giovedì 14 giugno 2012

FINE DELLA FINANZA


6 giugno 2012 19:12
 

Un'altra finanza è possibile, ma certamente un'altra Bocconi già esiste.
Ho letto molti libri sulla crisi finanziaria, le sue motivazioni e le possibili soluzioni, ma il libro "Fine della finanza", Donzelli editore, di Massimo Amato e Luca Fantacci (due professori di storia dell'economia alla Bocconi di Milano) è l'unico che va realmente al cuore del problema:  (1) l'attuale concetto di moneta e (2) la finanza strutturata come mercato della moneta-merce.
Le idee proposte dai due professori della Bocconi non fanno parte del mainstreamdegli economisti del quale la Bocconi si può considerare una sorta di tempio.
Da secoli, ormai, gli economisti ortodossi non si fanno più le domande fondamentali su quale sia il fine dell'economia e cosa siano propriamente il credito e la moneta. Sembrano domande troppo scontate. La prospettiva degli storici, invece, permette un'apertura mentale sconosciuta agli economisti ortodossi.
La moneta così come la conosciamo da circa 300 anni non è affatto l'unico modo possibile di organizzare gli scambi commerciali. Una moneta che riassume in sé sia la funzione di scambio, sia la funzione di riserva di valore (quindi di accumulo) non è affatto una legge della natura immodificabile. Non siamo condannati a periodiche crisi economiche, sono le regole attuali - a partire dal funzionamento della moneta - che producono queste crisi.
Certo, le ragioni più superficiali della crisi del 2008, si possono ricercare nella deregulation del settore finanziario ed in particolare sulle mancate regole relative ai derivati. Le ragioni più superficiali della crisi attuale si possono ricercare nell'errata progettazione iniziale dell'Euro ed in particolare di un'area monetaria nella quale la banca centrale non è il prestatore di ultima istanza per i debiti pubblici. Tutto vero, ma sono analisi superficiali.
Il vero problema, quello strutturale, è la moneta, come la conosciamo oggi, la quale racchiude in sé sia la funzione di riserva di valore, sia la funzione di mezzo di scambio. Ciò rende impossibile fare una politica monetaria efficace. Il valore sta nelle cose, non nel denaro. La moneta è un mezzo, se diventa una merce (cioè, economicamente, un "fine", grazie al fatto che assolve alla funzione di riserva di valore) allora la moneta diventa di fatto ingovernabile. Si può tentare, come hanno fatto (e fanno) le banche centrali, di alzare o abbassare i tassi d'interesse, di immettere o togliere moneta, ma la decisione di far circolare la moneta o tesaurizzarla (cioè usarla come riserva di valore) sarà sempre una variabile fuori controllo.
Il secondo dogma indiscutibile e indiscusso della finanza attuale è quello della liquidità. La finanza è diventata sempre di più quel mercato (si parla, infatti, di mercati finanziari) nel quale si vende quella particolarissima merce che è la moneta-accumulata a quel particolarissimo prezzo che si chiama tasso d'interesse. E' ovvio che se il rapporto debitore-creditore viene trasformato in una merce con l'obiettivo primario di rendere questo rapporto liquido (cioè alienabile in qualsiasi momento in cambio della "preziosa" moneta riserva di valore) si creano i presupposti per avere una crisi di liquidità. Come scrivono Amato e Fantacci, la crisi di liquidità che abbiamo vissuto più volte (e stiamo vivendo oggi) andrebbe più accuratamente analizzata come la crisi della liquidità, ovvero come la dimostrazione che il totem della liquidità come principio fondante dei mercati finanziari va completamente rivisto.
