sabato 12 febbraio 2011

La Chiesa belga svela centinaia di casi di pedofilia


La commissione indipendente voluta dalla Conferenza Episcopale belga che indaga sui casi di pedofilia in Belgio nella Chiesa cattolica ha da poco rilasciato un primo rapporto. Peter Adriaenssens, il responsabile della commissione, afferma di aver trovato prove di abusi in quasi tutte le diocesi e sostiene che almeno 13 vittime si sarebbero suicidate a causa delle violenze subite. Due ragazzini abusati su tre erano maschi e l’età si aggirava intorno ai 15 anni. Le ragazzine vittime di violenze sessuali da parte di ministri della Chiesa sarebbero state almeno un centinaio. La maggior parte dei casi copre un periodo temporale tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta.
Il lavoro di indagine, sostiene sempre Adriaenssens, non ha invece portato ad alcuna prova di una copertura sistematica e organizzata da parte della Chiesa per non far emergere i casi di pedofilia al proprio interno. La commissione ha impiegato dieci settimane per analizzare e controllare centinaia di documenti. Il rapporto è comunque incompleto perché parte della documentazione è stata dichiarata inutilizzabile dalla magistratura. Secondo i giudici alcuni raid della polizia tesi a raccogliere informazioni e documenti furono illegali. La commissione decise di sospendere i lavoro in seguito ai controlli severi delle forze dell’ordine.
Il rapporto della commissione raccoglie la testimonianza di circa 488 testimoni. Molti di questi hanno deciso di parlare e raccontare la loro storia lo scorso aprile, quando un vescovo decise di dimettersi ammettendo alcuni casi di pedofilia. Le 200 pagine del rapporto raccolgono le descrizioni delle violenze fornite dai testimoni. Nel testo si parla anche di vittime tra i due e i cinque anni di età.




Il sultanato e i suoi danni

di Giorgio Bocca

Che cosa è stato per l'Italia il periodo che va sotto il nome di berlusconismo? Certamente un periodo di perdita della pubblica educazione, della correttezza dei rapporti civili. Di una delle sue allieve predilette, la signora Minetti, Berlusconi ha detto: "Una donna intelligente, laureata, che è diventata per suoi meriti consigliere regionale".

Ma nelle intercettazioni di questa signora viene fuori un altro personaggio, una donna di una volgarità è di un'avidità notevoli, che di Berlusconi dice: "Quel vecchio dal sedere floscio che ci faceva eleggere a cariche pubbliche per farci pagare dai contribuenti". Nessuna vivandiera di lanzichenecchi sarebbe stata più feroce.
Il berlusconismo è anche una riduzione della lotta politica a livello infimo, in questa politica il ministro degli Esteri della Repubblica italiana, invece di occuparsi delle bufere sociali in corso in Egitto o in Tunisia, legge alla Camera una comunicazione di un ministro di Santa Lucia, repubblica delle banane caraibica, la rivelazione storica che Gianfranco Fini, co-fondatore del partito di governo, ha un cognato di nome Tulliani che è proprietario di una casa Montecarlo. In altre parole il ministro degli Esteri di una grande nazione europea si presta a diffamare il presidente della Camera diventato nemico politico del sultano.

Il berlusconismo è un periodo nero della storia politica e civile italiana anche per altri aspetti, a cominciare dai rapporti fra il presidente del Consiglio e l'informazione, fra il signore di Arcore e la libertà di stampa. Criticato da giornalisti e da politologi il premier si comporta come un sultano vendicativo e minaccioso, viola tutte le regole della pubblica informazione, irrompe nelle trasmissioni televisive e radiofoniche per insultare i suoi critici usando parole da trivio come "la sua trasmissione è un postribolo" e "infami menzogne". Offrendosi alla giusta reazione degli accusati di cui dice: "di lei mi vergogno", "la sua trasmissione è infame". Un'impressionante riedizione del Nerone di Petrolini, del despota feroce e ridicolo che abusa del suo potere e si fa applaudire dalle sue vittime.

Con il Cavaliere di Arcore ecco il danno maggiore: la giovane e fragile democrazia italiana si riduce a un pettegolezzo volgare, a un gossip che tutto occupa e soffoca, che rischia di mascherare tutti i problemi del governo, tutti i doveri di educazione e di stile, il paese intero, sotto una nube ronzante di menzogne e abuso di potere. Perché comunque si consideri l'uomo di Arcore, egli è la gente che frequenta, che ama, che protegge, che innalza o abbassa a suo piacere, questa corte maleducata e supponente che grazie a lui vive di bassi servizi. Tutti, anche i migliori, che ritengono normale avere dalla res publica non solo un lauto stipendio ma anche le amanti.

Il berlusconismo come un tempo di corruzione e di servitù, esentato dalla ferocia solo dal controllo internazionale e dall'indole del sultano che vuole non solo l'obbedienza ma anche la gratitudine del popolo. E il disagio, la stanchezza di vivere in un paese senza morale, senza regole del gioco rispettate da tutti, senza disciplina, ci fa rimpiangere quelle società che ti mettono alla prova di educazione e di ragione, non quelle dove tutto è permesso a patto che tutto decada verso il peggio. Purtroppo per molti italiani il laisser faire è preferibile ai doveri. 

Napolitano gela B: "Fatti giudicare"

Il premier va all'attacco anche davanti al capo dello Stato: "Accanimento contro di me, mi difenderò in Parlamento". Ma viene bloccato: "Il giusto processo è garantito. Basta strappi sulla giustizia"

A un certo punto l’urlo: “Ma io mi devo difendere! E devo difendere il Parlamento, c’è un vero e proprio accanimento contro di me…”. Fuori controllo, anche se solo per un attimo, Silvio Berlusconi deve essersi sentito perso quando il capo dello Stato, con sguardo gelido e fermezza istituzionale, gli ha risposto “si calmi”, costringendolo a proseguire un colloquio che però, a quel punto, era ormai compromesso.

