giovedì 3 marzo 2011

Il fuorilegge

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QUEL che conta per Silvio Berlusconi è scegliersi i giudici per levarsi di torno la disgrazia di Milano. Lo reclama. Se si vuole, la notizia è questa: nella civile Europa  -  e non nel Maghreb  -  c'è un capo di governo che pretende di poter decidere da solo l'identità del pubblico ministero e del giudice, il luogo del suo processo e infine scrutinare anche la sentenza. Ritiene di poterlo fare abusando del suo potere politico e agitando tre formule magiche e definitive: "competenza del giudice", "procedibilità del processo", "sospensione del giudizio". Il Sovrano, chiuso nella sua Villa, circondato dai suoi avvocati, decide d'imperio contro la legge e la Costituzione che quelle decisioni siano appannaggio del Parlamento, e quindi della maggioranza che controlla o paga.

Era scritto che Berlusconi si muovesse lungo la strada di un illegalismo istituzionale. "Sarà l'intervento del Parlamento che toglierà il caso alla procura di Milano". Il presidente del Consiglio lo dice il 18 gennaio, martedì. A Villa San Martino riunisce il "tavolo di crisi", avvocati, consiglieri, consigliori, qualche ministro, a quanto pare. Lettura collettiva delle 389 pagine dell'invito a comparire della procura di Milano. Sconforto anche per i chierici dallo stomaco forte: è vero, concludono, in quelle carte ci sono "prove evidenti" dei due reati (concussione, prostituzione minorile) che vengono contestati al capo del governo. Appare subito 
chiaro  che la difesa di Berlusconi non sarà tecnica" e soprattutto non avverrà in tribunale. Quel processo può essere vinto a Roma e la "linea del Piave" sarà il Parlamento. Sarà il potere politico a dover fermare i passi della magistratura e a scongiurare ogni accertamento di responsabilità. Abituato a usare le Camere come bottega sua, Berlusconi ordina agli avvocati che vi ha nominato di "togliere alla procura di Milano il caso". Il giorno dopo, 19 gennaio mercoledì, si fa beffe dell'appello di Napolitano a "fare chiarezza perché il Paese è turbato" e squaderna il canovaccio: "I fatti che mi sono contestati sono stati commessi nella qualità di presidente del Consiglio, la procura avrebbe dovuto trasmettere tutti gli atti al Tribunale dei ministri  È gravissimo che la procura voglia continuare ad indagare pur non essendo legittimata a farlo". Subito dopo gli azzeccagarbugli del Sovrano confondono e intricano le questioni per nascondere la violenza istituzionale delle mosse del Cavaliere. 

Ciò di cui si discute è più semplice di quanto si possa immaginare. La domanda è sempre una, in ogni passaggio di questa storia: chi deve decidere? Berlusconi sostiene che non può indagare il pubblico ministero di Milano, ma il Tribunale dei Ministri perché il reato, se reato c'è stato, è ministeriale. Senza entrare nel merito se quel reato (concussione) è stato svolto nella funzione di presidente del Consiglio (reato ministeriale) o con la qualità della sua responsabilità pubblica (reato comune), chi decide se a indagare deve essere la procura o il Tribunale dei Ministri? In un rito ordinario, con un imputato ordinario, le questioni della competenza si sollevano nel processo con la possibilità di impugnarle in appello e in Cassazione. Berlusconi non ci sta. Vuole confiscare ai giudici naturali quella decisione e assegnarla illecitamente al Parlamento che è come dire attribuirla a se stesso. Ordina che l'aula voti a favore del Tribunale dei Ministri, come se questo dovesse chiudere l'affaire.

