lunedì 11 giugno 2012

Io, i poteri forti e il diritto alla lealtà di MARIO MONTI

CARO direttore, la ringrazio per l'invito, che ho accolto volentieri, ad un'intervista pubblica con lei, Eugenio Scalfari e Claudio Tito per sabato prossimo a Bologna, nell'ambito della "Repubblica delle idee".

Nel suo bell'editoriale di ieri ("Draghi, Bersani, varie ed eventuali 1"), Eugenio Scalfari ha voluto farmi conoscere in anticipo due delle domande che potrebbero venirmi rivolte in quell'occasione: se esista in Italia una "questione morale"; se un'Europa federale comporti la messa in comune di una parte del debito pubblico degli Stati membri. Implicitamente, ha anche accennato ad un terzo tema che immagino verrà evocato: i cosiddetti "poteri forti". Sarò lieto di discutere con voi su questi ed altri argomenti. Mi preme tuttavia replicare fin d'ora in merito ad alcune esemplificazioni che Scalfari ha ritenuto di fare a proposito del terzo tema. Per comodità dei lettori, cito l'intero passaggio.

"... Alcuni 'poteri fortì sono insediati fin dall'inizio nella struttura del governo stesso e quelli sì, remano sistematicamente contro la sua politica. Qualche nome per non esser generici: il capo di gabinetto di Palazzo Chigi [in realtà, del ministero dell'Economia e delle finanze], Vincenzo Fortunato; il sottosegretario alla Presidenza, Antonio Catricalà; il ragioniere generale del Tesoro, Mario Canzio, sono certamente abili conoscitori della Pubblica amministrazione, ma hanno un difetto assai grave: sono creature di Gianni Letta (Catricalà) e di Giulio Tremonti (Fortunato, Canzio). Sono sicuramente poteri forti e sono sicuramente contrari alla linea del governo come ogni giorno i loro comportamenti dimostrano".

 Quando ho nominato sottosegretario Catricalà e confermato nelle loro posizioni Fortunato e Canzio, non ero certo all'oscuro dei loro rispettivi percorsi di carriera, né di chi avesse avuto un ruolo decisivo nel valorizzarli in passato. Ma si tratta di qualificati funzionari dello Stato e nel decidere di avvalermi della loro collaborazione li ho valutati alla luce di quelle che, dopo attento esame, mi sono parse le loro caratteristiche di competenza, integrità, autorevolezza nell'esercitare le funzioni ad essi attribuite, lealtà. Lealtà allo Stato e alle linee programmatiche del Governo, non ad una "mia" parte politica (che, come è noto, non esiste). 

Certo, le due posizioni al ministero dell'Economia e delle finanze - oltre, beninteso, a quella di sottosegretario - rientrano nello "spoil system". Avrei perciò potuto modificarne a mia discrezione i titolari, magari per il fatto che il Ministro che li aveva nominati non sempre aveva mostrato particolare rispetto per le mie tesi di politica economica (o per la mia persona) nel corso degli anni. Ma non credo che sia questo il modo corretto di intendere lo "spoil system". Soprattutto se si è a capo di un governo sostenuto da una maggioranza che è composta da forze politiche antagoniste tra loro, con anime culturali e ambienti di riferimento spesso antitetici. Devo cercare, è stata la mia convinzione fin dall'inizio, di estrarre il meglio da ogni forza e di rendere compatibile ciò che "in natura" (cioè nei molti anni di acceso bipolarismo che ci hanno portato alla crisi del novembre 2011) ha mostrato di non esserlo.

In altre parole, non avrei potuto - ma neppure voluto - evitare di prendere in considerazione professionalità di valore solo perché erano "creature" di Gianni Letta o di Tremonti. O di Bersani, Casini o Alfano. 
Nel caso di Catricalà, Fortunato e Canzio (il quale in più, come Ragioniere generale dello Stato, deve essere visto e rispettato dallo stesso ministro dell'Economia e perfino dal presidente del Consiglio, oltre che ovviamente da ciascun ministro, come imparziale garante della credibilità dei conti pubblici), non ho avuto finora alcun motivo per rammaricarmi delle scelte che ho fatto nel novembre scorso. Ho anzi apprezzato le loro qualità e il loro spirito di servizio.

Naturalmente, nel caso riscontrassi in loro, come in qualsiasi altro collaboratore, anche un solo caso di mancata correttezza o lealtà, non esiterei a privarmi della loro collaborazione. Nei primi mesi del mio mandato di Commissario europeo, nel 1995, un direttore generale si mise d'accordo con il governo del suo Paese, in una procedura di infrazione, senza riferirmene preventivamente, come avrebbe dovuto. Quell'alto funzionario, pur appartenente ad un grande Stato membro, venne rimosso dal servizio.

L'autore è presidente del Consiglio 

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