A ben vedere il totem della liquidità è nient'altro che un inganno. Il rapporto fra creditore e debitore implica un'incertezza ineliminabile. Attraverso i mercati finanziari si tenta di trasformare questa incertezza in rischio calcolabile fino quasi a farlo scomparire o, quantomeno, a trovargli una "giusta" misura che consiste nella remunerazione fornita dal tasso d'interesse. Ma la verità è che il rapporto debitore-creditore non è rischio in senso matematico, cioè non è matematicamente modellabile. Attiene più al campo dell'incertezza che non a quello del rischio calcolabile.
Accade, quindi, di tanto in tanto, che l'illusione della liquidità si manifesti per quello che è, appunto, una mera illusione ed i mercati sono vittime di crisi di liquidità.
La soluzione definitiva a questo problema non può essere quella di immettere moneta del sistema (tanto più che questa è una moneta sbagliata, una moneta-riserva-di-valore).
Per comprendere appieno questo aspetto dobbiamo cercare di comprendere quale sia il vero scopo della finanza.
Amato e Fantacci ci ricordano che l'etimologia della parola "finanza" è "definizione amichevole di una controversia" e deriva da FINARE, terminare, concludere, ovvero da FINIS, fine, conclusione. Lo scopo della finanza, quindi, è quello di consentire la conclusione, la fine, del rapporto debitore-creditore. La fine, consiste nel pagamento. Pagare, etimologicamente significa "fare la pace", placare, rendere quieti, da cui anche il termine "quietanza" che il creditore rilascia al debitore.
Attraverso il totem, l'illusione, della liquidità si sono creati una serie di debiti pensati per non essere mai ripagati. Che cos'è, infatti, la moneta così come la conosciamo oggi se non un debito emesso per non essere mai ripagato? E che cos'è il debito pubblico, se non un debito emesso per non essere mai ripagato, ma sempre rinnovato? Come potrebbero mai operare le banche di oggi se non rinnovando continuamente i propri debiti? Lo stesso si può dire di molte multinazionali che possono continuare ad esistere solo grazie alla apparente "certezza" che potranno sempre rinnovare il loro debito, di fatto, non pagandolo mai.
La finanza di oggi, a ben guardare, è una contro-finanza. Uno strumento fondato sul dogma della liquidità che serve a scindere il più possibile il rapporto fra debitore e creditore e consentire, di fatto, di non pagare mai i propri debiti, ma rinnovarli in continuazione.
Immettere nuova moneta-riserva-di-valore quando i mercati finanziari entrano in crisi di liquidità, significa chiaramente perseverare in questo errore.
Il vero scopo della moneta, quindi, è quello di consentire lo scambio dei beni e servizi.
Il vero scopo della finanza è quello di consentire l'accensione e (soprattutto!) l'estinzione dei crediti.
E' possibile realizzare questi scopi con una diversa moneta ed una diversa finanza?
La risposta è senza dubbio affermativa.
Un'altra moneta è possibile e un'altra finanza è possibile. La storia ha molto da insegnarci.
Amato e Fantacci, da ottimi storici, ci propongono soluzione che non sono, ovviamente, mere ripetizioni di ciò che è accaduto in passato, bensì correzioni degli errori insiti nel modello attuale (errori ai quali abbiamo qui solo accennato e che sono ben sviscerati nel libro).
Buona parte delle soluzioni proposte da Amato e Fantacci derivano da una profonda interpretazione del pensiero di Keynes piuttosto distante dalle steriotipate "politiche keynesiane".
La realtà, infatti, è che le vere poltiche keynesiane non sono mai state né applicate né, forse, realmente proposte se non, senza successo, dallo stesso Keynes.
Il contributo proposto da Amato e Fantacci in questo libro, a nostro modesto avviso, è realmente notevole. Sarebbe auspicabile che si aprisse un serio dibattito culturale del quale, fino ad oggi, purtroppo, non si sono intravisti neppure i primi spiragli. 