In Parlamento, il capo del governo ha due carte da giocare: il conflitto di attribuzione e l'improcedibilità. Anche qui non bisogna farsi spaventare dalle formule. Il conflitto di attribuzione è stato appena sollevato dalla maggioranza. La filastrocca è sempre quella: la procura di Milano si è attribuito un potere che non ha perché il reato ministeriale non gli compete. Ora deciderà la Corte Costituzionale. Almeno su questo non ci sono obiezioni. Anche se affiora qualche tentativo di condizionamento. C'è qualche analfabeta che auspica una moral suasion del Capo dello Stato sui giudici costituzionali mentre, per farsi forza in quest'avventura, gli azzeccagarbugli citano a capocchia una pronuncia della Corte (sentenza n. 241 del 2009) che ha accolto la denuncia di conflitto proposta dal ministro Altero Matteoli. Questa sentenza non c'entra nulla con l'affaire Berlusconi. Al contrario, dà una mano a chi giustamente sostiene che non spetta alla Camera stabilire se il reato abbia carattere ministeriale e la competenza a svolgere le indagini sia quindi del Tribunale dei Ministri. In quell'occasione, come scrive la Corte per il caso Matteoli, la Camera non ha rivendicato "il potere di apprezzare in via esclusiva il carattere ministeriale del reato". Chiedeva soltanto di "poter esprimere, secondo le apposite cadenze procedurali, una autonoma valutazione al riguardo". Nel caso Berlusconi, la Camera ha già espresso "la sua autonoma valutazione" sul "carattere ministeriale del reato" di concussione (boccia la perquisizione dell'ufficio del ragioniere pagatore delle ragazza di Arcore). Anche se con procedure stravaganti, potrebbe ancora ribadirla con una delibera di "improcedibilità". La valutazione del Parlamento, per quanto qualificata, non può sequestrare le prerogative del tribunale di Milano perché la Camera non ha  -  appunto  -  "il potere di apprezzare in via esclusiva il carattere ministeriale del reato".

La seconda carta che Berlusconi intende giocare è l'improcedibilità. Anche questa è un papocchio se ci si chiede: chi decide? Il Parlamento non può dichiarare improcedibile un processo. Non gli spetta. Non è tra i suoi poteri. Le cose stanno così. Il Tribunale dei Ministri non è un giudice. Lavora come un pubblico ministero nei procedimenti comuni. A conclusione delle indagini, il Tribunale dei Ministri, se ritiene che l'indagato meriti il rinvio a giudizio, chiede al Parlamento l'autorizzazione a procedere. Se l'autorizzazione viene negata, il Tribunale dei Ministri prende atto che non ci sono le condizioni di procedibilità stabilite dalla legge e dispone l'archiviazione del procedimento. Non può far altro. L'"improcedibilità", dunque, può e deve essere dichiarata soltanto dal Tribunale dei Ministri e unicamente come l'esito insuperabile del rifiuto dell'autorizzazione a procedere. Una dichiarazione di improcedibilità non è tra le competenze del Parlamento, che non ha il potere di negare preventivamente un'autorizzazione non richiesta. Se lo fa, è un abuso, un atto di violenza istituzionale. Resta l'ultima questione, la sospensione del giudizio. Chi la decide? Anche in questo caso, non c'è alcun dubbio. Né il conflitto di attribuzione né una fantasistica delibera parlamentare di "improcedibilità" possono paralizzare il processo di Milano. È il terzo abuso di potere che Berlusconi pretende. Esige che in ogni caso il processo si blocchi. Anche questa pretesa è illegittima. Vediamo che cosa accade per il conflitto di attribuzione. Bisogna leggere delle "norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte Costituzionale" (legge 11 marzo 1953, n. 87). Anche un non addetto ai lavori comprende, leggendo l'art. 37 e le disposizioni del 23, che l'autorità giurisdizionale, sospende il giudizio in corso soltanto quando la questione non gli appaia manifestamente infondata e finora è apparsa manifestamente infondata al giudice di Milano. Chi decide? È la questione che impegnerà Parlamento, magistratura ordinaria, Corte Costituzionale. Fin da ora si deve dire che, a due secoli dall'Ancien Régime, né l'imputato né il suo governo né una maggioranza di nominati e comprati può decidere del processo come esige il nostro dispotico capo del governo.  

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