venerdì 11 marzo 2011

Il caso Ruby e i teleprocessi del regime mediatico-totalitario

È difficile tenere testa alla successione delle cose grottesche di questi giorni.

Intervistata dal giornalista-gossip Signorini, la minorenne Ruby ha in sostanza negato di avere mai fatto sesso con il Presidente del Consiglio sicchè – ne arguiscono i giureinconsulti nostrani – non esisterebbe il reato di cui farneticano i pm “comunisti”.

Al di là dell’uso pretenzioso e mediaticamente astuto di termini del tutto impropri come “premier” o “capo del governo”, ignoti al nostro linguaggio costituzionale che conosce solo la figura del “Presidente del Consiglio”, quello che sconcerta sono le possibili conseguenze di una simile intervista.

Non è la solita campagna mediatica in difesa del cosiddetto “capo del governo”. Stavolta si è voluto fare un passo ulteriore nel precipizio, organizzando una scenografia di cartapesta in cui una testimone ha potuto presentare un racconto che sembra edulcorato o comunque differente rispetto a quello presente agli atti giudiziari.

In sintesi – al di là dei lustrini televisivi e del racconto strappalacrime della ragazzina con tanto di fidanzato d’ordinanza a fianco – rimane il dato tecnico che una persona informata sui fatti viene chiamata dalla televisione dell’indagato a rendere dichiarazioni favorevoli all’indagato stesso, e tutto ciò davanti ad un pubblico di qualche milione di telespettatori e con un procedimento penale in pieno corso.

La puntata successiva è prevedibile: uno stuolo di difensori-parlamentari chiederà a tempo debito l’acquisizione agli atti processuali delle varie videointerviste della ragazzina per accamparne l’inaffidabilità complessiva.

Intendiamoci, quella di minare la credibilità dei testi di accusa è una strategia difensiva del tutto legittima e frequentissima nei processi di tutto il mondo. Il problema però è che in questo caso non ci si limita a rilevare dall’esterno le incongruenze di dichiarazioni storicamente preesistenti rispetto all’attività di osservazione difensiva.

In questa vicenda è invece fortissimo il sospetto che un gigantesco sistema politico-mediatico-finanziario stia creando sotto i nostri occhi le condizioni tecniche affinchè le incongruenze nascano adesso e si rendano visibili adesso prima alla platea televisiva ed elettorale e poi anche in sede giudiziaria, con una evidente ed anomala partecipazione diretta al prodotto narrativo della testimone.

È vero o è finto il neofidanzato della ragazzina? E se – come è probabile – è un fidanzato reperito all’ occasione, chi l’ha reperito e chi è il suggeritore di tutto questo? È solo un caso che queste videointerviste vengano fatte e diffuse attraverso le televisioni che appartengono proprio a quell’indagato che ha tutto l’interesse al discredito della teste?

E se – per caso, per puro caso – la ragazzina riceve del denaro od altro per la partecipazione a queste trasmissioni, dove è il confine fra la semplice ricompensa per la comparsata televisiva e la vera e propria subornazione di teste, che nel nostro codice è reato?

Quanti spettatori ha avuto il “controinterrogatorio” di Signorini alla ragazza? Quale “share”? Quanta “audience”? E se per caso il “gradimento” è stato altissimo, ciò dimostra forse che il “popolo sovrano” ha già assolto gli indagati con una specie di teleprocesso? O che l’attività giudiziaria di quei magistrati è diventata “eversiva” perché non ha incontrato i favori del “popolo sovrano” medesimo, in nome del quale si fanno poi le sentenze?

Un gioco di prestigio continuo, che da anni ha sostituito il popolo col telepubblico ed i processi con i teleprocessi. E a proposito di sondaggi processuali, non è necessario rievocare il solito episodio di Gesù Cristo e Barabba.
Esempi più recenti si possono leggere perfino sulle pagine del Corriere della Sera:

“Delitto Chiara Poggi: dopo un anno di indagini la posizione di Alberto Stasi deve essere archiviata? Risultati: 78,7% NO; 21,3% SI”.
“Caso Lucidi: è giusta l’accusa di omicidio volontario? Risultati: 89,6% SI; 10,4% NO”.
Nessun sistema democratico può essere garantito in eterno davanti ad una simile opera di sistematica dissacrazione. E la tracimazione in un vero e proprio regime mediatico-totalitario è una prospettiva sempre più seria, anche alla luce della stagnazione economica persistente.

La storia europea già conosce esempi di regimi totalitari la cui nascita ha seguito ed accompagnato fenomeni di grave crisi economico-finanziaria. Senza arrivare alla Repubblica di Weimar, basti ricordare l’avvento della dittatura di Salazar nel Portogallo degli anni 30, fiaccato dagli scandali economici e dall’ inflazione.

Ora, il dissesto economico italiano dipende solo da fattori internazionali o c’entrano anche quelli interni e magari anche lo stesso livello di corruttela generalizzata? In tutti i paesi – dice per esempio il Fondo Monetario Internazionale – per ogni punto percentuale di aumento della pressione fiscale il flusso degli investimenti stranieri si riduce del 5%, per ogni grado di aumento del livello di corruzione la riduzione invece è del 16%.

L’ Italia, secondo i dati di Transparency International, è precipitata al 67° posto nella graduatoria dei paesi meno corrotti.
Nel 2008 l’Italia era al 55° posto. In due anni, il Paese ha perso ben dodici posizioni. Ma la cosa ancor più singolare è che nel 1992, quando la deriva affaristico-mafiosa sembrò toccare il suo livello massimo, l’Italia era “appena” al 30° posto. Trentasette posizioni perdute in diciotto anni sono il segno di una morte economica prima ancora che morale.

Se questo è vero, è giusto o no dire che anche l’enorme aumento della corruzione in questi anni ha contribuito alla nostra crisi, appunto, economica? E quanto è grande la responsabilità di una classe politica che della corruzione affaristica ha fatto la sua cifra identitaria o che – nella migliore delle ipotesi – ha solo pasticciato le cose?

Quanto è responsabile chi ha voluto il continuo indebolimento del sistema giudiziario con una delegittimazione scientifica ed irresponsabile dei giudici? E via via allargando il disastro, chi ha causato la progressiva sparizione del giornalismo d’inchiesta e l’asservimento economico della stampa libera? Chi si è tappato gli occhi davanti ad uno strapotere mediatico che ha addormentato per anni la società italiana impedendole di vedere la deriva autoritario-mafioso-gangsteristica di pezzi enormi della sua classe dirigente?

E non erano già queste le ragioni – e tante, tante altre – più che sufficienti per chiedere il ricambio totale di certa classe politica senza bisogno di aspettare lo scandalo Ruby? Dove il vero scandalo non sta nelle ragazzine osè ma nel fatto che solo con le ragazzine osè una pubblica opinione senza opinione ha cominciato ad accorgersi del crepuscolo della nostra democrazia.

“Nessun paese possiede una tradizione o una psicologia nazionale che renda il totalitarismo fatale”, diceva Ignazio Silone.
“Ma neanche che lo scarti”, aggiungeva. 

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