martedì 12 giugno 2012

Cinque Paesi dove emigrare e vivere con meno di 350 euro al mese


Quali sono le nazioni più economiche dove vivere e che offrono contemporaneamente una buona qualità della vita?
Il costo della vita minore rispetto all’Italia è uno dei motivi che spinge tanti Italiani a prendere in considerazione l’emigrazione.
Opentravel rivela 5 destinazioni dove potete trasferirvi se non a vita almeno per un paio di anni e spendere poco.
Queste destinazioni sono anche tra le più esotiche e belle del pianeta. In genere dovete puntare il compasso seguendo due regole: innanzitutto se la destinazione è poco costosa per andare in vacanza, lo è anche per andarci a vivere; in secondo luogo, il più lontano andate dalle città e dalle attrazioni turistiche, il meno costoso diventa.
Thailandia
350 euro al mese non vi permetteranno di vivere in un appartamento con vista mare ma è possibile trovare alloggio a prezzi modici (21 euro al mese) intorno a Chiang Mai, al nord, o spendere intorno ai 60 euro minimo più vicino alla costa.
Il basso costo del cibo in Thailandia venduto in strada (meno di un euro per pollo con riso o noodles) vi consente di mangiare per circa 150 euro al mese quindi vi rimarranno soldi per viaggi, ristoranti, shopping eccetera.
Aggiornamento: tanti Italiani mi hanno scritto direttamente o hanno commentato le due frasi quì sopra, spesso in disaccordo. Ho chiesto loro di presentare il loro punto di vista. Martino mi ha risposto su ‘Vita in Thailandia secondo un Italiano emigrato‘. Vi invito a leggere le sue parole.
Andaman Sunset 5 - Phuket, Thailand
Foto: Neilalderney123 su Flickr
Cambogia
La storia recente della Cambogia e la sua povertà non fanno di questa nazione una delle prime che possano venire in mente come destinazione per emigrare.
Il costo della vita è però simile se non migliore di quello della Tailandia e con 350 euro al mese potete vivere nella capitale Phnom Penh.
La città sta diventando sempre più popolare con stranieri quindi i prezzi degli alloggi stanno crescendo ed è difficile trovare qualcosa per meno di 150 euro al mese ma è possibile ridurre i costi condividendo con altri emigrati.
Con i 220 euro rimasti è facile vivere in Cambogia. I prezzi del cibo sono simili o inferiori alla Thailandia e mangiare al ristorante vi costerà circa 1,50 euro.
Vivere in Cambogia, dove non ci sono fast food di catene internazionali, può cambiarvi la vita!
I costi della vita in Vietnam e Laos sono simili a quello della Cambogia.
cambodia (30)
Foto: Cambodia_Cambodge su Flickr
Filippine
Un’altra destinazione economica ed esotica sono le Filippine.
La capitale Manila è troppo costosa ma nella provincia di Cebu, una delle più sviluppate delle Filippine con campi da golf, spiagge e centri commerciali, potete affittare un appartamento per circa 100 euro al mese.
Il cibo è economico e con 150 euro al mese coprirete tutte le spese incluse alcol e tabacco.
Inoltre le Filippine offrono un visto speciale per pensionati che potete ottenere dall’età di 35 anni con un deposito di 50 mila dollari in una banca filippina. Sopra ai 50 anni dovete avere un deposito di 10 mila dollari e fornire prova di una pensione di 800 dollari al mese per singoli o di mille dollari al mese per coppia.
La Malesia offre un simile programma per pensionati chiamato My Second Home.
Coral Reef, Cebu, Philippines
Foto: Patoy su Flickr
Costa Rica
Non ci vogliono molti soldi per sopravvivere in Costa Rica. Inoltre la nazione ha 12 zone climatiche diverse per accontentare tutti i gusti anche se il clima prevalente è quello tropicale.
I prezzi in San José sono bassi, il costo della vita é tra i più bassi al mondo. Potete facilmente vivere con 425 euro al mese se condividete una casa o alloggio con amici.
Ovviamente il costo di un affitto diminuisce allontanandosi da San Joé. A circa 75 chilometri potete affittare una casa di dimensioni medio-piccole per meno di 200 euro al mese.
Al ristorante potete mangiare un’ottimo pasto con meno di 4 euro ma se cucinate da solo i prezzi sono ovviamente molto più bassi. Un casco di banane costa 30 centesimi mentre un pacchetto di sigarette costa 90 centesimi.
Il Costa Rica offre la possibilità di imparare a fare surf o di imparare lo Spagnolo a prezzi molto contenuti.
Costa Rica  #1
Foto: nannydaddy su Flickr
Belize
Il vostro sogno di paradiso ad un prezzo contenuto può avverarsi in Belize, una delle nazioni più belle del Centro America. Ha bellissime spiagge, un clima sub-tropicale e la lingua ufficiale è l’Inglese.
Il Belize è inoltre un paradiso per chi ama fare immersione grazie ad uno degli ecosistemi marini più belli al mondo.
Il costo della vita è simile al Costa Rica. Per una grande casa a Cayo, ad un’ora di macchina da Belize City, pagate 210 euro al mese, condividendo con due amici pagate solo 70 euro al mese!
Come al solito cibo comprato al mercato è economico mentre se comprate prodotti importati spendete molto di più.
Se avete più di 45 anni potete prendere in considerazione andare in pensione in Belize. Il Retired Person’s Incentive Program può consentirvi di vivere uno stile di vita senza tasse!
Tenete in considerazione le peculiarità climatiche del Belize. Ha una stagione arida ed una delle pioggie. Quella delle pioggie comincia a Maggio e finisce ad Ottobre, piove sempre e ci sono spesso uragani. Se volete passare solo alcuni mesi in Belize, andate tra Novembre e Aprile.
Belize Beach and Palm
Foto: Bob Reck su Flickr
Una volta arrivati nella vostra destinazione prescelta, come fare per pagarvi vitto e alloggio?

