giovedì 17 marzo 2011

Il grande esproprio della liquidazione: quei 15 miliardi “rubati” dal vostro TFR

Cari lavoratori dipendenti, lo Stato vi sta rubando i soldi del Tfr: sono oltre 15 miliardi dal 2007 ad oggi. L’operazione è maturata negli anni, ha attraversato tre governi e si è prodotta essenzialmente in due fasi.

Per capire bene si deve andare con la memoria al 25 novembre del 2005 quando il governo Berlusconi approvò la riforma della previdenza complementare e diede la possibilità ai lavoratori dipendenti, dal primo gennaio del 2007, di decidere se destinare i soldi del Tfr (trattamento di fine rapporto) all’azienda o ai fondi di pensione complementare. In molti scelsero la prima via.

E’ con il governo Prodi nel 2007, poi, che inizia la prima fase di prelievo da parte dello Stato del Tfr di milioni di lavoratori italiani. Con la Finanziaria di quell’anno, infatti, venne costituito il Fondo per l’erogazione del Tfr, gestito dall’Inps per conto della Tesoreria dello Stato.

Si stabilì che nelle aziende con più di 50 lavoratori, qualora il dipendente avesse deciso di lasciare il Tfr in azienda, quei soldi sarebbero stati utilizzati dallo Stato per finanziare opere pubbliche e infrastrutture. Salvo poi liquidare il Tfr dovuto al lavoratore al momento della fine del rapporto lavorativo. A quel tempo Giulio Tremonti, all’opposizione, gridò allo scandalo bollando la manovra come una “partita di raggiro” che avrebbe portato all’”acquisizione di nuovo debito”.

Arriviamo al tempo attuale, Giulio Tremonti è ministro dell’Economia e scopre di avere il bilancio in profondo rosso con un buco di 2,4 miliardi di euro. Cosa fa? Decide anche lui di utilizzare il tesoretto del Tfr ma per finanziare spese correnti, come rivelato dal ‘Riformista’. Il tutto con una norma contenuta nel maxi-emendamento alla Finanziaria 2010. Una prassi che ha costretto la Corte dei Conti ad intervenire con un ammonimento.

Il ragionamento della Corte, in parole povere, è questo: se lo Stato usa i soldi del Tfr per finanziare opere pubbliche, ha la possibilità di creare nuove entrate, di restituire quindi quei soldi e tentare di diminuire il debito pubblico. Ma se si utilizzano quei soldi per coprire spese correnti, che quindi non danno nessun profitto, non solo quei soldi andranno per così dire “perduti”, ma si aumenterà anche il debito pubblico italiano.

La Corte dei conti denuncia infatti “una operazione di natura espropriativa senza indennizzo o comunque di prelievo fiscale indiretto nei confronti di categorie interessate a versamenti finalizzati a scopi ben diversi dal sostegno alla finanza pubblica”. E prevede che, con questo ritmo di “prelievo” (già 15,86 miliardi di euro dal 2007 al 2010, ndr), l’esposizione raddoppierà, toccando allo scadere dei dieci anni dall’introduzione del nuovo meccanismo di Tfr i 30 miliardi di euro”.

“A seguito di tale fenomeno – continua la Corte dei Conti – può concludersi che il prelievo stesso diviene un’entrata indifferenziata dello Stato senza alcun vincolo di destinazione e senza l’istituzione di correlate poste passive, destinate alla reintegrazione del fondo”. Insomma non c’è garanzia che quei soldi vengano restituiti,con una doppia “beffa”: lo Stato avrà “rubato” soldi ai lavoratori e inoltre avrà aggravato il suo debito pubblico, già altissimo di per sè.

E arriviamo al risvolto peggiore di tutta la faccenda: le nuove regole dell’Europa sul risanamento dei debiti pubblici dei Paesi membri. Proprio martedì si è tenuta la riunione dell’Ecofin, ovvero di tutti i ministri economici e finanziari dell’Unione Europea. L’Ecofin ha stabilito che tutti i Paesi Ue devono ridurre i propri debiti pubblici al di sotto del 60% dei propri Pil (in Italia attualmente il debito pubblico è pari al 120% del Pil).

L’Italia inoltre dovrà pareggiare il proprio bilancio con una riduzione dello 0,5 % all’anno del rapporto tra deficit e Pil. Un doppio vincolo di risanamento che, come sottolinea Stefano Feltri sul ‘Fatto Quotidiano’, potrebbe produrre sulla testa degli italiani “mazzate” da 40 miliardi all’anno. Delle manovre giganti per tentare di ripianare il debito.

Perché? Attualmente, abbiamo detto, il Pil italiano è pari al 120% del Pil ma, secondo l’accordo europeo, questo rapporto deve scendere al di sotto del 60%. Fa notare Feltri che se la crescita del Pil dovesse essere inferiore all’1% annuo le cose si metterebbero davvero male. Soprattutto perché il debito pubblico italiano è ancora maggiore rispetto ai dati “visibili”.

Una parte, infatti, è “sommersa” e costituita dai futures utilizzati ai tempi di Romano Prodi per “abbellire” i conti e poter entrare in Europa. Un’altra parte è costituita da altri “trucchetti”, come i 2,4 miliardi che forse non arriveranno mai dall’asta delle frequenze tv e l’uso del Tfr per pagare la spesa corrente. Con una situazione come questa, dunque, l’Italia rischia manovre da 40 miliardi l’anno per ripianare il debito. Una vera e propria “mazzata”, che fa apparire l’ottimismo di Tremonti di ritorno dalla riunione dell’Ecofin una mera copertura.

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