venerdì 8 aprile 2011

La verità di Milano

Credo di fare una cosa utile pubblicando per intero sul mio blog l'articolo del professor Carlo Federico Grosso, uscito oggi su “La Stampa”.
Grosso non è un magistrato ma un avvocato penalista, docente di Diritto penale all'università di Torino. Ha sempre difeso le garanzie degli imputati e anche in materia di intercettazioni nessuno ha mai potuto accusarlo di faziosità.
Tanto più importante mi sembra quindi la lucidità con cui spiega perché, in termini di legge e a norma di Costituzione, la Procura di Milano avesse il preciso dovere di acquisire e trascrivere nei brogliacci le intercettazioni di alcune telefonate in cui il presidente del Consiglio parlava con persone intercettate.
Il Pdl sta facendo una gran cagnara affermando che così è stata violata la legge. La verità è esattamente il contrario: la Procura di Milano avrebbe violato la legge se non avesse acquisito e trascritto quelle intercettazioni
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Il deposito è un atto dovuto
L'articolo 68 della Costituzione stabilisce che l'autorità giudiziaria, quando intende sottoporre ad intercettazione un parlamentare, deve chiedere l'autorizzazione al Parlamento. Può tuttavia accadere che un onorevole venga intercettato “casualmente” nel corso di un procedimento a carico di altre persone o di lui stesso. In questo caso, il magistrato, neppure volendolo, potrebbe premunirsi del placet richiesto. Ed infatti la legge dispone che l'intercettazione casuale è acquisita comunque legittimamente. Il problema riguarda, eventualmente, la sua trascrizione e la sua utilizzazione. Anche qui la disciplina processuale è peraltro chiara. Quando avviene una intercettazione la legge prescrive che la polizia giudiziaria rediga verbali nei quali è trascritto il contenuto della comunicazione intercettata, verbali che, secondo prassi, possono riportare brani dei dialoghi di maggiore interesse. Ciò che è, ovviamente, avvenuto nel caso delle intercettazioni, assolutamente legittime, delle quali si discute. Ulteriore problema. A quali condizioni le intercettazioni casuali dei parlamentari possono essere utilizzate? La sentenza numero 390/2007 della Corte Costituzionale ha stabilito che nel caso in cui intenda utilizzarle nel processo a carico del parlamentare il magistrato deve chiedere l'autorizzazione alla Camera; se intende utilizzarle in processi a carico di soggetti diversi può usarle invece del tutto liberamente. Con riferimento alle intercettazioni casuali di un deputato ritenute irrilevanti la legge soggiunge che il magistrato ne ordina la distruzione, previo, tuttavia, avviso alla parte, che potrebbe avere un suo interesse difensivo alla loro conservazione. Alla luce di queste norme non è difficile inquadrare giuridicamente ciò che è accaduto a Milano. Come ha riferito ieri il procuratore in un comunicato, le intercettazioni in questione (legittimamente acquisite e trascritte nei brogliacci come previsto dalla legge), quando Berlusconi non era ancora indagato sono state depositate al giudice per ottenere la loro proroga. Poiché Berlusconi non era, allora, appunto indagato, esse erano pertanto utilizzate in un procedimento che non lo riguardava in tale veste. Sulla base della legge, non c'era, pertanto, un obbligo di chiedere l'autorizzazione al Parlamento. Nel processo a carico del premier tali intercettazioni non sono, oggi, sicuramente utilizzabili (potrebbero esserlo, invece, insieme ad altre nel processo Ruby bis, dove sono imputate persone diverse). Il loro deposito costituiva, comunque un atto dovuto, poiché la difesa del premier poteva, teoricamente, avere un suo interesse al loro interesse. Il rispetto di una garanzia difensiva, pertanto. Ha quindi ragione il procuratore di Milano nel rivendicare la legittimità della procedura seguita dal suo ufficio.

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