Per un' Italia migliore: Esodati, Inps: “Sono 390mila”. E la Fornero ‘deplo...

Per un' Italia migliore: Esodati, Inps: “Sono 390mila”. E la Fornero ‘deplo...: Quanti sono gli esodati? 390mila e 200. La guerra dei numeri che si combatte sulla pelle dei lavoratori registra oggi l’ennesimo colpo di...

Wikio

Esodati, Inps: “Sono 390mila”. E la Fornero ‘deplora’: “Dati non spiegati” di Redazione Il Fatto Quotidiano


Quanti sono gli esodati? 390mila e 200. La guerra dei numeri che si combatte sulla pelle dei lavoratori registra oggi l’ennesimo colpo di scena. Questa volta, a dare fuoco alla miccia è stata, per quanto involontariamente, l’Inps. Il numero dei lavoratori esodati che potrebbero avere diritto ad andare in pensione sulla base delle vecchie regole secondo il decreto Salva-Italia e il Milleproroghe emerge infatti dalla Relazione dell’Istituto di previdenza inviata al ministero del Lavoro prima della firma del decreto che ha fissato in 65.000 il numero dei salvaguardati. A conti fatti, quindi, l’Inps mette nero su bianco un buco normativo su qualcosa come 330mila lavoratoribuco più volte denunciato in passato, ma mai fino ad ora certificato nei numeri. Eppure, ancora una volta è sui numeri del lavoro scoppia la polemica. Perché poco dopo la diffusione dei dati è stato lo stesso istituto a far sapere di non avere mai diffuso “stime diverse e ulteriori rispetto al tema dei salvaguardati”.
Eppure - scrive l’Ansa, che per prima ha fatto circolare il contenuto del testo – nella Relazione inviata al ministero firmata dal direttore generale dell’Inps, Mauro Nori si definiscono le categorie interessate alla salvaguardia rispetto alle nuove regole di accesso alla pensione sulla base delle impostazioni normative e interpretative della Ragioneria generale (la frase che esplicita questa definizione della platea in soli 65.000 soggetti è stata poi eliminata dalla versione definitiva della Relazione). In pratica, secondo la relazione, la platea complessiva dei lavoratori esodati sulla base del decreto Salva Italia e del Milleproroghe è di 390.200 persone, platea ridotta a 65.000 lavoratori salvaguardati (e che quindi potranno andare in pensione con le vecchie regole) sulla base di criteri restrittivi nell’interpretazione delle norme messi a punto dai ministero del Lavoro e dell’Economia.
Come se non bastasse, la diffusione dei dati ha mandato su tutte le furie il ministro del Lavoro Elsa Fornero,  intervenuta in serata con una dura critica ai vertici dell’ente previdenziale: il ministro – si legge in una nota – “ha manifestato ai vertici dell’Inps la propria disapprovazione e deplorato la parziale e non ufficiale diffusione di informazioni che ha provocato disagio sociale”. Il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Elsa Fornero, prosegue il testo “ha convocato il Presidente e il Direttore Generale dell’Inps per avere chiarimenti circa notizie relative a documenti interni all’Istituto contenenti valutazioni che, non corredate da spiegazioni e motivazioni di dettaglio, hanno finito per ingenerare confusione e sconcerto nella pubblica opinione”.