NON È ANDATA per niente bene ieri sera al Quirinale. Napolitano, dopo il lungo pressing esercitato dal mediatore Gianni Letta che finalmente era riuscito a ottenere l’incontro “chiarificatore”, sperava forse di ascoltare dalla bocca del premier parole diverse dalla solita litania, da quel continuo cercare di spiegare le proprie ragioni e di difendersi dalle accuse invocando la persecuzione giudiziaria. Invece no, nonostante Letta l’avesse indottrinato per più di un’ora sull’atteggiamento da tenere per evitare di mandare di nuovo tutto per aria. Niente, il Caimano ancora una volta non ha resistito. Superati i convenevoli, è partito a cercare di convincere il presidente della Repubblica del fatto che le accuse della Procura di Milano cadranno nel nulla “perché non c’è nulla di penalmente rilevante”, che “continuo a essere vittima di un’offensiva giudiziaria senza pari che ha il solo obiettivo di farmi fuori”. E che è “stata violata la mia privacy in modo mostruoso”. A quel punto, il Cavaliere avrebbe detto di “credere che sia venuto il momento di difendermi anche sollevando il conflitto d’attribuzione davanti alla Corte con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato…”.

Ecco, è stato più o meno a questo punto del colloquio che Napolitano ha alzato un muro invalicabile per il premier, ripetendo quanto aveva detto in mattinata ricevendo il vicepresidente del Csm Vietti e, di fatto, mandando un segnale preciso di quelli che avrebbe voluto fossero i toni del colloquio successivo. “Il giusto processo – ha quindi detto Napolitano – è garantito dalla Carta, basta strappi sulla giustizia”. Un messaggio netto, senza possibilità di interpretazioni sulle sfumature del grigio. Il capo dello Stato ha fatto capire chiaramente a Berlusconi che ogni sua necessità di difesa è già garantita dalla Costituzione. E che non c’è alcuna necessità di sollevare nuovi e più pesanti conflitti istituzionali, perché “i riferimenti di principio e i canali normativi e procedurali” ci sono davvero tutti per garantire il “giusto processo”. Insomma, meno “strappi mediatici, che non conducono a conclusioni di verità e giustizia” ma più attenzione alle regole. In poche parole, Napolitano ha invitato il Caimano a farsi processare. Con una stoccata pesante: “Come dice il suo stesso legale Pecorella, il conflitto di attribuzione si solleva nel processo, non in Parlamento”. È stato lì, a quel punto che la rabbia di B. è esplosa perché ha capito che non avrebbe mai trovato sponda nel Colle per fare quello che vuole: l’ennesimo strappo sulla giustizia per la sua difesa.

E TUTTAVIA il Cavaliere su un punto è stato chiaro: la maggioranza ha i numeri e quindi il “dovere” di fare le riforme, il che per lui significa soprattutto intercettazioni e processo breve. “Quello che sta accadendo – ha ribadito Berlusconi – non è solo un problema mio, ma fango che ricade sull’intero Paese”. Ancora gelo. Perché Napolitano non si fida e teme un nuovo crescendo di tensione istituzionale con i giudici che, tuttavia, ha chiarito anche a Gianni Letta, di non essere disposto a tollerare. Come ha chiarito di aver digerito malissimo l’estemporanea manifestazione di protesta davanti al Tribunale di Milano dove dovevano essere presenti anche i ministri milanesi e dove invece, alla fine, a fare da incendiaria c’è rimasta solo la Santanchè.

All’uscita dal Quirinale, Berlusconi era livido. Ma più di lui era scuro in volto Gianni Letta che per tutta la giornata di ieri aveva fatto una pesantissima opera di convincimento, arrivando a chiudersi in una stanza da solo con il Cavaliere per indottrinarlo sull’atteggiamento “cauto, mite” da tenere davanti al capo dello Stato. In gioco, in fondo, “c’è anche il federalismo” e il proseguimento della legislatura. Parole al vento. “Governo e Parlamento non possono essere commissariati dal potere giudiziario!”, ha tuonato ancora Berlusconi. “Io devo poter governare senza condizionamenti!”.

Dopo un’ora di colloquio, il più lungo forse da un anno a questa parte, Berlusconi è tornato a Palazzo Grazioli. Con uno stop così pesante avuto ieri dal Quirinale, adesso dovrà rivedere completamente tutta la strategia d’attacco che aveva messo giù durante l’ultimo “consiglio di guerra” di qualche giorno fa. Adesso sa che qualunque strappo sarà respinto “in maniera plateale” dal Quirinale, ma seguire le regole significa anche farsi processare, subire quasi certamente una condanna a breve sul processo Mills. E chissà poi cosa potrà accadere su Ruby e sulle altre.

NEL PDL giurano che “Silvio farà di testa sua”, che “cercherà comunque una strada per non andare a processo perché i cittadini sono con lui e capiranno, continueranno a capire – sostiene un famiglio del premier – che senza di lui si ferma tutto, che le riforme non si faranno mai”. Non seguirà le regole come gli ha detto Napolitano, questo sembra essere una certezza tra i suoi. Ora, però, è all’angolo. E la difesa, qualsiasi difesa, diventa sempre più difficile.

