sabato 11 agosto 2012

Tutti zitti per “portare rispetto”, ma i cittadini vogliono verità e giustizia

Antonio Di Pietro


Da quando l’Italia dei Valori ha chiesto con determinazione chiarezza sulla trattativa fra Stato e mafia, costata la vita a tanti uomini e donne valorosi, e da quando ci siamo permessi di muovere delle critiche anche al Presidente della Repubblica per gli interventi del Quirinale in questa vicenda, siamo diventati oggetto di una campagna di denigrazione e calunnie senza precedenti.
Il minimo che si legge sui giornali, a parte le solite eccezioni, a proposito del sottoscritto è che sono un irresponsabile eversivo. Io, che per tutta la vita altro non ho fatto che servire lo Stato come poliziotto, come magistrato e come ministro. Oppure dicono che ho fatto saltare il centrosinistra per correre dietro all’antipolitica. Io, che per mesi e anni mi sono sgolato chiedendo che l’alleanza di centrosinistra venisse formalizzata mentre i leader del Pd facevano orecchie da mercante.
Ma alla fine dei conti cos’è che mi rimproverano questi saccenti e ben pagati moralisti di una stampa degna dell’Istituto Luce? Di oppormi al vergognoso complotto per isolare e delegittimare la procura di Palermo. Mi rimproverano di avere chiesto che, per scoprire la verità sul nido di serpi che nel ’92 trattava con Riina e Provenzano, non si guardasse in faccia nessuno.
E allora? Dov’è il delitto, l’irresponsabilità, la follia eversiva? Questi moralisti a comando pensano che se uno è stato presidente del Senato bisogna trattarlo con i guanti e se non vuole rispondere ai magistrati bisogna inchinarsi e dire: “Faremo come comanda sua eccellenza”. E ritengono che si debbano chiudere occhi, orecchie e bocca come le tre scimmiette, anche se un Presidente della Repubblica prima fa finta di non vedere, e poi briga per impedire di conoscere i fatti, andando oltre i confini costituzionali del suo mandato. Tutti zitti e muti perché è così che si dimostra di “portare rispetto”.
Se è così, avessero almeno il coraggio di dirlo apertamente, ma che sappiano che noi dell’Italia dei Valori questa logica non l’accetteremo mai. Continueremo a chiedere la verità a tutti i costi, checché ne dicano le loro eccellenze, le caste, gli intoccabili, quelli che pensano che “la legge è uguale per tutti, tranne che per loro”. E anche gli obbedienti giornalisti che gli fanno volentieri da megafono.
Non siamo isolati. In un solo giorno di pieno agosto 43mila persone hanno firmato l’appello del Fatto Quotidiano affinchè si faccia luce sulla trattativa Stato-mafia. Se si chiedesse ai cittadini cosa ne pensano di questa melmosa storia io non ho dubbi su quel che risponderebbe la stragrande maggioranza. Siamo in ottima compagnia. Molto migliore di quella di quei giornalisti che difendono la legalità a mezzo servizio e solo quando non tocca chi dicono loro.

lunedì 6 agosto 2012

L’ipocrisia del “non possiamo avere tutto”

di 

Una donna che ha tutto non può scrivere un articolo dal titolo “Perché le donne non possono ancora avere tutto”. Troppo comodo professoressa Slaughter, lasciare un posto da consigliera di Hillary Clinton e farsi pubblicità sulle spalle di milioni di donne che farebbero di tutto per avere solo un decimo di quello che ha lei.
Riassumo brevemente per chi avesse perso le puntate precedenti. Anne Marie Slaughter è una professoressa di Scienze politiche all’università americana di Princeton. Dal 2009 al 2011 è stata direttrice della pianificazione delle politiche al Dipartimento dei Stato Usa. Ha due figli adolescenti e un marito. Ha preso un’aspettativa ed è andata a Washington per fare il braccio destro di Hillary Clinton. Poi, allo scadere del congedo di due anni da Princeton, ha deciso di lasciare la scrivania governativa per tornare dietro la cattedra universitaria. Scelta legittima. Ma alla professoressa che ha avuto tutto, non bastava. Ha dovuto fare della sua vicenda personale un fatto pubblico e lanciare il suo messaggio al mondo. In un lungo articolo pubblicato sul numero estivo di The Atlantic spiega che “le donne devono scegliere, non possono avere dei figli e un certo tipo di lavoro”. Chiaro che la provocazione ha fatto il giro del mondo in un baleno e se ne continua a discutere.
Grande pubblicità per la signora, ma la sua tesi fa un gran male a chi con le difficoltà di conciliare vita privata e lavoro si scontra tutti i giorni.
Vi racconto questo. Due anni fa ho scritto un libro, che si intitola Ma le donne no (Feltrinelli), proprio per dare una svagliatina e denunciare proprio questa nuova tendenza rinunciataria. Ancora oggi continuo a ricevere mail e messaggi da donne che mi ringraziano e in sostanza mi dicono: pensavo di essere un’aliena ma “mi sono sentita meno sola” dopo aver letto la sua denuncia. La conclusione del libro era la stessa della Slaughter, cioè che le donne non possono avere tutto. Ma la mia era una denuncia, appunto. E dicevo che è necessario non mollare, per non dover essere costrette a scegliere tra famiglia e lavoro.
Poi ti arriva una Slaughter, dall’alto della sua cattedra e della sua vita dorata e lancia un messaggio di questo tipo. Mi posso facilmente immaginare come si possa sentire una lettrice lavoratrice: ancora più sola, frustrata e depressa.
Racconta la Slaughter che mentre era a New York a un ricevimento con il presidente Obama e Michelle, sorseggiando champagne e conversando con alti funzionari stranieri, non riusciva a smettere di pensare al figlio di 14 anni. Testualmente: “Aveva cominciato l’ultimo anno delle medie tre settimane prima e già trascurava i compiti a casa, disturbava le lezioni, prendeva votacci in matematica e ignorava qualunque adulto cercasse di avvicinarlo. La primavera precedente avevo ricevuto molte telefonate urgenti in cui mi si chiedeva di prendere il primo treno per Washington, dove lavoravo, a Princeton, nel New Jersey, dove viveva mio figlio”. Eccetera eccetera, vi risparmio il resto, ma il tono è questo. Se hai un figlio adolescente che fa l’idiota non è colpa tua. Se hai un marito non in grado di gestire la situazione, idem. Ma la signora ha trovato tutto ciò troppo insopportabile, divorata dai sensi di colpa e dalla constatazione che gli uomini sono in grado di scaricare le beghe familiari sulle donne mentre noi non ci riusciamo. Ergo, i lavori troppo impegnativi lasciamoli a loro e facciamo un passino indietro. Anne Marie Slaughter continua comunue ad insegnare a tempo pieno, scrive articoli di politica estera, tiene una cinquantina di conferenze all’anno, interviene alla radio e alla tv e sta scrivendo un nuovo libro. Ma dice alle altre donne che non possono avere tutto.
Consiglio alla professoressa Slaughter e a tutti quelli che la pensano come lei la lettura di Terry Hekker, una anti femminista che alla fine degli anni Settanta aveva scritto un libro contro le donne lavoratrici. Si intitolava Dai tempi di Adamo ed Eva e sosteneva che il ruolo delle mamme era stare a casa per occuparsi della prole. Poi i figli erano cresciuti, il marito era scappato con una trentenne e lei aveva scritto un altro libro. Il titolo? Dimenticate il primo libro. Ha avuto un successo enorme.