Insomma, un brutto pasticcio che ha scatenato la risposta della politica e delle parti sociali e che ha costretto la Fornero a lavorare in difesa: Il Governo, scrive ancora il ministro nella sua nota, come scritto nel comunicato stampa congiunto Lavoro-Economia del 5 giugno, “è consapevole che il provvedimento” sui lavoratori salvaguardati “non esaurisce la platea di persone interessate alla salvaguardia come, in particolare, i lavoratori per i quali sono stati conclusi accordi collettivi di uscita dal mondo del lavoro e che avrebbero avuto accesso al pensionamento in base ai previgenti requisiti – non prima del 2014 – a seguito di periodi di fruizione di ammortizzatori sociali”. Il Governo conferma “l’impegno per questi altri lavoratori a trovare soluzioni eque e finanziariamente sostenibili”.
Ma da Susanna Camusso a Stefano Fassina, ad Antonio Di Pietro, il governo finisce di nuovo sotto attacco. Per il responsabile economico del Pd, “il documento Inps sugli esodati conferma che il provvedimento per i 65.000 di maggio scorso è soltanto l’avvio della soluzione del drammatico problema generato dagli errori contenuti nel decreto ‘Salva-Italia’”. Più duro il leader dell’Idv che parla di ”tira e molla sugli esodatinon è degno di uno stato di diritto”. Mentre per la leader della Cgil ”che il numero dei 65mila fosse assolutamente irrealistico e che i numeri siano molto più consistenti e’ evidente. Che venga fuori – ha aggiunto – al di là del gioco delle conferme e delle smentite, con una relazione dell’Inps che lo ribadisce è molto utile per dire che bisogna trovare una norma per dare risposte a tutti. Qualunque riforma fatta civilmente presuppone una clausola di salvaguardia”.

lunedì 11 giugno 2012

Il calcio e l’imbroglio degli eroi di Andrea Bocconi


Perché in un paese cinico e corrotto come il nostro fa scandalo l’imbroglio dei calciatori? Perchéabbiamo bisogno di eroi. Brecht scrisse: beati i popoli che non hanno bisogno di eroi. Sbagliava, abbiamo bisogno del mito, di esempi fondanti, di simboli in cui riconoscere il meglio di noi stessi, quello che non siamo stati capaci, non abbiamo voluto essere.
E l’ultimo territorio di un’epica a scartamento ridotto.
I calciatori che vendono e si vendono ci spiattellano una verità che non vorremmo vedere: che gli eroi non ci sono più, neppure per gioco, neppure nel gioco, dove vogliamo continuare a essere bambini che aprono la bocca per l’ammirazione, che si comprano la maglia col nome del loro idolo. Vedendo Miccoli, bandiera del Palermo, improbabile in smoking come una trota con la cravatta, fare pubblicità alle scommesse, quelle “legali”, mi chiedevo che effetto faceva ai ragazzini tifosi del quartiere Zen.
Ecco perché la frode sportiva dovrebbe avere punizione esemplare. Perché stronca l’ultima illusione che coltiviamo in un piccolo recinto di 110 metri per 70:  che ci possa essere un rettangolo verde in cui si può essere eroi, per 90 minuti .
E’ chiedere troppo ?

Io, i poteri forti e il diritto alla lealtà di MARIO MONTI

CARO direttore, la ringrazio per l'invito, che ho accolto volentieri, ad un'intervista pubblica con lei, Eugenio Scalfari e Claudio Tito per sabato prossimo a Bologna, nell'ambito della "Repubblica delle idee".