Da Il Fatto Quotidiano del 12 febbraio 2011

venerdì 11 febbraio 2011

Contestazione al Pdl? «Tu giornalista non devi vedere»

Oggi l'informazione è stata messa fuori dalla porta.
Sono uno dei cronisti mandati a documentare l'occupazione pacifica della sede del Pdl da parte di un gruppo di ragazze che volevano prendere le distanze dal concetto di donna promosso dal Governo Berlusconi. Di solito un cronista utilizza la terza persona per raccontare la realtà, ma in questo articolo parlerò di un episodio accaduto a me e ad altri colleghi, tutti presenti per testimoniare quanto accadeva e respinti con degli spintoni da alcuni (non tutti per fortuna) agenti delle forze dell'ordine e militanti del Pdl.
Arrivato al primo piano della palazzina di corso Vittorio Emanuele II che ospita la sede del Pdl a Torino, l'ingresso era bloccato. Gli agenti di piantone ci hanno spiegato che era in corso un'occupazione e per motivi di sicurezza non si poteva entrare. Poi finalmente è arrivato il permesso.
Abbiamo visto le ragazze, la cui intenzione era semplicemente di organizzare una conferenza stampa, spinte in un angolo, dalla parte opposta della sala i militanti pidiellini che rumoreggiavano cercando di coprire le loro voci.
Alcuni rappresentanti del Pdl si sono avvicinati a noi. «Questa è casa nostra, allontanatevi». Spintone. «Sei un giornalista? Vattene fuori». Altro spintone, con contorno di insulti e minacce. I funzionari della polizia sono rimasti nel perimetro della sala, altri più esagitati hanno spalleggiato i militanti pidiellini, tra i quali un noto esponente del tristemente famoso Fronte della Gioventù, e quindi ci hanno letteralmente spinto fuori dalla porta.
Mi sono ritrovato in mezzo alla mischia. Dietro di me i colleghi, davanti un funzionario della Questura di Torino che mi spingeva sempre di più contro il muro di persone.
Non potevo indietreggiare, eppure lui continuava a spingere, minacciare e insultare.
Ed ecco le mani sulla telecamera, consueta azione per non fare registrare quello che accadeva.
Ci hanno fatti scendere dalle scale con la forza e qualcuno di noi ha rischiato di rompersi l'osso del collo, giù per gli scalini.
Allontanati dall'androne. Le porte si sono chiuse davanti alle nostre facce, i nostri obiettivi e alle nostre penne. L'informazione è stata così ufficialmente messa alla porta.
Intanto dall'interno arrivavano l'eco delle urla.
In contatto telefonico, alcune ragazze ci hanno detto che una di loro ha avuto un malore, ma a nessuno è stato concesso di uscire.
Le urla provenienti dalla scalinata, a quanto hanno riferito, erano figlie dei calci e delle botte ricevute.
L'uscita dal "palazzo dei segreti". Le ragazze escono convinte di essere libere. Invece per loro erano pronte le auto della polizia, pronte ad accoglierle e portarle via. La prima una giovane che aveva una telecamera. Ma probabilmente la cassetta è stata sequestrata. Altre quattro ragazze finiscono in via Grattoni.
Questa è la cronaca di una giornata di violenza.
Un giornalista dovrebbe vedere e documentare quello che accade. Non sempre può. Questa è la nostra Italia "democratica"

weekend di manifestazioni contro Berlusconi

ROMA (Reuters) - Mentre il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi torna a parlare di "golpe bianco" dei magistrati di Milano che vorrebbero processarlo per prostituzione minorile e concussione, una serie di movimenti d'opposizione si preparano a scendere in piazza nel fine settimana per chiedere le sue dimissioni, per il caso "Ruby" e la frequentazione abituale di prostitute e showgirl nelle sue residenze.
Intanto i partiti di opposizione, che chiedono le elezioni anticipate, dicono, come il leader dell'Udc Pierferdinando Casini, che il premier "ha perso la testa" e che le sue sono "parole eversive" (è il giudizio del segretario del Pd Pier Luigi Bersani).
Il Partito democratico continua a raccogliere firme per chiedere, con una petizione, le dimissioni di Berlusconi. Nei giorni scorsi, lo stesso Bersani ha annunciato che l'8 marzo, festa delle donne, il Pd porterà 10 milioni di firme a Palazzo Chigi.
Ma questa sorta di "No B Weekend" che si snoderà tra sabato e domenica è organizzato non da partiti, ma da gruppi e associazioni, con un tam tam soprattutto su Internet. I partiti di centrosinistra e sinistra hanno aderito, anche se gli organizzatori delle proteste chiedono che partecipino senza le loro bandiere.
CONTRO IL "GOVERNO ALLA PUTTANESCA"
Si comincia domani con le manifestazioni di piazza "con pentole e coperchi" organizzate dal cosiddetto "Popolo Viola" in una quarantina di città italiane e straniere, tra cui Londra, Parigi e New York, per proseguire poi domenica - in decine e decine di città - con la mobilitazione "Se non ora quando?", per difendere la "dignità delle donne".
"Abbiamo pensato all'iniziativa anche per difendere la dignità di tutti i cittadini del nostro Bel Paese che meritano molto di più di un presidente del Consiglio egocentrico, corrotto e immorale, che meritano di essere rappresentati da istituzioni serie e devote alla res publica e non alla res privata del premier", ha spiegato ieri Gianfranco Mascia, uno degli animatori dei Viola, che negli ultimi due anni hanno organizzato altrettanti "No B Day".
A Roma la manifestazione contro "il governo 'alla puttanesca'" si terrà dalle 16 a piazza Santi Apostoli, a Milano alle 11 davanti al tribunale.
Ma la protesta più attesa, e maggiormente al centro di polemiche è probabilmente quella di domenica, promossa da un gruppo di intellettuali, artiste, sindacaliste e politiche.   
"Il modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato, incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni", dice un passaggio dell'appello, rivolto anche agli uomini, a cui si chiede di "dimostrare amicizia verso le donne".
"Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale".
POLEMICHE DA DESTRA. E DA SINISTRA
L'iniziativa ha provocato risposte polemiche da destra. Per esempio, Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute, ha accusato le promotrici di volere "una manifestazione di alcune donne contro altre donne", e al tempo stesso "la solita piazza antiberlusconiana".
E domani mattina, con un giorno di anticipo, si terrà a Milano, al teatro Dal Verme, una contro-manifestazione organizzata da Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano "Il Foglio" e ritenuto un importante consigliere di Berlusconi, che nei giorni scorsi se l'è presa col "neopuritanesimo ipocrita" di chi critica il premier per i suoi comportamenti "in privato".
"Una Repubblica puritana è illiberale e antidemocratica", dice lo slogan dell'iniziativa.
Ma anche alcune femministe, da sinistra, hanno criticato l'iniziativa. Ritanna Armeni, sul "Riformista", ha invitato ad "abbassare i forconi". Marina Terragni, in un blog, ha scritto: "Andare in piazza per dire "non sono una prostituta" ma una giornalista la sento come una miseria troppo grande per una donna...".
Sui risultati concreti della mobilitazione, cioè la caduta del governo, è però scettico Ivan Scalfarotto, vice presidente del Pd, che peraltro ha sempre partecipato alle iniziative del Popolo Viola. "Non penso che sia una spallata e non penso nemmeno che debba arrivare con questi mezzi", ha detto nei giorni scorsi a Reuters.
"Ne ho già viste molte, di queste manifestazioni. E' giusto che ci siano, è un sentimento comprensibile quello che le anima. Dobbiamo essere lì (come Pd), ma non è che il compito della politica si esaurisca lì".
(Massimiliano Di Giorgio)

