giovedì 10 marzo 2011

Giustizia - Allacciate le cinture

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Allacciate le cinture: oggi prenderà forma la riforma. Anzi la madre di tutte le riforme, non a caso definita "epocale" dal presidente del Consiglio. Quella sulla giustizia, come sbagliarsi? Ma in realtà fin qui è stato epocale l'annuncio di questa rivoluzione normativa, nel senso che ci risuona nelle orecchie da un'epoca intera, da quando la seconda Repubblica ha mandato in cenere la prima. E il messaggero non è soltanto, fin dal 1994, Silvio Berlusconi: ci ha provato la Bicamerale di D'Alema, nei giorni del primo governo Prodi; ci ha riprovato il ministro Mastella, nelle notti del secondo governo Prodi.

Prova e riprova, tre lustri dopo ci sale in gola un fiotto di domande: sicuro che c'è bisogno di scomodare la Costituzione per curare i guai della giustizia? Sicuro che la prima riforma costituzionale da mettere in cantiere è proprio questa? E saranno davvero salutari i nuovi principi iniettati nella Carta?
Stando alle anticipazioni, la terapia verrebbe somministrata in sei dosi. Primo: via l'obbligatorietà dell'azione penale. Secondo: via il controllo delle toghe sulla polizia giudiziaria. Terzo: inappellabilità delle sentenze d'assoluzione. Quarto: una Corte di disciplina e uno specifico dettame sulla responsabilità dei magistrati. Quinto: separazione fra giudici e pm. Sesto: per corollario, separazione del Csm in due figli gemelli. Una cura da cavallo per procurare il sommo bene che il ministro Alfano non si stanca d'indicare: la parità fra accusa e difesa.
Peccato che la bontà sia già scolpita sulle tavole costituzionali. Precisamente all'articolo 111: «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale». Ma se è per questo, la stessa norma - emendata dal centro-sinistra nel 1999 - promette la «ragionevole durata» dei processi, con il risultato che dal 2000 in poi i tempi processuali sono lievitati ulteriormente, ed è cresciuto d'una spanna pure l'arretrato (nell'ultimo anno il contenzioso civile in corte d'appello misura +4,8%).
Ecco infatti la prima insidia di quest'iniezione ri-costituente: che poi tutto rimanga sulla carta, corrodendo in ultimo la nostra vecchia Carta, svilendone l'autorità e il prestigio. Ma è ancora più grave il rischio d'annacquare l'indipendenza del potere giudiziario, sottoponendolo al controllo del potere esecutivo. Un solo esempio: chi disporrà in futuro delle indagini? Se la polizia giudiziaria diventasse un soldatino del governo verrebbe ferito il senso stesso della legalità, insieme all'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale. Poi, certo, i principi di fondo cui s'ispira la riforma prossima ventura non meritano un'opinione dissenziente. Non è forse vero che il corporativismo, il correntismo, la fuga dalle responsabilità indicano altrettante malattie del corpo giudiziario? Di nuovo un solo dato: nel 2010 il Csm ha applicato misure cautelari in appena cinque casi, mentre dal 1988 in poi la legge sul risarcimento per gli errori giudiziari ha funzionato soltanto quattro volte, l'1% delle cause intentate.
Sennonché non basta volgere lo sguardo al cielo dei principi: dipende da come li applichiamo sulla terra. Chi non sarebbe d'accordo, per esempio, nel pretendere un'ottima istruzione per i giovani? Ma se i professori, anziché bocciare gli studenti impreparati, li punissero col taglio delle dita, allora sì, qualcuno avrebbe da ridire. Vale per la responsabilità dei magistrati, se diventa una spada di Damocle che ne paralizza l'azione. Vale per la separazione delle carriere, se lega i pm al guinzaglio del ministro. Vale per il doppio Csm, se raddoppia i posti lottizzati fra i partiti. E a proposito, chi ne sarebbe il presidente? Se a Napolitano restasse da guidare soltanto un mezzo Csm, significa che la riforma avrà generato un mezzo presidente.
E c'è poi l'altra faccia di questa medaglia giudiziaria. Meno monumentale, eppure di gran lunga più importante. È il lato dove si profilano riforme legislative, anziché costituzionali; oppure dove corrono interventi organizzativi, anziché normativi. Per esempio l'informatizzazione degli uffici giudiziari. Il loro sfoltimento (ne abbiamo in circolo 1.292, il doppio della Spagna). Una sforbiciata sui troppi procedimenti e riti (quelli civili sono 34). Un tappo al ricorso in Cassazione (in Italia deposita 30mila sentenze l'anno, in Inghilterra 75). Una ghigliottina per le nostre 40mila leggi, che rallentano i processi, e trasformano il diritto in una giocata a dadi. Magari queste riforme non aprirebbero al governo il pantheon della patria. Non regalerebbero a Berlusconi e ai suoi ministri un posto fra i nostri padri fondatori. Ma noi, figli disgraziati, gliene saremmo grati.

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