Ferragosto», ironizza Marco Scialdone, uno degli avvocati che ha proposto l'appello all'Authority «affinché effettui una moratoria sulla nuova regolamentazione sul diritto d'autore», come recita il testo consultabile suSitononraggiungibile.e-policy.it.

La procedura della rimozione dei contenuti 

Il nome del sito non è stato scelto a caso. Perché i siti potrebbero essere resi non raggiungibili tramite un sistema di cancellazione e inibizione degli indirizzi anche solo «sospettati», accusano i detrattori, di violare il diritto d'autore. Una procedura che, in gergo, si chiama notice and take down.
Secondo la delibera Agcom, se il titolare dei diritti di un contenuto audiovisivo dovesse riscontrare una violazione di copyright su un qualunque sito (senza distinzione tra portali, banche dati, siti privati, blog, a scopo di lucro o meno) può chiederne la rimozione al gestore. Che, «se la richiesta apparisse fondata», avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere.
CINQUE GIORNI PER IL CONTRADDITTORIO. Se ciò non dovesse avvenire, il richiedente potrebbe, secondo la delibera ancora in bozza, rivolgersi all'Authority che «effettuerebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro cinque giorni», comunicandone l'avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. E in caso di esito negativo, l'Agcom potrebbe disporre la rimozione dei contenuti.
Per i siti esteri, «in casi estremi e previo contraddittorio», è prevista «l’inibizione del nome del sito web», prosegue l'allegato B della delibera, «ovvero dell’indirizzo Ip, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, o ancora per i casi di pedopornografia».

«Ma la competenza è dell'autorità giudiziaria»

Tutto chiaro? Niente affatto. I critici, infatti ritengono che l'Authority rischi di finire travolta dalle segnalazioni. La richiesta di moratoria promossa da Adiconsum, Agorà digitale, Altroconsumo, Assonet-Confesercenti, Assoprovider-Confcommercio e dallo studio legale Sarzana, è poi chiara su un'altra criticità: «L'intera procedura» si svolge «senza alcuna forma di consultazione o interazione con l'Autorità giudiziaria».
UNA DELIBERA ANTICOSTITUZIONALE. Violando così, attacca Sarzana, «i principi costituzionali di riparto dei poteri, perché l'Agcom interverrebbe in un settore riservato da un lato al parlamento», cioè introducendo «nuove forme di repressione delle violazioni del diritto d'autore», e dall'altro «all'ambito giudiziario».
Solo a quest'ultimo, argomenta l'avvocato, e non all'Authority, spetta decidere come un soggetto possa essere chiamato a rispondere di violazioni del copyright. Per questo i detrattori della delibera affermano che sia sufficiente il «sospetto» di una violazione: «Perché non si capisce chi giudica», afferma Scialdone, «e se il giudizio sia sommario e quantitativo oppure sia necessario che un determinato sito sia integralmente in violazione del diritto d'autore».
DAL DIRITTO D'AUTORE ALLA CENSURA. Incostituzionale, dunque, e tanto più grave quanto si ricorda, come fa Scialdone, che «l'Agcom è una autorità nominata dal parlamento, ed è dunque espressione di una autorità politica». Insomma, l'impressione è che il diritto d'autore «sia usato come grimaldello», dice Sarzana, per censurare contenuti scomodi.
Del resto, che si tratti di una vicenda eminentemente politica si deduce dal fatto che il suo originario relatore, il consigliere Nicola D'Angelo, è stato rimosso dal ruolo per aver manifestato delle perplessità. E sostituito da Sebastiano Sortino, ex presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg). Senza contare che la delibera è di fatto una costola del criticatissimo decreto Romani, che reca la firma dell'attuale ministro dello Sviluppo economico.
È forte, dunque, la sensazione che il provvedimento abbia un preciso mandante politico: il governo in carica. E che quest'ultimo, a sua volta, sia stato fortemente influenzato dalle richieste dell'industria dell'intrattenimento.

