giovedì 3 marzo 2011

I pm chiedono la condanna per Cragnotti e Geronzi

Wikio
«Debiti e crediti fittizi tra società del gruppo Cirio attraverso cessioni di aziende ampiamente sovrastimate rispetto al loro reale valore» per mostrare bilanci «in utili», una situazione compromessa da anni a cui avrebbe contribuito la consistente esposizione verso il sistema bancario. Parte da qui la requisitoria dei pm Rodolfo Sabelli, Gustavo De Marinis e Paola Filippi, nel processo per bancarotta della Cirio, per chiedere ai giudici una condanna di 15 anni per Sergio Cragnotti l'ex patron della Cirio, 8 anni per il presidente delle Generali ed ex presidente della Banca di Roma Cesare Geronzi, 6 anni per Gianpiero Fiorani, ex ad della Popolare di Lodi. «Una richiesta assurda», si è affrettato a commentare Cragnotti uscendo dall'aula. «Requisitoria generica e immotivata», hanno incalzato gli avvocati di Geronzi, Paola Severino ed Ennio Amodio, mentre da Trieste, fonti vicine alla presidenza delle Generali non hanno mancato di ricordare come «tutte le volte» che la condotta di Cesare Geronzi, nell'esercizio dell'attività di banchiere, è stata sottoposta al vaglio della magistratura, «essa è risultata sempre corretta, con la conseguenza della dichiarazione di non colpevolezza». Le stesse fonti hanno detto di «confidare in una decisione del collegio che riconosca la correttezza dell'operato del presidente Geronzi». Essere al vertice della banca «non rappresenta un elemento giustificativo della pena», aggiunge il legale Severino secondo la quale siamo di fronte alla «trasformazione di prove lecite in accuse penali per nulla rigorose».
Il punto di non ritorno da cui è scaturito il processo è il fallimento del gruppo agroalimentare nell'agosto 2003 per 1,4 miliardi di euro con un debito costituito per lo più da obbligazioni per 1,12 miliardi finite nei portafogli dei risparmiatori. Ma per i 2mila bondholders che si sono costituiti parte civile è arrivata la doccia fredda della prescrizione del reato per truffa che mette a rischio i risarcimenti in corso con le banche. Resta la bancarotta alla quale, secondo l'accusa, avrebbero concorso anche gli istituti di credito, e in particolare la ex Banca di Roma che avrebbe trattato Cragnotti «in un modo assolutamente anomalo». 

Nel complesso sono una quarantina le richieste di condanna tra ex amministratori ed ex banchieri. Come Antonio Nottola ex ad della Banca di Roma (8 anni), Giovanni Benevento ex presidente della Popolare di Lodi (6 anni). Oltre a Cragnotti, nell'elenco figurano i tre figli e la moglie, il genero Filippo Fucile (12 anni), Lucio Velo, fiscalista, uno dei fedelissimi, Riccardo Bianchini Riccardi (8 anni) amministratore di numerose società del gruppo, richieste «sproporzionate» per il suo avvocato Cataldo Intrieri. Chiesta anche una sanzione per i revisori della Dianthus, ex Deloitte & Touche. Il quadro accusatorio parte dalla ricostruzione delle vicende della Cragnotti & Partners dai primi anni 90, quando il manager uscito dall'Enimont, con la liquidazione costituisce la merchant bank con cui darà vita a una girandola di acquisizioni dalla Polenghi Lombardo, alla Cirio, alla De Rica, alla Bertolli fino alla brasiliana Brombil e alla Lazio: a metà degli anni 90 il fatturato ammonta a 1.500 miliardi di lire. Il gruppo cresce e con esso i debiti che scaturiscono dalla intricata ragnatela di società sparse tra il Lussemburgo, l'Olanda, le Isole Vergini e il Brasile. Gli investimenti industriali sono sempre più risicati mentre si ricerca affannosamente liquidità per ridurre i debiti. Già nel 1996, secondo quanto emerge dalla memoria di 300 pagine depositata ieri dai pm, il gruppo Cragnotti accusava una carenza di liquidità, situazione di cui «la Banca di Roma aveva una conoscenza approfondita - secondo la ricostruzione dell'accusa scaturita dalla lettura dei verbali dei comitati esecutivi dell'istituto capitolino -; nonostante ciò Banca di Roma ha avallato il protrarsi di quell'apporto che si è sviluppato nel tempo».
Con il protrarsi della crisi «l'istituto cerca di prendere le distanze - secondo i pm - tentando di avere nuove garanzie da parte del cliente o prevedendo ulteriori finanziamenti e scaricando su altri il rischio per cercare almeno in parte di recuperare gli affidamenti». È il caso dei bond Cirio, finiti nei portafogli dei risparmiatori quando erano destinati agli investitori istituzionali; oppure la cessione Eurolat alla Parmalat, operazione che Tanzi ha definito «spintanea» da parte della Banca di Roma la quale sostituendo il debitore, riduce il rischio e rientra in parte dell'esposizione verso la Cirio. Sarà la stessa Banca di Roma, attraverso l'azione del direttore generale di Capitalia Matteo Arpe, a mettere fine alle erogazioni, una mossa che porterà inevitabilmente al default della Cirio. Ora si attendono le repliche delle parti civili e delle difese mentre la sentenza è attesa prima dell'estate.
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LE TAPPE

La vicenda
Cirio va in default nel novembre 2002, ma dopo un tentativo di salvataggio (con il piano Livolsi bocciato a Londra dagli obbligazionisti) finisce in amministrazione straordinaria nell'agosto 2003. Coinvolti 35mila risparmiatori, che hanno comprato i 7 bond.
I processi
Sul caso Cirio sono partiti molti procedimenti penali. Quelli che ipotizzavano la truffa ai danni dei risparmiatori sono stati archiviati. Il processo per bancarotta, in corso a Roma, è arrivato ieri alla svolta. I pm hanno chiesto condanne da 15 anni per Cragnotti, 8 per Cesare Geronzi

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