lunedì 17 gennaio 2011

B. E spunta l'ipotesi dimissioni

Potrebbe lasciare ed evitare
il voto indicando un successore
appoggiato dall'Udc di Casini

UGO MAGRI

Il mondo berlusconiano è in preda al panico
Pochi sanno che cosa c’è davvero nelle 400 pagine inviate dai magistrati alla Camera, ma chi vi ha dato uno sguardo non trova parole per raccontare.

Lo stesso premier ha trascorso l’altra notte sfogliando le carte e ne è rimasto «profondamente sconvolto». Per il linguaggio crudo, da fare arrossire qualche scaricatore di porto, con cui le ragazze intercettate descrivono i festini di Arcore. E per i giudizi spietati, gonfi di sprezzo, che mandano in briciole il suo ego, che trasformano il Cavaliere umanamente in un mostro.

A questo punto l’aspetto penale verrà dopo. Non per nulla gli avvocati Longo e Ghedini nemmeno sanno dire così, su due piedi, se il loro cliente dovrà appellarsi a qualche cavillo legale per schivare le domande della più terribile tra le inquisitrici, Ilda Boccassini. Prima della difesa legale, per Berlusconi viene quella urgente, urlata, disperata, della propria dignità di politico, di imprenditore, di padre e di nonno. Da domani sapremo quali orrendi segreti stanno nel plico su cui, ironia del destino, metterà la sua firma Fini da presidente della Camera. Ma soprattutto misureremo le reazioni collettive di indifferenza o di sdegno, e dunque le chances del Cavaliere di sopravvivere come in altri frangenti gli era miracolosamente riuscito.

Una parte dei suoi ci crede ancora. Da Micciché alla Gelmini, da Bondi a Sacconi, da Cicchitto a Frattini, tutti si dichiarano pronti a immolarsi nell’ultima resistenza. Lo seguirebbero perfino all’inferno. Eppure, proprio nella guardia scelta berlusconiana si diffonde la sensazione di una battaglia inutile, senza speranza, senza la minima prospettiva strategica. Perché nessuno crede seriamente che basteranno trovate mediatiche come quella di ieri, l’annuncio nel videomessaggio dell’anima gemella, per arginare una marea di fango. In altri momento sarebbe stato tutto un darsi di gomito, «hai visto Silvio che grande genio della comunicazione? Ha già fatto passare in secondo piano l’inchiesta»; ora invece solo sorrisi a denti stretti, e dubbi («cosa dici, funzionerà?») oppure sarcasmi velati («ma questa donna esiste davvero?»). Tra i collaboratori più intimi del premier non ce n’è uno, uno soltanto, che possa dire: io la conosco, ne ero al corrente. Se Berlusconi voleva tenere il nome della fortunata al riparo della curiosità (e dei pm), c’è riuscito fin troppobene.

Ma forse l’annuncio è solo un modo per far sapere al mondo: «Ho messo la testa a posto. Tutto quello che leggerete nei prossimi giorni è acqua passata, appartiene al vecchio Silvio che non c’è più, morto e sepolto». E’ la prima linea difensiva. La seconda barricata del premier consiste nel negare in via preventiva, nel contestare ancora prima che diventino pubblici i racconti boccacceschi delle ragazze, nel presentarli come vanterie, fanfaluche, bugie da comari, del resto tante se ne dicono al telefono quando mai si penserebbe di venire ascoltati. La terza trincea del premier sta nell’orgogliosa rivendicazione della sua privacy. A chiunque lo chiami, ripete come un vecchio 33 giri in vinile: «In casa mia io ho il sacrosanto diritto di fare quello che credo, guai se si entra nelle camere da letto, se mi va di fare regali li faccio, nessuno può obbligarmi a perquisire le mie ospiti perché non scattino foto».

Nel passaggio più scabroso della sua quasi ventennale carriera, Berlusconi sfodera perfino con gli amici la solita sfrontata sicurezza. Sostiene che l’indagine su Ruby «fa acqua da tutte le parti, manca la prova per incastrarmi». Salvo precipitare poi nel patetico quando sempre in privato confida: «Solo un uomo terribilmente solo, tutto questo succede perché vivo in questa condizione da cinque anni, ogni tanto anch’io sento il bisogno di una festa, desidero vedere gente... Invitavo quelle ragazze per scambiare un rapporto di affetto, con loro sono stato sempre paterno, a una ho fatto imparare l’inglese, un’altra l’ho fatta assumere a Mediaset...». Mai che abbia pronunciato, finora, la parola fatale: dimissioni. Eppure chi gli circola intorno giura che sta bene al centro dei suoi pensieri. Aleggia come uno spettro nella villa di Arcore.

Qualcuno comincia a parlarne, sottovoce si capisce. Fa testo il giudizio di un ministro tra i massimi, che naturalmente non vuole essere nominato: «Il danno internazionale è insopportabile. Fosse Berlusconi accusato di violazione dell’articolo 2550 del codice civile, all’estero direbbero che è una storia italiana. Ma in questo caso si parla un linguaggio universale, sesso con una prostituta minorenne, lo capiscono anche in Cina. Tentare difese tecniche o andare in tivù è semplicemente ridicolo». Perfino tra i colonnelli più fedeli si va spargendo il dubbio: non sarebbe preferibile un passo indietro ora, subito, prima che tutto precipiti? L’argomento ha una sua forza seduttiva. Rinunciando a Palazzo Chigi, Berlusconi potrebbe contestualmente indicare un successore, quantomeno condizionare pesantemente la scelta di Napolitano. E poi restare dietro le quinte a difendersi dai processi, a tirare i fili della politica con un potere pur sempre smisurato. I vecchi leader democristiani, quelli immarcescibili, loro sì sapevano quando uscire di scena per ritornare al momento giusto.

Tremonti, Alfano, Letta... Nessuno dei tre faticherebbe a trovare appoggi nell’Udc. Specie il primo, sarebbe la migliore garanzia per la Lega. Resistere a oltranza, invece, a che pro? Tra gli strateghi Pdl si fatica a trovare una risposta convinta. Qualcuno (Osvaldo Napoli) scuote la testa: «Qui non si fanno prigionieri, possiamo solo combattere, andrà come dio vuole». Ipiù tacciono, sospirano, fremono e se la cavano con un «aspettiamo di leggere le carte, vediamo che cosa succede». Conun leader «sputtanato» non si può certo correre alle urne, questo risulta chiaro ai gerarchi del Cavaliere. Allora sì che Bossi diventerebbe padrone del Nord... Qualcuno più pessimista si spinge a paventare l’esilio di Bettino nella Tunisia. Anzi, «di questo passo Silvio farà la fine di Ben Ali». La sensazione è che in pochi giorni si consumerà tutto. 

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