mercoledì 9 marzo 2011

BRAVO SILVIETTO

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Finalmente, dopo 17 anni, B. ha fatto (o almeno annunciato che farà) una cosa normale: si presenterà in tribunale a difendersi nei (e non dai) suoi processi. E intanto ha stoppato la tragicomica iniziativa di uno dei suoi più fervidi cortigiani, Luigi Vitali: una leggina per accorciare vieppiù i termini di prescrizione dei reati se a commetterli è un incensurato ultrasessantacinquenne (l’amato Silvio va per i 75). Naturalmente il presidente del Consiglio non merita, per questo, alcun complimento: solo nel Paese di Sottosopra ci si meraviglia se qualcuno fa una cosa normale. Vedi gli elogi tributati ad Andreotti perché non insultò i giudici che lo processavano per mafia; e a Cuffaro che, condannato a 7 anni per favoreggiamento mafioso, è andato in carcere senza darsi alla latitanza. In ogni caso è giusto riconoscere che, dopo aver tentato di cancellare i suoi processi con una quarantina di leggi su misura, ed esservi in gran parte riuscito, il premier si è rassegnato all’idea di farsi processare. C’è voluto parecchio tempo, ma alla fine – salvo ribaltoni dell’ultima ora – ci è arrivato anche lui. La domanda, a questo punto, è semplice: perché l’ha fatto? Anzitutto, perché non aveva alternative. Nonostante il dispiegamento di forze politico-mediatiche messo in campo per delegittimare l’inchiesta sul caso Ruby, B. non è mai stato disarmato come in questa battaglia. Il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato alla Consulta per scippare il processo al Tribunale di Milano e dirottarlo al Tribunale dei ministri, previa autorizzazione a procedere della Camera (che la negherebbe su due piedi, come ha sempre fatto) è un fuciletto adacqua: l’ha spiegato il presidente Ugo De Siervo che non spetta alla Consulta, ma al giudice ordinario (Gip, Tribunale, Corte d’appello, Cassazione) stabilire se un reato è ministeriale o meno; e l’ha ribadito la Cassazione stessa, respingendo con perdite le pretese impunitarie di Mastella. In ogni caso il conflitto alla Consulta non bloccherebbe il processo Ruby, che andrebbe comunque avanti con la sfilata di papponi e Papi-girls, almeno fino alla vigilia della sentenza. Anche darsi alla fuga inventando “legittimi impedimenti” a raffica non servirebbe a nulla: dichiarando incostituzionale la legge sul legittimo impedimento, la Consulta ha stabilito che spetta al tribunale decidere, di volta in volta, se l’impedimento è reale e legittimo, il che significa che in molti casi le udienze si terrebbero in sua assenza. E comunque non gli conviene abusarne, visto che a giugno c’è il referendum dipietrista. Ma, soprattutto, c’è un attore che per 17 anni è rimasto assente nella guerra di B. alla magistratura: l’opinione pubblica. Che non è genericamente la “gente”, ma quei cittadini che, correttamente informati, fanno sentire la propria voce in piazza, sondaggi, elezioni. Grazie al monopolio berlusconiano dell’informazione, che ha provveduto a disinformare sui vari processi per corruzione, fondi neri, falso in bilancio, evasione fiscale, l’opinione pubblica s’è fatta idee confuse e spesso sbagliate dei fatti contestati (e in gran parte accertati) a carico di B. Ora, invece, la vicenda Ruby è di una tale semplicità che tutti han potuto comprenderla, anche senza e contro l’informazione di regime. Un vecchio malvissuto paga ragazzine in cambio di sesso e poi, quando una di esse – una prostituta marocchina minorenne senza documenti – viene fermata per furto, si attiva per farla rilasciare, spacciandola per la nipote di Mubarak, prima che parli. Ce n’è abbastanza perché persino a molti dei suoi elettori (per non parlare di quelli leghisti) salga il sangue alla testa. Quando i fatti nudi e crudi riescono a raggiungere i cittadini, il tiranno è spacciato. È questa improvvisa ventata di normalità che ha costretto B. a una condotta normale. Resta un grande rimpianto: quanti anni fa ci saremmo liberati di lui se informazione e opposizione avessero fatto il proprio mestiere?

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