l'Italia distrugge la Bellezza

Non abbiamo il petrolio, noi. Non abbiamo il gas, non abbiamo l'oro, non abbiamo i diamanti, non abbiamo le terre rare, non abbiamo le sconfinate distese di campi di grano del Canada o i pascoli della pampa argentina. Abbiamo una sola, grande, persino immeritata ricchezza: la bellezza dei nostri paesaggi, la bellezza dei nostri siti archeologici, la bellezza dei nostri borghi medievali, la bellezza delle nostre residenze patrizie, la bellezza dei nostri musei, la bellezza delle nostre città d'arte.
E ce ne vantiamo. Ce ne vantiamo sempre. Fino a fare addirittura la parte dei «ganassa» («Abbiamo il 40% dei capolavori planetari!», «No, il 50%!», «No, il 60%!») giocando a chi la spara più grossa. Primato che, per quanto ne sappiamo, spetta all'unica «rossa» che piace al Cavaliere, la ministra del Turismo Michela Vittoria Brambilla. Che nel portale in cinese con il logo «Ministro del Turismo» lancia un messaggio al popolo dell'Impero di mezzo e sostiene non solo che «le grandi marche di moda sono italiane» e «tutti i tifosi del mondo seguono il campionato di serie A italiano» ma anche che l'Italia «possiede il 70% del patrimonio culturale mondiale». Bum! E il Machu Picchu, i templi di Angkor, le piramidi, Santa Sofia e il Topkapi a Istanbul, il Prado, San Pietroburgo, la Torre di Londra, la cittadella di Atene, i castelli della Loira, Granada, la città proibita di Pechino, il Louvre, la thailandese Sukothai, il Taj Mahal, il Cremlino, l'esercito di terracotta di Xi'an, Petra, Sana'a e tutto il resto del pianeta? Si spartiscono gli avanzi.
Un'intervista di Marcello di Falco all'allora ministro del Turismo Egidio Ariosto sulGiornale ci ricorda che nel maggio 1979 l'Italia era «il secondo Paese del mondo per attrezzatura ricettiva, il primo per presenze estere, il primo per incassi turistici, il primo per saldo valutario». Tre decenni più tardi siamo scivolati al quinto posto. E la classifica per la «competitività» turistica, che tiene conto di tante cose che richiamano, scoraggiano o irritano i visitatori (non aiutano ad esempio le notizie su «1 spaghetto aragosta: 366 euro» al ristorante La Scogliera alla Maddalena) ci vede addirittura al ventottesimo posto.
Certo, è verissimo che abbiamo la fortuna di avere ereditato dai nostri nonni più siti Unesco di tutti. Ne abbiamo 45 contro 42 della Spagna, 40 della Cina, 35 della Francia, 33 della Germania, 28 del Regno Unito, 21 degli Stati Uniti. Ma questa è un'aggravante, che inchioda i nostri governanti, del passato e del presente, alle loro responsabilità. Al loro fallimento. Spiega infatti un dossier del dicembre 2010 di Pwc (Pricewaterhouse Coopers, la più grossa società di analisi del mondo per volume d'affari) che lo sfruttamento turistico dei nostri siti Unesco è nettamente inferiore a quello degli altri. Fatta 100 l'Italia, la Cina sta a 270, la Francia a 190, la Germania a 184, il Regno Unito a 180, il Brasile e la Spagna a 130. Umiliante.
E suicida. Non abbiamo molte altre carte da giocare. Ce lo dicono i dati del Fondo monetario internazionale e il confronto con le nuove grandi potenze. Dal 1994 a oggi, in quella che per noi è stata la Seconda Repubblica, mentre il nostro Pil cresceva di 1,9 volte in valuta corrente, inflazione compresa, quello brasiliano si moltiplicava per 3,6 volte, quello indiano per 4,9 volte, quello cinese addirittura di 11,5 volte (...).
Alla fine di gennaio del 2011 Giampaolo Visetti scriveva sulla Repubblica che «sarà il turista cinese ad alimentare la crescita dei viaggi a lungo raggio ed entro il 2015 diventerà il padrone assoluto dei pacchetti organizzati e dello shopping di lusso in Europa. Il rapporto annuale dell'Accademia cinese del turismo prevede che nell'anno in corso trascorreranno le ferie all'estero 57 milioni di cinesi (...) e il Piano turistico nazionale calcola che entro il 2015 si recheranno all'estero tra i 100 e i 130 milioni di persone, arrivando a spendere oltre 110 miliardi di euro» (...).
Peccato che non ci capiscano. L'Italia, agli occhi di Pechino, rappresenta un incomprensibile caso a sé. Dieci anni fa era la meta preferita dei pionieri dei viaggi in Europa. I cinesi amano il mito dello «stile di vita», il clima mediterraneo, la passata potenza imperiale e culturale, la moda e il lusso, la natura, la varietà gastronomica che esalta la qualità dei vini. «Eravate il punto di partenza ideale» dice Zhu Shanzhong, vicecapo dell'Ufficio nazionale del turismo cinese «per un tour europeo. Poi ci avete un pochino trascurati». Al punto che «la promozione turistica dell'Italia in Cina è inferiore a quella dei Paesi Bassi». Una follia.
Ma per capire la fondatezza dell'accusa basta farsi un giro sul portale turistico aperto dal governo italiano in cinese, www.yidalinihao.com. Costato un occhio della testa e messo su con una sciatteria suicida che grida vendetta. Per cominciare, le quattro grandi foto di copertina che riassumono l'Italia mostrano una Ferrari, una moto Ducati, un pezzo di parmigiano e un prosciutto di Parma. In mezzo: Bologna. Con tanto di freccette sulla mappa che ricordano la sua centralità rispetto a Roma, Milano, Venezia e Firenze. Oddio: hanno sbagliato capitale? No, come ha scopertoil Fatto Quotidiano, è solo un copia-incolla dal sito cinese della Regione Emilia-Romagnaaimiliyaluomaniehuanyingni.com (...).