«Meno accesso per i cittadini a risorse estere»

Ma le critiche si concentrano sulle conseguenze di una simile normativa per i cittadini. «A parte l'equiparazione, molto sciocca, tra diritto d'autore e pedofilia», attacca Sarzana, «l'effetto è impedire ai cittadini italiani di avere accesso a determinate risorse estere». E «senza che lo sappiano», aggiunge.
L'avvocato ricorre a una metafora: «È come se entrassero in una biblioteca e scoprissero che mancano alcuni libri. Al loro posto, un cartello con scritto: 'Qualcuno si è lamentato che questo libro violava i diritti d'autore e non c'è più'».
OBIETTIVO: ARGINARE I DOWNLOAD.La conseguenza è chiara: «Si sta isolando il nostro Paese, e tutto questo per chiudere quattro o cinque siti». Le associazioni annunciano ricorso al Tar non appena il testo definitivo della delibera sarà approvato.
Su Avaaz.org le firme raccolte per chiedere all'Agcom di «rimettere la questione al parlamento, come prevede la nostra Costituzione», sono 64.500. Eppure la mobilitazione in Rete e da parte delle opposizioni è stata sommessa rispetto alle levate di scudi contro il comma «ammazza-blog» del disegno di legge Alfano, il decreto Pisanu (che limitava la diffusione del Wi-fi libero) e lo stesso decreto Romani.
Come mai? «L'obiettivo è evitare che la gente scarichi musica e film da Internet», risponde Sarzana, «e chi vuole raggiungerlo è molto forte. In termini di potere e di voti di determinate categorie, interessa non solo a chi è al governo».
IL PLACET DI FIMI. Intanto il cammino della delibera prosegue indisturbato, con il placet di Fimi, Confindustria cultura e del presidente Agcom, Corrado Calabrò. E perfino del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Che, dopo aver definito internet «strumento di democrazia» e difeso la libertà di espressione sul web, introducendo la relazione dell'Authority alla Camera, si è limitato ad affermare che la riforma complessiva del diritto d'autore spetta al parlamento, anche se per il momento l'Agcom è autorizzata a proseguire il lavoro.

La replica: «Propaganda e disinformazione»

I commissari Agcom Stefano Martusciello e Stefano Mannoni, in un intervento su Milano Finanza, hanno replicato definendo i critici delle delibera degli «arruffapopolo che indulgono in tirate di propaganda e disinformazione» che hanno prodotto «una sbornia di demagogia e di pressappochismo». Aggiugendo, inoltre, di essere al contrario al lavoro per «impedire» che il web diventi un «laboratorio» per la censura.
PER I COMMISSARI AGCOM, ARGOMENTAZIONI DEBOLI. «Sarebbe davvero curioso», hanno proseguito, «che una conquista della modernità giuridica, alla base della fortuna e dell'economia e dell'inventiva europea fosse ipotecata a cuor leggero in nome di una chiamata alle armi dei moderni pirati dei Caraibi». E le critiche? «Gli argomenti farebbero arrossire uno studente al secondo anno di Giurisprudenza».
Quanto al merito delle critiche, Martusciello e Mannoni credono che «la riserva di legge sia pienamente rispettata da un quadro di fonti che conferisce all'autorità amministrativa ampio titolo per adottare provvedimenti inibitori efficace». Inoltre, secondo i commissari «la riserva di giurisdizione è rispettata dalla possibilità di chiunque di impugnare i provvedimenti davanti al giudice amministrativo». 
Giovedì, 16 Giugno 2011

Brunetta e i precari, "the day after" "Sul mio FB 10mila post insulti"

ROMA - Il giorno dopo le risposte in Rete alle sue offese ai precari Renato Brunetta torna a farsi sentire. E nel "day after" della tempesta in cui è andato a infilarsi definendo "l'Italia peggiore" gli atipici della pubblica amministrazione che volevano porgli domande a margine di un convegno il ministro si sforza di mostrarsi impermeabile, come già aveva fatto ieri nel "controvideo" diffuso su Youtube in cui annunciava la sua intenzione di rispondere "personalmente e civilmente" agli "amici della Rete", definiti però intanto i veri responsabili dell'attacco mediatico ai suoi danni.

A Radio Radio, Brunetta racconta di aver ricevuto sul suo profilo Facebook "10mila post di insulti, minacce, addirittura pallottole. Molti legati anche alla mia statura fisica.
Ma conosco bene il mercato del lavoro, la pubblica amministrazione e anche il mondo di questi finti precari - ribatte il ministro -. Sorrido anche dell'indignazione della rete".

Sull'attacco ai precari, Brunetta ribadisce quanto dichiarato ieri: quel giudizio, "siete l'Italia peggiore", era rivolto solo agli interlocutori del momento e non a tutta la "categoria". "Pensa che io sia così stupido? - chiede Brunetta all'intervistatore - I precari, quelli veri, sono milioni di persone vittime di un sistema che non funziona, di regole che non funzionano, di sindacati balordi, degli errori dei padri. I veri precari sono quelli dei call center che non hanno voce, non sono i figli di papà romani. Vanno cambiate le regole dell'occupazione dei padri e fare tutti un esame di coscienza", perché "è patologico che si viva per l'eternità da atipici".

