lunedì 28 febbraio 2011

Vendola rilancia le primarie e sfida il Pd: "Via al cantiere"

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"Con Fini? Solo per 3 interventi
mirati. Diciamo no al liberismo"

Ha riempito un teatrotenda alla periferia di Roma, Nichi Vendola, per lanciare quella che ha tutta l'aria di essere un'opa sul centrosinistra. Il presidente della Puglia ha parlato per quasi un'ora e mezzo, sferzando il Pd su primarie, alleanze e strategia politica, senza dimenticare di sbeffeggiare Silvio Berlusconi, il premier del bunga-bunga ma anche il «bigotto» che provocherebbe «sofferenza» ad un eventuale figlio omosessuale con le sue prese di posizioni contro i gay.

Le primarie, che sembravano passate in secondo piano dopo l'intervista in cui Vendola lanciava il nome della Bindi come possibile premier, tornano ad esser centrali, anzi «l'anima del centrosinistra». La grande alleanza che chiede il Pd va pure bene, ma solo per fare tre cose: la legge elettorale, il conflitto di interessi e norme a tutela del pluralismo, «poi ognuno per la sua strada». Sel, insomma, è pronta a fare la sua parte, ma bisogna «aprire un nuovo cantiere di centrosinistra» e soprattutto: «Non ci avrete mai sul terreno del liberismo».

Vendola ha entusiasmato le tante persone(4mila secondo gli organizzatori) venute di domenica mattina ad ascoltarlo. Ha cercato di presentare il volto di una sinistra moderna che ha fatto tutti i conti con il passato e non sarà un caso se la citazione di Chee Guevara è stata accompagnata dalla richiesta di «libertà a Cuba», subito, «se non ora quando». Ma per il resto, il discorso del leader di Sel - appassionato come al solito, la voce che gli si strozza in gola per i troppi decibel e per l'emozione - ha toccato tutte le corde care alla sinistra, sia pure non più comunista. E quando alla fine è partita "Bella ciao" nella versione rock-gitana dei "Modena city ramblers" la platea è esplosa, in piedi a cantare, molti con il pugno alzato.

Vendola ha preso spunto dalla politica estera, come insegnava la scuola delle Frattocchie, e da lì è via-via sceso ai fatti della politica italiana. La crisi libica è l'occasione per bacchettare «la piccineria della classe dirigente europea», così «ipocrita e esitante», ben lontana dall'esempio dei «Khol, dei Berlinguer, dei Brandt». E, a maggior ragione, la vicenda libica chiama in causa il governo italiano, che parla con voce «tremolante» e che finora ha fatto fare proprio a Gheddafi «il lavoro sporco» di bloccare l'emigrazione verso le nostre coste. Ma la risposta, avverte, non è un intervento militare, anzi «l'Europa, con qualche eccezione, è stata complice della lunga stagione della rivoluzione reazionaria che ha teorizzato addirittura la guerra come sistema stabile di governo del mondo». Bisogna piuttosto «abbracciare chi soffre» e imporre la logica del «diritto internazionale e della libertà».

Il problema è che l'Europa, e ancor più la sinistra europea, «avere oggi il coraggio di mettere in capo pensieri lunghi», dire che la Turchia deve entrare nell'Ue, così come i Balcani occidentali. E qui, la prima stoccata a Bersani: «Compagno Pier Luigi Bersani: possibile che levare gli occhi verso un orizzonte un po' più alto significa dedicarsi alla poesia?». Semmai, insiste, bisogna mettere in campo idee nuove, fuori dallo schema del liberismo che «non è la cura, è la malattia». Bisogna «superare la dittatura del Pil come parametro di riferimento», perché è evidente che non basta stimolare la crescita perché tutti stiano meglio. Sceglie di citare non Marx, ma «uno dei fratelli Kennedy» che «ce lo aveva detto mezzo secolo fa». Parla di «ascensori sociali bloccati», denuncia una povertà che «non è più soltanto quella tradizionale, del barbone, dell'alcolista» ma che ormai riguarda anche il ceto medio, i «lavoratori dipendenti che oggi sono "workers poor", lavoratori poveri».

E Vendola prova a sdoganare un concetto ormai quasi eretico, il ruolo di pianificazione dello Stato: «Dobbiamo rivendicare come moderno il ritorno dello Stato. Non perché deve camuffarsi da d'impresa", deve però "orientare, indicare qual è il destino sociale e produttivo di una società». E l'articolo 41 della Costituzione che Berlusconi vuole cambiare merita piuttosto un «monumento». Sono curiosi, per Vendola, i liberisti che «quando sentono la parola Stato sentono l'odore del demonio. Tranne che in un caso: quando si tratta di salvare le banche, gli squali... allora lo Stato va bene, non storcono mai il naso quando si mettono in campo gli ammortizzatori sociali per le oligarchie». Anche il welfare «va riformato, ma non come si sente sempre dire 'togliendo ai padri per dare ai figli', senza contraddizione tra diritto al lavoro e diritto al reddito». Insomma, non solo «piena occupazione», ma anche «buona occupazione». E poi, investimenti sulla scuola perché «non tutti i giovani vogliono mettersi sul marciapiede o andare a palazzo Grazioli per trovare la propria realizzazione esistenziale».

Le tasse vanno ridotte, certo, ma al «lavoro dipendente» - dice Vendola - , alzandole sulle rendite finanziarie. Quindi il leader di Sel spiega di aver proposto Rosy Bindi premier per rispondere alle sollecitazioni del Pd sulla grande alleanza, fino a Fini. La grande alleanza si può anche fare, dice Vendola, ma solo per tre interventi urgenti (legge elettorale, conflitto di interessi e norme per il pluralismo), poi ognuno per la sua strada. E se grande alleanza deve essere, dove sta scritto che come candidato premier si debba scegliere «un tecnocrate liberista» come Mario Monti? Meglio la Bindi, allora. «Ho proposto il presidente del Pd! Non so perchè debba rappresentare un elemento provocatorio. Mi sono assunto una responsabilità sociale, svelare la sovrapposizione tra emergenza democratica ed emergenza tecnocratica». Sia chiaro, ha ripetuto, «perché con il Pd su questo non ci sia equivoco: sul terreno del liberismo non ci avrete mai». Dunque, «il tema è il nuovo centrosinistra. Serve coraggio politico e coraggio culturale. Evitando di imbracare la storia, come diceva Gramsci, ma interpretando le domande di cambaimento. Legare la crisi democratica che c'è alla crisi sociale». Dunque, bisogna «riaprire il cantiere del centrosinistra» e «capiscano tutti: la leva per il capovolgimento del berlusconismo è nella partecipazione democratica, le primarie sono l'anima del centrosinistra che vogliamo costruire, non sono un capriccio». Il discorso di oggi è un manifesto programmatico. Bisogna aprire un nuovo cantiere, «non metto veti», se non quello a Fli ripetuto oggi: «Non posso stare in una coalizione di governo in cui c'è Andrea Ronchi che ha fatto la privatizzazione dell'acqua».

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