Ma ancora più stupefacenti sono i video che illustrano le nostre venti regioni. Dove non solo non c'è un testo in cinese (forse costava troppo: i milioni di euro erano finiti...) ma ogni filmato è accompagnato da un sottofondo musicale. Clicchiamo il Veneto? Ecco il ponte di Rialto, le gondole, il Canal Grande, le maschere, i vetrai di Burano... E la musica? Sarà di Antonio Vivaldi o Baldassarre Galuppi, Tomaso Albinoni o Benedetto Marcello, Pier Francesco Cavalli o Giuseppe Tartini? Sono talmente tanti i grandi compositori veneziani del passato... Macché: la Carmen del francese Georges Bizet rivista dal russo Alfred Schnittke! La musica dell'Umbria? Del polacco Fryderyk Chopin. Quella della Campania? Del norvegese Edvard Grieg. Quella del Lazio? Dell'austriaco Wolfgang Amadeus Mozart. Quella dell'Abruzzo? Dell'inglese Edward Elgar. E via così: tutti ma proprio tutti i video che dovrebbero far conoscere l'Italia ai cinesi, fatta eccezione per quello della Basilicata dove la colonna sonora è del toscano Luigi Boccherini, sono accompagnati dalle note di musicisti stranieri. Amatissimi, ma stranieri (...).
Il guaio è che da molto tempo immaginiamo che tutto ci sia dovuto. Che gli stranieri, per mangiar bene, bere bene, dormire bene, fare dei bei bagni e vedere delle belle città, non abbiano altra scelta che venire qui, da noi. Che cortesemente acconsentiamo a intascare i loro soldi, quanti più è possibile, concedendo loro qualche spizzico del dolce vivere italiano. Peggio: siamo convinti che questi nostri tesori siano lì, in cassaforte. Destinati a risplendere per l'eternità senza avere alcun bisogno di protezione. Di cura. Di amore. Non è così (...).
Spiega uno studio dell'Associazione europea cementieri che l'Austria nel 2004 ha prodotto 4 milioni di tonnellate di cemento, il Benelux 11, la Gran Bretagna 12, la Francia 21 e mezzo, la Germania 33 e mezzo, la Scandinavia meno di 36 e noi 46,05, battuti di un soffio solo dalla Spagna. Solo che la Spagna ha 90,6 abitanti per chilometro quadrato, noi 199,3: più del doppio. Insomma, di territorio ne abbiamo già consumato troppo (...).
Pochi mesi prima di morire, rispondendo a un lettore che gli chiedeva aiuto per salvare la riviera ligure, Indro Montanelli maledì sul Corriere questo nostro Paese che tanto aveva amato. E scrisse che le ruspe sono sempre in agguato per «dare sfogo all'unica vera vocazione di questo nostro popolo di cialtroni che non vedono di là dal proprio naso: l'autodistruzione» (...).
Diamo qualche flash sullo spreco. Le gallerie della Tate Britain hanno «fatturato» nell'ultimo anno fiscale 76,2 milioni di euro, poco meno degli 82 milioni entrati nelle casse con i biglietti di tutti i musei e i siti archeologici statali italiani messi insieme. Il merchandising ha reso nel 2009 al Metropolitan Museum quasi 43 milioni di euro, ben oltre gli incassi analoghi di tutti i musei e i siti archeologici della penisola, fermi a 39,7. Ristorante, parcheggio e auditorium dello stesso museo newyorkese hanno prodotto ricavi per 19,7 milioni di euro, tre in più di tutte le entrate di Pompei, il nostro gioiello archeologico. Dove i «servizi aggiuntivi» sono stati pari a 46 centesimi per visitatore: un ottavo che agli Uffizi, un quindicesimo che alla Tate, un ventisettesimo che al Metropolitan, un quarantesimo che al MoMa, il Museum of Modern Art. Un disastro. Per non dire di come custodiamo le nostre ricchezze (...).
Dice l'Ufficio delle Nazioni unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine di Vienna che quello delle opere d'arte trafugate è il terzo business mondiale del crimine dopo i traffici di droga e di armi. Eppure tra i 69.000 detenuti nelle carceri italiane all'inizio del 2011 neanche uno era in cella per avere scavato una tomba etrusca, rubato un quadro o trattato la vendita di un vaso antico a un ricettatore straniero. Se sei ricercato per «tentato furto di una mucca», come capitò all'albanese Florian Placu, puoi restare sei mesi a San Vittore. Se cerchi di vendere all'estero la statua di Caligola non vai in carcere. Se poi trovi certi giudici, puoi perfino tenerti la merce.
È successo ad Angelo Silvestri, un sub laziale denunciato per essersi «impossessato di beni culturali appartenenti allo Stato». Aveva trovato, guardandosi bene dall'avvertire la soprintendenza, 28 pezzi tra i quali varie anfore antiche e un set di preziosissimi strumenti chirurgici romani con tanto di astuccio, perfettamente integri. Il pubblico ministero chiese una condanna ridicola: sei mesi e 2500 euro di multa. «Esagerato!», pensò il giudice di Latina Luigi Carta. E il 3 maggio 2004 assolse l'imputato perché «di anfore, piatti di terracotta, crateri e vasi, manufatti di vario genere, sono pieni i nostri mari» (...).
C'è poi da stupirsi se i musei stranieri, davanti alla nostra richiesta che venga restituito questo o quel pezzo ricettato, che magari loro con amore custodiscono e con amore offrono in visione a milioni di visitatori, fanno resistenza pensando che quel pezzo finirà anonimamente nel mucchio delle tante ricchezze abbandonate in qualche museo di periferia?