Nel suo bell'editoriale di ieri ("Draghi, Bersani, varie ed eventuali 1"), Eugenio Scalfari ha voluto farmi conoscere in anticipo due delle domande che potrebbero venirmi rivolte in quell'occasione: se esista in Italia una "questione morale"; se un'Europa federale comporti la messa in comune di una parte del debito pubblico degli Stati membri. Implicitamente, ha anche accennato ad un terzo tema che immagino verrà evocato: i cosiddetti "poteri forti". Sarò lieto di discutere con voi su questi ed altri argomenti. Mi preme tuttavia replicare fin d'ora in merito ad alcune esemplificazioni che Scalfari ha ritenuto di fare a proposito del terzo tema. Per comodità dei lettori, cito l'intero passaggio.

"... Alcuni 'poteri fortì sono insediati fin dall'inizio nella struttura del governo stesso e quelli sì, remano sistematicamente contro la sua politica. Qualche nome per non esser generici: il capo di gabinetto di Palazzo Chigi [in realtà, del ministero dell'Economia e delle finanze], Vincenzo Fortunato; il sottosegretario alla Presidenza, Antonio Catricalà; il ragioniere generale del Tesoro, Mario Canzio, sono certamente abili conoscitori della Pubblica amministrazione, ma hanno un difetto assai grave: sono creature di Gianni Letta (Catricalà) e di Giulio Tremonti (Fortunato, Canzio). Sono sicuramente poteri forti e sono sicuramente contrari alla linea del governo come ogni giorno i loro comportamenti dimostrano".

 Quando ho nominato sottosegretario Catricalà e confermato nelle loro posizioni Fortunato e Canzio, non ero certo all'oscuro dei loro rispettivi percorsi di carriera, né di chi avesse avuto un ruolo decisivo nel valorizzarli in passato. Ma si tratta di qualificati funzionari dello Stato e nel decidere di avvalermi della loro collaborazione li ho valutati alla luce di quelle che, dopo attento esame, mi sono parse le loro caratteristiche di competenza, integrità, autorevolezza nell'esercitare le funzioni ad essi attribuite, lealtà. Lealtà allo Stato e alle linee programmatiche del Governo, non ad una "mia" parte politica (che, come è noto, non esiste). 

Certo, le due posizioni al ministero dell'Economia e delle finanze - oltre, beninteso, a quella di sottosegretario - rientrano nello "spoil system". Avrei perciò potuto modificarne a mia discrezione i titolari, magari per il fatto che il Ministro che li aveva nominati non sempre aveva mostrato particolare rispetto per le mie tesi di politica economica (o per la mia persona) nel corso degli anni. Ma non credo che sia questo il modo corretto di intendere lo "spoil system". Soprattutto se si è a capo di un governo sostenuto da una maggioranza che è composta da forze politiche antagoniste tra loro, con anime culturali e ambienti di riferimento spesso antitetici. Devo cercare, è stata la mia convinzione fin dall'inizio, di estrarre il meglio da ogni forza e di rendere compatibile ciò che "in natura" (cioè nei molti anni di acceso bipolarismo che ci hanno portato alla crisi del novembre 2011) ha mostrato di non esserlo.

In altre parole, non avrei potuto - ma neppure voluto - evitare di prendere in considerazione professionalità di valore solo perché erano "creature" di Gianni Letta o di Tremonti. O di Bersani, Casini o Alfano. 
Nel caso di Catricalà, Fortunato e Canzio (il quale in più, come Ragioniere generale dello Stato, deve essere visto e rispettato dallo stesso ministro dell'Economia e perfino dal presidente del Consiglio, oltre che ovviamente da ciascun ministro, come imparziale garante della credibilità dei conti pubblici), non ho avuto finora alcun motivo per rammaricarmi delle scelte che ho fatto nel novembre scorso. Ho anzi apprezzato le loro qualità e il loro spirito di servizio.