A Radio 24, Brunetta premette di avere "assolutamente un buonissimo carattere", poi ripete la sua versione: "Ho dato un giudizio sulle quattro persone che erano lì, venute non per ascoltare il convegno sull'innovazione e il sottoscritto che parlava dell'Italia migliore. A loro non interessava: avevano pronti gli striscioni, non ascoltavano, solamente insultavano, quella è l'Italia peggiore e lo ribadisco. L'Italia peggiore è quella di chi non fa parlare il ministro della scuola, chi fischia in ogni occasione".

Leggendo i quotidiani di oggi, il ministro si dice divertito soprattutto divertito dall'intervista a "quella cosiddetta leader" del movimento di precari. "Guadagna 1.800 euro al mese da cinque anni con contratti a termine presso un'agenzia del ministero del Lavoro - osserva Brunetta -, non mi sembra tanto precaria". Ma "chi di agguato colpisce di agguato perisce - avverte Brunetta -. La prossima volta contesteranno Camusso o Bersani, stiamo attenti a non capire l'imbarbarimento di questa fase della vita politica".

Camusso: "Parole insopportabili". Il segretario generale della Cgil non sembra particolarmente impressionato dall'ultimo allarme di Brunetta e, dal palco della cerimonia inaugurale della festa per i 110 anni della Fiom, definisce "insopportabili" le parole dei "ministri che scappano di fronte alle domande dei precari della pubblica amministrazione". A proposito di Brunetta, Susanna Camusso parla del segnale di un governo che "reagisce in questo modo" perché capisce di non essere "più in grado di dare risposte ai cittadini". Il ministro Brunetta "non ha più neanche il senso dell'umorismo", dice la Camusso , ricordando che "era il ministro che aveva teorizzato che, in fondo, il lavoro pubblico si poteva cancellare. E oggi si trova di fronte al fallimento della sua ipotesi di riforma".

Bonanni: "Brunetta sgradevole". Sui precari, il ministro Brunetta è stato "sgradevole". Durissimo anche l'aggettivo scelto dal segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. "Siamo stufi di polemiche su polemiche, siamo molto interessati alle convergenze. Chi governa lavori per le convergenze".

Landini: "Decadenza". "Siamo di fronte a una decadenza notevole, perché un ministro che fa interventi di questa natura non rappresenta questo Paese". Parola del numero uno della Fiom, Maurizio Landini che osserva: "La precarietà, purtroppo, è un dramma sociale e il governo dovrebbe fare politica per dare un futuro e una prospettiva ai giovani e non per renderli precari sempre. Credo che Brunetta non stia facendo il suo mestiere e poi dovrebbe rispettare maggiormente chi paga le tasse e permette anche a lui di fare il ministro, anche se a volte non è troppo capace".

Avvenire: "Destinato ad altre sberle". "Chi non sa ascoltare le persone, che non sono certo il Paese 'peggiore', oggi si candida solo a ricevere altre sberle. Metaforiche, s'intende. Ma non per questo meno pesanti". Così il quotidiano cattolico Avvenire. "Le contestazioni agli esponenti politici sono non di rado dure, in passato ve ne sono state pure di violente - scrive il quotidiano della Cei in un corsivo non firmato, quindi attribuibile alla direzione -. Ma i timori, legittimi, che possano accadere non giustificano gli insulti e le fughe sdegnate di fronte a semplici domande". Secondo Avvenire, "per un politico la capacità di ascolto è una delle prime virtù da coltivare. Per un ministro, poi, è addirittura un dovere". Per il giornale dei vescovi, comunque, "ora gli insulti che a sua volta il ministro riceve su internet sono parimenti criticabili". Ma il consiglio che rivolge a Brunetta è che "anziché insistere nell'errore, meglio scusarsi e aprirsi al confronto. Questa sì sarebbe un'Italia migliore".

giovedì 16 giugno 2011

L'80% degli italiani non vuole più le missioni, una spesa insostenibile


La discussione che si sta sviluppando sulla chiusura o meno delle missioni internazionali cui partecipa l’Italia sotto l'egida dell'Onu o della Nato con un considerevole numero di uomini e mezzi  e semplicemente inutile perché il vero problema, a pochi giorni dalla scadenza  della legge che le ha autorizzate fino al 30 giugno prossimo, è quello di riuscire a reperire le risorse necessarie senza togliere nulla da altre parti. Ma questi soldi è chiaro che non ci sono e poi si devono aggiungere anche i più di 700 milioni di euro che sono già stati spesi per la guerra contro la Libia e che non erano stati preventivati.