giovedì 10 febbraio 2011

Sondaggi amari per il Cavaliere


Berlusconi “illeso” dopo lo scandalo bunga bunga? Gli italiani simpatetici o addirittura invidiosi delle feste del Cavaliere? Non pare, almeno stando al sondaggio della Ipsos di Pagnoncelli resi noti martedì sera a Ballarò. Ma non è il solo. Anche a palazzo Grazioli, a quanto si apprende, sono arrivati sondaggi tutt’altro che positivi sulla fiducia nel premier, nonostante l’imponente campagna mediatica impostata per cancellare il Rubygate. Dal sondaggio Ipsos emergono alcuni dati importanti.

Primo: anche una semplice coalizione Pd-Sel-Idv batterebbe l’asse Berlusconi-Bossi. Secondo: sia Bersani che Casini e Vendola batterebbero il Cavaliere in uno scontro diretto per la premiership. In uno schema a tre poli, il centrosinistra si imporrebbe su Pdl e Lega con il 41% contro il 38,7%, mentre il Terzo Polo si fermerebbe al 17,8%. Ancora più netta la vittoria in caso di “Santa alleanza” di tutte le opposizioni contro il Cavaliere: 51,3% contro 44,2%. Sia Bersani che Vendola, alla guida di un centrosinistra “semplice”, batterebbero Berlusconi: il primo con il 36% contro il 32% e il secondo con il 32% contro il 31%. Bersani vincerebbe anche alla guida di una larga coalizione con dentro Fli e Udc (43% contro 33%), mentre Casini, alla guida della stessa coalizione, vincerebbe con il 45% contro il 32% del Cavaliere. Quanto ai partiti, il Pd risale al 25,8%, Vendola sfiora il 10% (9,7%) e Di Pietro è al 6,8%. Il Pdl si ferma al 27,6%, la Lega all’11,5%, mentre Udc e Fli ottengono rispettivamente il 5,8% e il 5%. 

Dal sondaggio Ipsos emerge anche che secondo il 61% Berlusconi dovrebbe «dimettersi al più presto», ma il 59% ritiene che questo non accadrà e che il governo andrà avanti. Non tutti i sondaggi danno in vantaggio il centrosinistra: Nicola Piepoli, ad esempio, registra ancora una prevalenza del centrodestra, 43% contro 40,5%. E spiega: «Alla gente non interesse niente del bunga bunga, non ci sono ripercussioni».

CROLLANO I FAN CAVALIERE Ma anche da uno studio realizzato da Audipolitica emerge la crisi della leadership del Cavaliere. Solo il 35,7% degli elettori Pdl del 2008 sono certi di riconfermare il proprio voto, mentre il 17,4% di quei votanti intende passare alla Lega. Scarsissimi i flussi dal Pdl verso le forze del centrosinistra, debole anche il flusso da Berlusconi verso il Polo di centro (solo il 7,7%).

Imponente il numero di elettori Pdl che, allo stato attuale, non sa cosa fare (19%) o ha deciso di votare scheda bianca: 11,6%. Il Pd invece conferma il 60% dei propri voti del 2008, ma perde qualcosa a favore di Vendola e dell’Idv. Quanto ai leader, Berlusconi è scavalcato da Tremonti e Maroni: solo il 22% degli italiani sono «favorevoli» al Cavaliere (che ottiene il 35,8% di «molto contrari»), mentre il ministro dell’Economia arriva al 37,3% di favorevoli e Maroni al 34%. A sinistra, invece, il più popolare è Renzi con il 47% di favorevoli, seguito da Vendola (37,3%) e Bersani (35,7%).

Casini e Fini sono alla pari: 28,1 % e 29,5%. Il senatore Pd Stefano Ceccanti si sofferma sui delusi dal Cavaliere che non hanno ancora scelto: «Su questa ampia fascia di elettorato, che è più del 10% dell'insieme, si dovrebbe lavorare con forza. Mai dal 1994 si era registrata una mobilità potenziale così vasta».