Naturalmente, nel caso riscontrassi in loro, come in qualsiasi altro collaboratore, anche un solo caso di mancata correttezza o lealtà, non esiterei a privarmi della loro collaborazione. Nei primi mesi del mio mandato di Commissario europeo, nel 1995, un direttore generale si mise d'accordo con il governo del suo Paese, in una procedura di infrazione, senza riferirmene preventivamente, come avrebbe dovuto. Quell'alto funzionario, pur appartenente ad un grande Stato membro, venne rimosso dal servizio.

L'autore è presidente del Consiglio 

I ministeri costano 283 miliardi, la metà solo per farli funzionare


Dal dossier del servizio bilancio del Senato emergono cifre interessanti: 848 milioni pagati per le intercettazioni, poco più di 400, invece, per sostenere l'università. Il ministero della Difesa (quota 19 miliardi) spende quasi tutto (17) per il suo funzionamento, il resto va per la costruzione e acquisto di impianti e servizi 


Il più costoso è il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali che, in conto spese, ogni anno mette circa 100 miliardi di euro. In totale, i nostri dicasteri, spendono circa 283 miliardi e la metà serve solo per farli funzionare con una spesa giornaliera di un miliardo. Queste le cifre contenute nel dossier del servizio bilancio dello Senato. Calcoli che servono per garantire il successo dellaspending review che dovrebbe assicurare risparmi fino a 5 miliardi (cifra ritoccata al rialzo dopo il dramma del terremoto in Emilia). Un correzione che domani dovrebbe essere approvata durante il comitato interministeriale guidato da Mario Monti. Raggiungere una tale riduzione della spesa tra giugno e dicembre 2012, equivale ad avere 8,5 miliardi di risparmi strutturali entro il 2013. Come? Tre miliardi arriveranno dai tagli della spesa sui quali sta ragionando Enrico Bondi. Il resto arriverà dalle varie sforbiciate a carico dei ministeri.
Ed è proprio dal dossierone di palazzo Madama che saltano fuori cifre interessanti e curiosità. Come il miliardo speso ogni anno per le confessioni religiose o gli 848 milioni di euro pagati dal ministero di Grazia e Giustizia per coprire le spese delle intercettazioni.  In totale il conto certificato è di 283 miliardi. Di questi 108 vanno per il semplice funzionamento della macchina. 
Messi insieme i dati, il servizio bilancio del Senato si è concentrato nel segnalare le spese più consistenti. Dal focus sul ministero dell’Economia emergono, in particolare, i trafserimenti di denaro a favore delle società pubbliche. Le più rilevanti? Quasi due miliardi a Ferrovie, Anas e Enav, 4.3 miliardi all’Inps. Decisamente alto il contributo (1,4 miliardi) per rilanciare la lotta all’evasione fiscale.
Il conto più salato spetta, poi, al ministero del Lavoto. Cento miliardi , di cui 98 versati per interventi di politiche sociali, mentre 300 milioni vengono spesi per il funzionamento degli uffici territoriali.
Ed eccoci, quindi, ai conti spesi per la Giustizia. Qui il budget, in fondo, è limitato: circa 7 miliardi. Di questi la metà viene spesa per far funzionare i tribunali italiani. Mentre quasi un miliardo va in copertura per i costi delle intercettazioni.
Tagliare è possibile sul fronte del ministero degli Esteri. Qui il budget è di 1,7 miliardi. Di questi ben 579 milioni vengono spesi per supportare le sedi estere della Farnesina. I conti del Senato, oltre che sprechi, segnalano sbilanciamenti di spesa. E’ l’esempio dell’Istruzione che, su un tesoretto annuo di 44 miliardi, ne spende 40 per l’istruzione scolastica e appena 444 milioni per le università. Appaiono, invece, troppi gli 84 milioni di euro dati agli atenei privati.
Undici miliardi vale, invece, il Viminale. Il ministero dell’Interno spende 486 milioni per fa far funzionare le Prefetture, 84 per i collaboratori di giustizia e 200 per i servizi accoglienza stranieri. Il ministero delle Infrastrutture pesa sul bilancio del Paese per 7,5 miliardi. La Difesa per 19, 17 dei quali consumati per il solo funzionamento del ministero.