Sui media si susseguono da giorni le dichiarazioni degli esponenti del Governo nell’intenzione di rabbonire la Lega. I soliti annunci della propaganda che non tengono conto del fatto che oltre l’80% degli Italiani è contrario alle missioni internazioni e alle guerre mascherate, in particolar modo quella in Afghanistan e Libia, che ci sono costate un’ enormità di soldi, e la prima anche di vite umane.  Le dichiarazioni del sottosegretario Crosetto riferite dall’Adnkronos lo scorso 14 giugno, in merito ai tagli di bilancio effettuati sui fondi della Difesa, mi sembrano alquanto lacunose dal momento che si è dimenticato di dire che quelli fino ad oggi fatti – forse senza logica -hanno riguardato quasi esclusivamente il trattamento economico del personale e l'ordinaria gestione dei mezzi mentre sono incrementate le spese per gli armamenti e per le missioni all'estero.

E' comunque apprezzabile il fatto che l'esponente del Pdl abbia finalmente preso coscienza della necessità – urgente - di reperire le risorse per  rimettere in moto l'economia e quindi mi auguro che le dichiarazioni circa la riduzione dei contingenti impiegati all'estero e quelle della necessità di una soluzione diplomatica della guerra con la Libia non siano la solita propaganda di un Governo che sembra sempre più agonizzante e non in grado di gestire gli eventi.  Anche perché, adesso, alla luce delle recenti notizie secondo cui la Camera dei rappresentanti Usa ha bocciato la richiesta del presidente degli Stati Uniti di fondi per le operazioni in Libia potrebbero aversi degli effetti  anche immediati sullo svolgimento delle missioni effettuate dagli aeri militari italiani in quanto le bombe che oggi sganciano sugli obiettivi libici sono quelle che gli americani mandano nelle basi italiane della Sicilia e della Puglia dal deposito munizioni di Camp Darby, passando per Pisa dove ha sede la 46^ Aerobrigata dell’Aeronautica militare italiana.

Se da un lato i leghisti chiedono uno stop delle bombe sulla Libia dall’altro occorre ricordargli come loro abbiano sempre votato a favore dell’interventismo delle Forze armate italiane in ogni angolo della Terra. È chiaro che le richieste della Lega sono solo una prova di forza con il Governo e in particola modo con il Ministro della difesa (ora della guerra) La Russa che in questi giorni mi è sembrato piuttosto taciturno. Sarà perché ogni volta che parla prende fischi a volontà, oppure perché, in effetti, non ha nulla da dire su queste stupide guerre mascherate da missioni umanitarie. Per rendersi conto di quanto spendiamo per le missioni basta sapere che per i primi sei mesi del 2011 ci sono costati 754,3 milioni di euro ma a conti fatti la cifra sarà certamente superiore visto che ogni tanto il Ministro della difesa decide di inviare nuovi contingenti che con la scusa di addestrare gli afghani  faranno lievitare sensibilmente i costi complessivi. Quindi per l’anno in corso la spesa supererà abbondantemente il miliardo e mezzo di euro , ai quali dovremmo aggiungere quelli spesi per la guerra libica voluta dai novelli colonialisti La Russa e Frattini.

Insomma, nel 2011 supereremo la soglia dei 2,2 miliardi di euro e sinceramente a fronte dei risultati ottenuti nei vari teatri operativi e delle conseguenze economiche che già sono visibilissime - e pesantissime - per le tasche degli italiani, con una crisi che non da tregua a nessuno, è naturale domandarsi se il gioco valga la candela. Intanto, sempre Crosetto il 14 giugno aveva dichiarato “Non mi preoccupano le posizioni della Lega che da sempre chiede dei tagli. La Difesa ha preparato alcuni possibili interventi, se c'e' una scelta politica ci adegueremo a quanto verrà deciso”. Il 22 vedremo se come al solito la Lega avrà fatto chiacchiere al vento, oppure almeno per una volta farà i fatti e finalmente staccherà la spina al Governo. Allora è sicuro che Crosetto dovrà adeguarsi.
di Luca Marco Comellini
16 giugno 2011