INTERVISTA AL PM Edmondo Bruti Liberati

 Si assume tutte le responsabilità di questa inchiesta, "che ho seguito punto per punto". Edmondo Bruti Liberati lo dice al termine di una conferenza stampa superaffollata, ma il messaggio è fondamentale. Le strategie, le scelte delicate di indagare il presidente del Consiglio per il Rubygate e di chiedere il rito immediato (adottate formalmente dai tre colleghi Boccassini, Forno e Sangermano), sono state pienamente condivise dal capo della procura. "Contrasti? La dialettica in un processo è quella tra accusa e difesa - ci tiene a sottolineare - . E l'ufficio del pm deve cercare di riproporla al suo interno già durante l'inchiesta. Noi l'abbiamo fatto senza alcun contrasto". Usa toni pacati, il procuratore capo di Milano. Non si scompone neanche quando i cronisti gli ricordano che l'avvocato del premier, Niccolò Ghedini accusa il suo ufficio di aver "violato la Costituzione", sottraendo il giudizio su Berlusconi al Tribunale dei ministri. "È una sua opinione", è la replica di Bruti Liberati, che risponde anche su altri punti.

Perché la scelta di optare per il giudizio immediato nei confronti del solo premier?
"Non abbiamo adottato la stessa strategia per gli altri indagati (Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, ndr) perché la loro iscrizione è antecedente i 90 giorni e il codice non lo prevede. Era materialmente impossibile. Per il resto, questo ufficio ha ritenuto di non doversi discostare dalla linea costantementeseguita a Milano (e in altri distretti giudiziari) in tema di richiesta di giudizio immediato anche per i reati connessi, essendo pienamente assicurate le garanzie di difesa".

Il premier, però, sostiene da giorni di aver fatto la telefonata in questura nelle vesti di responsabile dell'esecutivo per motivi di diplomazia internazionale.
"Il presidente del Consiglio non ha nessun potere specifico diretto a una forza di polizia. Il contesto ci dice che questo intervento non ha comportato nessun abuso di funzione, ma un abuso di qualità. Nella richiesta di giudizio immediato abbiamo confermato la tesi che non si tratta di un reato ministeriale dopo aver preso in considerazione anche gli atti pervenuti dalla Camera in cui il relatore ha proposto la restituzione del fascicolo e le memorie difensive. Inoltre, va esclusa la competenza territoriale del tribunale di Monza sull'accusa di prostituzione minorile perché la connessione con il reato più grave di concussione commesso invece a Milano trasferisce anche la competenza territoriale".

Eppure, la difesa del Cavaliere ha fatto già intuire che su questi punti si appellerà alla Corte Costituzionale.
"Un eventuale conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato davanti alla Corte non avrà comunque tra i suoi effetti quello di sospendere il processo".

C'è chi accusa la procura di aver abusato delle intercettazioni telefoniche, captando anche le utenze del premier. È così?
"Le intercettazioni effettuate sono costate alla collettività 26 mila euro. Quelle che riguardano l'onorevole Berlusconi sono quattro o cinque e non sono state neanche trascritte. La loro rilevanza è praticamente nulla, tanto che non chiederemo l'autorizzazione parlamentare per il loro utilizzo. Queste conversazioni, dunque, saranno distrutte".

Ci potrebbero essere nuove carte in arrivo dalla procura di Napoli sul filone relativo alla soubrette Sara Tommasi?
"Non vi è stata alcuna trasmissione di documenti da parte dei colleghi partenopei e non è prevista nemmeno alcuna attività d'indagine per il futuro".

La morte dell'aria a Milano


La terza città più indebitata d'Italia, la prima per lo smog nel 2011, la prima per la presenza della famiglia Moratti. A Milano si muore per l'inquinamento e la giunta Moratti ha approvato a febbraio altri 35 milioni di metri cubi di cemento che si aggiungeranno a City Life e all'Expo 2015. La città è in mano ai costruttori. A Milano si può comprare un libretto in edicola: "Come difendersi dallo smog". E' come se a Auschwitz avessero distribuito un vademecum su come proteggersi dal nazismo. A Milano, nelle farmacie sono esaurite persino le mascherine antismog. E' arrivata l'ora di una class action aperta a tutti i milanesi contro quella che ormai è una "città a gas", l'equivalente morbido delle camere a gas. Chiedo agli studi legali e agli avvocati di Milano di contattarmi attraverso il blog per mettere sotto accusa una gestione pubblica che non tiene conto della salute dei suoi cittadini. Se ce la faremo a Milano, ci riusciremo anche nelle altre città inquinate d'Italia, da Taranto a Torino.
Intervista a Filippa Lagerbäck di "Genitori Antismog"
Una mamma svedese contro l'inquinamento di Milano
"Ciao, sono Filippa Lägerback sono svedese, ma vivo a Milano in Italia da 10 anni e ho scelto di vivere a Milano per l’amore per questo paese, per l’amore per questa città e ho scelto addirittura di far nascere mia figlia in Italia e farla crescere qua a Milano.

Maschere antismog esaurite a Milano
Credo veramente che insieme dobbiamo fare questi cambiamenti, non tocca solo a chi ci governa, non è che loro hanno la bacchetta magica per poter migliorare, dobbiamo veramente farlo tutti noi, non è che lo facciamo per qualcun altro, lo facciamo proprio per noi stessi, quindi è anche un’azione egoistica, 

mercoledì 9 febbraio 2011

Cristina Di Censo, ritratto del giudice che deciderà sul Rubygate


Adesso dipende tutto da lei. Cristina Di Censo, giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, ha cinque giorni per decidere sulla richiesta di giudizio immediatoinoltrata dalla procura del capoluogo meneghino.
Non è la prima volta che le strade di Silvio Berlusconi e della Di Censo si incrociano. L’ultima volta fu in occasione dell’aggressione subita dal premier, quandoMassimo Tartaglia scagliò contro il Cav. una statuetta del Duomo di Milano, colpendolo in pieno volto. In quell’occasione la Di Censo ordinò la custodia cautelare per Tartaglia. E fu sempre il gip che ordinò il trasferimento dell’aggressore in una struttura psichiatrica prima della sua assoluzione per incapacità di intendere e di volere.
Nata a Piombino 44 anni fa, la Di Censo è stata a lungo magistrato a Busto Arsizio, in provincia di Varese. Qui nel 1999 ha assolto dall’accusa di avere effettuato prestazioni sanitarie in assenza di autorizzazionedon Luigi Verzé, grande amico del premier e presidente della struttura ospedaliera San Raffaele di Milano. Tempo dopo, la Di Censo si è occupata – tra gli altri – del processo relativo alle “Bestie diSatana“. Nel 2007, infine, la Di Censo ha archiviato l’esposto presentato dal Partito dei Radicali sulle irregolarità delle firme presentate a sostegno della lista di Roberto Formigoni.
Sulle sue spalle adesso la decisione di processare Silvio Berlusconi con rito immediato per le accuse di concussione e prostituzione minorile. Se il magistrato dovesse decidere per quest’ipotesi, il premier potrebbe doversi presentare in aula già ad aprile. Se invece il gip deciderà per un processo “normale“, i tempi saranno molto più lunghi e c’è la possibilità che tutto finisca in un nulla di fatto. Dal momento che i pm di Milano sostengo di avere “l’evidenza della prova”, difficilmente la Di Censo ordinerà un’ulterioreintegrazione alle indagini. L’ultima opzione è il rinvio degli atti ai pm, per la Procura sarebbe uno smacco terribile.

Ho Perso Le Parole

Il leghista che disprezza i bambini rom bruciati vivi

La Regione Lombardia sempre più ricettacolo di puttane, mafiosi e razzisti. Il peggio del peggio: il consiglio regionale è una succursale di San Vittore, con la differenza che a San Vittore i carcerati hanno più dignità.

«Cesare Bossetti, consigliere della Lega di Varese e di Radio Padania (eletto senza preferenze, nel famigerato listino di Formigoni), durante il minuto di silenzio per i quattro bambini rom morti a Roma (richiesto dal Pd e concesso dal presidente Davide Boni, leghista anche lui), non si è alzato in piedi.»

Non ho niente da aggiungere, né da commentare


Berlusconi: "giudizio immediato" ecco cosa è

Il giudizio immediato è un rito speciale caratterizzato dalla mancanza dell'udienza preliminare.
Il giudizio immediato può essere instaurato in seguito a richiesta del P.M. oppure in seguito a richiesta dell'imputato.
L'imputato può rinunciare all'udienza preliminare, con un'istanza vincolante per il G.I.P., il quale è tenuto a disporre il giudizio omettendo tale fase processuale.
Perché il P.M. possa chiedere il giudizio immediato occorre l'evidenza della prova e che la persona sottoposta alle indagini sia stata interrogata sui fatti dai quali emerge l'evidenza della prova oppure che la persona, pur avendo ricevuto l'invito a presentarsi, non si sia presentata. Si ritiene che l'interrogatorio effettuato in sede di convalida dell'arresto o del fermo o l'interrogatorio di garanzia del sottoposto a misura cautelare siano comunque idonei a consentire l'instaurazione del rito speciale. La richiesta di giudizio immediato deve essere trasmessa alla cancelleria del giudice per le indagini preliminarientro novanta giorni dalla iscrizione della notizia di reato. Il termine di novanta giorni non è tuttavia ritenuto perentorio dalla giurisprudenza quanto all'esercizio dell'azione penale nelle forme qui descritte, è ritenuto vincolante solamente per quanto riguarda il compimento delle indagini dalle quali emerga l'evidenza della prova.
Il D.L. n. 92/2008, conv. in L. n. 125/2008 ha introdotto una nuova ipotesi di giudizio immediato al comma 1-bis dell'art. 453 c.p.p., definita "custodiale". Il P.M. richiede il giudizio immediato anche quando l'indagato si trovi in stato di custodia cautelare in carcere, entro 180 giorni dall'esecuzione del provvedimento di custodia, purché sia definito il procedimento di riesame o questo non sia stato esperito in termini, a condizione che ciò non pregiudichi gravemente le indagini. Il G.I.P. cui è presentata la richiesta è tenuto a rigettarla se nel frattempo la misura cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Con la richiesta viene trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari.
Il giudice, entro cinque giorni, emette decreto con il quale dispone il giudizio immediato oppure rigetta la richiesta ordinando la trasmissione degli atti al P.M.
Il decreto di giudizio immediato, che deve contenere l'avviso che l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento), viene comunicato al P.M. e notificato all'imputato e alla persona offesa almeno trenta giorni prima della data fissata per il giudizio.
Se il reato risulta connesso con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di questo rito, si procede separatamente.
Se la riunione risulta indispensabile, il rito ordinario prevale.
Se la richiesta proviene dall'imputato, occorre che l'imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, almeno tre giorni prima della data dell'udienza preliminare presenti in cancelleria una dichiarazione con la quale rinuncia all'udienza e richiede il giudizio immediato.
Se la richiesta di giudizio immediato proviene dal P.M., l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento, depositando nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari la richiesta entro quindici giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato.

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